Le Ragioni di Israele

Forze di pace a Gaza? Il re di Giordania dice no

di Iuri Maria Prado - 28 Ottobre 2025 alle 13:26

È significativa per molti aspetti l’intervista resa alla BBC, l’altro giorno, dal re di Giordania. Ma una dichiarazione del sovrano hashemita, in particolare, merita attenzione.

Quando l’intervistatore gli domanda se la Giordania – uno Stato palestinese “di fatto”, per collocazione geografica e preponderanza demografica – parteciperebbe all’invio di truppe a Gaza per il mantenimento della sicurezza e della pace, il re risponde “no”. E lo giustifica spiegando che la Giordania è politicamente troppo coinvolta per rendersi responsabile di un simile intervento. Tutt’altro che sprovveduto, e anzi notoriamente abilissimo, Abdullah II di Giordania ha voluto giustificare la sua posizione argomentando che ad oggi non si tratterebbe di “mantenere” la pace nella Striscia, ma di imporla, e sarebbe dunque un compito in cui nessun Paese, e tantomeno il suo, si farebbe coinvolgere.

L’intervistatore non gli ha domandato che cosa impedisce, oggi, di immaginare una funzione di peacekeeping a Gaza, e in effetti era superfluo perché una duplice risposta sarebbe già stata nella domanda: vale a dire, per un verso, che non si può mantenere una pace che non c’è e che, per altro verso, imporre la pace significa contrastare chi la contrasta, cioè Hamas.

Questa verità semplicissima non incalza solo le parole non dette dal monarca giordano: incombe ineluttabilmente sulla responsabilità di tutti gli attori mediorientali, oltre che su quella di ogni Paese con pretesa di aver voce in capitolo nella soluzione della crisi. Nel giro di pochi giorni si è fatto platealmente chiaro quanto solo un cieco poteva non vedere quando Donald Trump annunciava trionfalmente il raggiungimento dell’accordo: e cioè che, nei fatti e a prescindere dalle ambizioni, era in realtà un accordo per il rilascio degli ostaggi, niente più. Uno sviluppo tutt’altro che trascurabile – attenzione – ma ben lontano dall’assicurare l’esautoramento di Hamas, un obiettivo affidato a più o meno fondate speranze e, tutt’al più, a un lavoro tutto ancora da realizzare non si sa come, non si sa quando, non si sa da chi.

È del tutto verosimile che Israele si costringerà, dovendo farlo, a finire quel lavoro. In una situazione in cui i Paesi arabi, pur potendo contribuirvi, avranno un’altra volta deciso di astenersene. Erano una delega implicita le parole dette, e soprattutto quelle non dette, dal re di Giordania.

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