L'intervista
Guerra Israele-Iran, lo storico Thierry Vissol: “Una pace conquistata con la forza non può durare”
di HaKol - 29 Giugno 2025 alle 12:49
«I presupposti per una pace duratura sono molto lontani dall’essere soddisfatti». L’economista e storico Thierry Vissol – già docente universitario e funzionario della Commissione europea, nonché direttore del Centro euro-mediterraneo Librexpression della Fondazione Giuseppe Di Vagno -, commenta la tregua fra Israele e Iran – annunciata dal presidente statunitense Donald Trump con un post su Truth – dopo un conflitto durato 12 giorni.
Tregua tra Israele e Iran: preludio a una pace vera o accordo temporaneo?
«La tregua è sempre un passo positivo in una situazione di guerra… a condizione che sia rispettata da tutte le parti e conduca alla pace. Gli esempi recenti, e non solo, in vari conflitti – tra cui quello in Ucraina o quello contro Hamas – possono farne dubitare. Infatti, gli obiettivi degli israeliani – ovvero la fine del programma nucleare iraniano e il cambio di regime – non sembrano essere stati raggiunti. Per quanto riguarda il primo sembra che gli iraniani siano riusciti a mettere al sicuro gran parte delle loro scorte di uranio arricchito, come dimostrano le foto satellitari che mostrano numerosi camion sul sito di Forbo prima dei bombardamenti e i dubbi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) sull’effettiva distruzione del sito. Inoltre, sia gli americani che gli israeliani hanno deliberatamente sabotato i tentativi europei di negoziazione con l’Iran. Non credo che Israele ritenga che un accordo – come quello del 2015, denunciato da Trump nel 2018, che prevedeva un limite al tasso di arricchimento dell’uranio – sia una garanzia sufficiente per impedire all’Iran di proseguire i suoi tentativi di fabbricare una bomba nucleare. Da parte del regime iraniano, che ha già speso più di 500 miliardi di dollari per il nucleare a scapito del benessere della sua popolazione, anche se vuole salvare ciò che resta del suo programma civile, sa che solo la bomba gli consentirebbe di allontanare le minacce che deve affrontare. I presupposti per una pace duratura sono lungi dall’essere soddisfatti e, d’altra parte, i termini di una tale pace saranno estremamente complessi, tanto più che non bisogna sottovalutare gli effetti dell’umiliazione provata dagli iraniani e il loro desiderio di vendetta, anche a lungo termine».
Questo cessate il fuoco può essere considerato una vittoria per Israele e gli Stati Uniti?
«Penso che si tratti di una vittoria interna, momentanea, di Trump. Quest’ultimo è stato eletto con la promessa di non coinvolgere mai più gli Stati Uniti in una guerra esterna. Molti dei suoi elettori, così come una parte dei suoi collaboratori, non erano favorevoli a questi bombardamenti, che hanno anche scontentato il Congresso, il quale avrebbe dovuto essere coinvolto, ma non è stato consultato. Trump doveva quindi dimostrare a tutti che l’azione condotta con il suo “martello di mezzanotte” non era altro che l’applicazione della fondatezza della sua teoria della pace attraverso la forza».
Quali cambiamenti per il regime di Teheran?
«Il problema è quale tipo di nuovo regime potrebbe essere instaurato senza portare, come in Iraq, a una totale destabilizzazione del Paese. L’opposizione è frammentata dai più estremisti ai pochi sostenitori del figlio dell’ex Shah. Le catene di comando sono state compromesse e molti responsabili militari sono stati assassinati. I Pasdaran sono e rimangono una forza militare e civile importante, all’apparenza totalmente devota al regime attuale, anche in grado – come sembra stia facendo – di reprimere le azioni della resistenza e dell’opposizione interna».
I colloqui di Ginevra, a cui ha preso parte il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, vengono definiti ora dall’Iran “irrealistici, in questo modo non sarà possibile raggiungere un accordo”. La possibilità di ulteriori negoziati è ormai sfumata?
«Probabilmente sì, anche se le posizioni ambigue del presidente Macron potrebbero far pensare che una mediazione europea sia ancora possibile. È già positivo che gli iraniani abbiano accettato di venire a Ginevra per incontrare gli europei. Il problema è capire, da un lato, se gli europei sono affidabili e, dall’altro, se sono in grado di influenzare il governo di Netanyahu. I tre Paesi che hanno partecipato alla riunione di Ginevra sono quelli che avevano facilitato l’accordo sul nucleare del 2015 voluto da Obama. Tale accordo – dal quale Trump è uscito durante il suo primo mandato – prevedeva la possibilità per l’Iran, sotto sorveglianza, di arricchire l’uranio senza raggiungere la soglia critica per la costruzione di una bomba atomica. La posizione attuale di questi tre Paesi, tuttavia, corrisponde a zero arricchimento. Sembra quindi che Donald Trump potrebbe aver ragione quando afferma “è improbabile che gli europei siano utili”».