"Bisogna smascherare l’antisionismo come antisemitismo"
Fiamma Nirenstein: “Viviamo un’era di antisemitismo letale, omicida, stragista e persino genocida, in corso guerra culturale e psicologica contro civiltà giudaico-cristiana”
di HaKol - 30 Ottobre 2025 alle 10:14
Fiamma Nirenstein non potrà essere in piazza oggi a Roma, si trova in Israele. Così la firma del Giornale, autrice di una decina di saggi sull’odio antiebraico, già deputata e fondatrice della Commissione parlamentare sull’antisemitismo, analizza con noi lo tsunami del nuovo antisemitismo: la genealogia ideologica, l’intreccio con l’odio antisionista, la saldatura tra jihad e postmodernità, il ruolo delle università e l’odiosa, incredibile sequenza di etichette delegittimanti applicate a Israele.
Siamo davanti a un antisemitismo senza precedenti?
«È più di così: è un’era di antisemitismo letale, omicida, stragista e persino genocida. Per capirlo bisogna collegarlo all’odio verso Israele, perché lì si vede come è nato, si è sviluppato e oggi si legittima culturalmente e politicamente».
Da dove riparte questo fenomeno e come si è trasformato nel tempo?
«L’antisemitismo ha avuto forme pagane, cristiane, razziste, religiose. Dopo la Shoah assume presto la veste dell’odio antisionista: gli ebrei non più come “razza” ma come Stato da demonizzare. È una metamorfosi riconoscibile già nel dopoguerra e poi sistematizzata da intellettuali e apparati politici».
Parli di una vera e propria guerra di civiltà?
«Sì. È in corso una guerra culturale e psicologica contro la civiltà giudaico-cristiana e occidentale. Dopo il nazismo, il mondo stalinista e comunista individua in Israele la punta di diamante da colpire, costruendo un castello ideologico, economico e politico di enorme portata per delegittimarlo».
Che cosa è cambiato dopo il 7 ottobre 2023?
«C’è stata una licenza di agire, non solo virtuale. Si è saldata la jihad islamica con le ideologie postmoderne dell’intersezionalità: il quadro oppressi-oppressori ha reso naturale inserire ebrei e Israele nel lato “sbagliato”, amplificando odio e giustificazionismo sotto la copertura morale del progressismo».
Perché le università sono diventate un volano così potente?
«Per la combinazione tra denaro, influenza e cornice teorica. In molti atenei europei e americani erano già presenti reti jihadiste e fondi provenienti dal Golfo. La matrice postmoderna ha poi sferrato il colpo sui giovani, più permeabili. E l’antisionismo ha attecchito come forma “accettabile” di antisemitismo».
Qual è il meccanismo cognitivo che alimenta questa propaganda?
«L’incapacità deliberata di distinguere vero e falso: la stessa tossina che alimentò il nazifascismo. Oggi è una malattia cognitiva fabbricata con investimenti ideologici e politici, terrorismo e paura, e un’inondazione di disinformazione che trasforma ogni fatto in pretesto per colpevolizzare ebrei e Israele».
Quali etichette sono state appiccicate a Israele?
«Prima imperialista, poi razzista, quindi suprematista bianco, colonialista, apartheid, “pulizia etnica”, fino a genocida. È una scala di demonizzazione pensata per negare la legittimità stessa di Israele e normalizzare l’ostilità verso gli ebrei nel mondo».
Quale risposta è necessaria adesso?
«Chiarezza linguistica e verità fattuale, senza eufemismi. Bisogna smascherare l’antisionismo come antisemitismo, difendere la legittimità di Israele, proteggere la libertà di parola e riportare il dibattito nelle università alla responsabilità intellettuale. Solo così si contrasta un odio che mira al cuore dell’Occidente».