Le Ragioni di Israele

Francesca Albanese non è una strega, semplicemente si definisce da sé

di Iuri Maria Prado - 1 Novembre 2025 alle 09:29

Definire Francesca Albanese “una strega” – come incautamente ha fatto l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite – non è solo sbagliato: è oltretutto, come si dice, controproducente. In modo gratuito, infatti, rischia di farne la vittima di un dileggio che verosimilmente non serve a nulla, e certamente non serve a contrastare con la necessaria efficacia le scompostezze di cui si rende responsabile. Sono così tante, e così gravi, che basta e avanza rinfacciargliele, senza quell’inutile sovraccarico denigratorio.

Si prenda, per esempio, l’ultimo sproposito (che non sarà l’ultimo, temibilmente) cui si è lasciata andare Albanese. In una conferenza stampa, l’altro giorno, rispondendo a una domanda sugli attacchi del 7 ottobre, lei ha dichiarato che in quell’occasione sono stati commessi dei crimini, che i crimini consistevano nell’aver preso di mira i civili israeliani, e che essi erano stati presi di mira (“targeted”) da gruppi armati palestinesi “ma anche dall’esercito israeliano”. Non è affatto una “strega” quella che dice queste cose. È una che non ricomprende nei crimini del Sabato Nero la tortura, il massacro e il rapimento dei soldati israeliani.

Una che, parlando degli orrori commessi dai palestinesi il 7 ottobre, ne riferisce la responsabilità esclusivamente ai “gruppi armati”, mentre è documentato anche dalle Nazioni Unite, cioè l’istituzione per cui dovrebbe lavorare, che ai massacri parteciparono anche civili palestinesi. Una secondo cui esisterebbero le “prove” che l’esercito israeliano ha deliberatamente preso di mira e massacrato i civili israeliani. Una che, dunque, fa passare un eventuale ferimento o un’uccisione di un israeliano nel corso delle operazioni di contrasto del pogrom del 7 ottobre (cose senz’altro possibili in un simile teatro di guerriglia) per un attacco dolosamente preordinato ad ammazzare i (propri) civili.

Una che, infine, nel discutere del più mostruoso macello di ebrei dal tempo della Shoah, e nel distribuire equamente in quel modo le responsabilità del caso (un po’ sul conto dei palestinesi, un po’ su quello degli israeliani, che avrebbero attaccato sé stessi), esclude dal perimetro dei crimini meritevoli di menzione gli stupri, le decapitazioni, lo squartamento e l’uso del fuoco per bruciare famiglie intere. Forse, si immagina, perché avrebbe qualche difficoltà a reperire la prova che un soldato israeliano ha assassinato una nonna e la nipote autistica di dodici anni o ha rapito un lattante e il fratello di quattro, restituiti strangolati in due bare nere dai mostri che lei, Francesca Albanese, ritiene appartenenti a un movimento che dopotutto ha fatto anche un sacco di buone cose. Lei si definisce da sé. Non serve definirla in nessun altro modo.

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