Gaza espone la paralisi dell’UE e la resa culturale dell’Italia
22 Settembre 2025 alle 15:26
L’Europa ha abdicato al suo ruolo di attore geopolitico. Nonostante la sua vicinanza geografica e il suo peso economico, preferisce rifugiarsi nel ruolo di moralista che giudica da lontano. E l’Italia, che dovrebbe avere la forza di guidare un’Europa più pragmatica, si limita a rincorrere slogan.
L’Europa continua a sventolare la bandiera della sua indignazione per Gaza, ma rimane prigioniera del suo stanco ritornello: “due popoli, due stati”. È la formula magica che si ripete a Bruxelles da decenni come se fosse una preghiera salvifica, un mantra utile a coprire l’assenza di coraggio politico. In realtà, quell’orizzonte si è dissolto, travolto dall’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, dalla devastazione della Striscia e dalla radicalizzazione reciproca. Ma nelle cancellerie d’Europa, basta evocare lo slogan per sentirsi parte del “gioco diplomatico”.
È un peccato che nessuno lo prenda più sul serio: né Israele, che guarda agli Stati Uniti e agli Accordi di Abramo, né i palestinesi, che si rivolgono a Qatar, Egitto o Turchia. L’Unione Europea non è irrilevante per definizione: è il più grande partner commerciale di Israele, il principale finanziatore della causa palestinese e ha una formidabile leva economica. Se volesse, potrebbe esercitare una pressione reale. Ma ciò non accade. Bruxelles preferisce rifugiarsi nei comunicati, prigioniera delle divisioni interne tra paesi filo-israeliani e governi che flirtano con posizioni apertamente pro-palestinesi. Il risultato: l’Europa appare al mondo come un gigante economico che sceglie consapevolmente di rimanere un nano politico.
Il caso spagnolo è emblematico. Sotto Pedro Sánchez, Madrid ha scelto la strada della totale ideologizzazione della causa palestinese. Questa posizione spesso rasenta un palese antisemitismo: quando i ministri equiparano Israele ai nazisti o quando per le strade si tollerano cori che non distinguono più tra lo stato e il popolo ebraico, la linea rossa è stata superata da tempo. La difesa dei palestinesi è diventata un pretesto per attaccare Israele in ogni foro internazionale, sostenendo rapporti e commissioni ONU notoriamente di parte.
Questa non è diplomazia: è ossessione politica. Un’ossessione che finisce per indebolire non solo Israele, ma la credibilità dell’intero continente. E se Madrid sbandiera Gaza come una bandiera ideologica, il resto d’Europa non se la cava meglio. In Francia, Emmanuel Macron spinge per il riconoscimento dello stato palestinese, uno stato che in realtà non esiste e non ha una struttura politica unificata.
Questa mossa è vista da molti come un regalo politico ad Hamas, che legittima indirettamente un’organizzazione terroristica e premia chi ha scelto la strada della violenza. Macron, stretto tra la necessità di cavalcare l’onda del consenso interno e la tentazione di affermarsi come “grande mediatore”, finisce per indebolire la posizione dell’Europa, trasformando un gesto simbolico in un favore concreto ai peggiori nemici della pace. La Germania, dal canto suo, continua a destreggiarsi tra appelli ai diritti umani e sostegno a Israele, senza mai stabilire una linea strategica.
L’Italia difende la necessità di garantire la sicurezza dello stato ebraico, ma non riesce a imporre una direzione unificata all’UE. Peggio ancora, sul fronte interno, mostra crepe inquietanti. Le università, un tempo laboratori di idee, si sono trasformate in zone franche dove gli agitatori pro-Palestina dettano legge. Occupazioni, boicottaggi culturali, pressioni sui rettori: nelle università italiane, la causa palestinese è diventata una comoda copertura per imporre una narrazione ideologica senza contraddittorio.
Questo non è dibattito accademico, è militanza mascherata. A ciò si aggiunge la sinistra politica, che in gran parte usa Gaza come leva interna. Non per affrontare realmente la sofferenza dei civili palestinesi, ma per regolare conti interni, riattivare vecchi slogan e spostare l’asse del dibattito interno. Alcuni sindacati non sono diversi: proclamano solidarietà internazionale, ma in realtà usano la tragedia mediorientale per prendere di mira governi e avversari interni, in una sorta di “guerra per procura” che non ha nulla a che fare con la ricerca della pace in Medio Oriente.
Gaza diventa così l’arena ideale per alimentare stanche battaglie ideologiche, camuffate da umanitarismo. Non sorprende che questi stessi sindacati siano spesso quelli che si oppongono a qualsiasi modernizzazione economica, trasformando la solidarietà in un pretesto per aizzare le masse. Dopo il 7 ottobre, le contraddizioni dell’Europa sono diventate chiare. Nelle prime ore, ci sono state solenni condanne di Hamas; poche settimane dopo, il solito repertorio: accuse contro Israele, riferimenti generici al diritto internazionale, una litania di mozioni parlamentari. È una geometria variabile dell’indignazione, calibrata sulle esigenze dell’opinione pubblica nazionale. Un’indignazione superficiale che non produce nulla. La formula “due popoli, due stati” continua a circolare come un talismano logoro, ma non ci sono piani, scadenze o strumenti. Solo parole.
Così, l’Europa ha abdicato al suo ruolo di attore geopolitico. Nonostante la sua vicinanza geografica e il suo peso economico, preferisce rifugiarsi nel ruolo di moralista che giudica da lontano. Mentre le trattative si svolgono a Washington, Doha e Il Cairo, Bruxelles rimane sullo sfondo, a guardare le mosse degli altri. Nel vuoto lasciato dall’UE, attori regionali e globali si stanno facendo avanti, con il difetto – o il merito – di agire concretamente.
La differenza è lampante: gli altri agiscono, l’Europa parla. E quando parla, troppo spesso lo fa solo per riflettere sulla sua presunta superiorità morale. Gaza è il banco di prova di questa irrilevanza. E l’Italia, che dovrebbe avere la forza di guidare un’Europa più pragmatica, si limita a rincorrere slogan, mentre lascia le sue università in balia degli agitatori e trasforma i sindacati in megafoni per la propaganda importata. Una resa culturale ancor prima che politica.