Hamas riempie il vuoto di potere a Gaza

di Paolo Crucianelli - 19 Novembre 2025 alle 12:56

Gaza, Thursday, Sept. 18, 2025. (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

Le ultime settimane confermano un dato ineludibile: nella porzione orientale della Striscia di Gaza — quella al di là della cosiddetta “linea gialla” tracciata a margine dell’operazione militare israeliana — un equilibrio insidioso si sta rafforzando, e lascia intravedere come Hamas non abbia alcuna intenzione di riporre le armi e farsi da parte.

Mentre il mondo saluta l’approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che apre concretamente le porte al progetto di una “Forza internazionale di stabilizzazione”, l’organizzazione islamista si è già mossa: incassa “tasse” sulle merci in vendita, assume funzioni amministrative, impartisce un ordine pubblico che — per quanto brutale — per molti palestinesi è meglio della totale anarchia.

A occidente della linea gialla, l’IDF conserva la sua presenza, continua a distruggere tunnel, a presidiare punti strategici e a prepararsi a una ripresa dell’azione militare qualora fosse necessario. Ma a est — dove Israele si è ritirato— Hamas ha colmato il vuoto. Secondo il progetto statunitense e i testi del Consiglio di Sicurezza appena approvati, una forza internazionale (la ISF) dovrebbe entrare in scena per disarmare Hamas, permettere l’inizio della ricostruzione e preparare il terreno a una nuova autorità — ma finora il condizionale è d’obbligo.

Parallelamente, si moltiplicano le segnalazioni secondo cui Hamas riscuote quelle che chiama tasse ma, di fatto, sono una sorta di “pizzo” sulle merci in entrata nella zona controllata — tabacchi, prodotti alimentari, importazioni che, secondo commercianti locali, raddoppiano di prezzo dal giorno alla notte. In uno scenario di fame, distruzione e confusione, questo sistema di «contributi obbligati» diventa una fonte di finanziamento vitale per l’organizzazione, oltre che un modo per estendere il proprio potere. Un esempio su tutti: le tende. In questo particolare momento sono di importanza vitale, e dovrebbero essere consegnate gratuitamente alla popolazione, in quanto fanno parte degli aiuti umanitari di prima necessità; tuttavia, vengono accaparrate da Hamas e rivendute a prezzi altissimi. È la logica di fatto di chi controlla in un contesto di illegittimità.

Approfittando dei tempi, necessariamente lunghi, per creare la ISF e definirne le modalità operative, sul terreno è già iniziata una transizione informale verso una governance parallela. La domanda, dunque, non è più se Hamas abbia potere, bensì fino a che punto questo potere sarà tollerato o contrastato. Perché ogni giorno senza una forza esterna adeguata — e senza un chiaro piano di disarmo — significa un giorno di consolidamento in più: delle strutture militari, della riscossione, della gestione del territorio. Le milizie rivali che nei mesi scorsi saccheggiavano gli aiuti vengono eliminate o fagocitate; l’ordine pubblico, seppure operato con mezzi brutali, viene imposto a chi ormai sa che l’unico interlocutore reale è Hamas, non un’autorità provvisoria o una forza straniera, che ancora non esistono. Allo stesso tempo, Israele non abbassa la guardia: la sua presenza resta forte lungo la linea gialla, i tunnel vengono distrutti, ogni tentativo di estendere il territorio controllato da Hamas viene bloccato. Ma l’enigma è questo: finché non entrerà in scena la forza internazionale e finché non sarà stabilita una vera autorità di transizione che assuma il controllo legittimo del territorio, la situazione rischia di cristallizzarsi. Hamas, forte della propria legittimità di fatto tra la popolazione e del vuoto di governance che lo Stato e la comunità internazionale lasciano libero, può continuare a crescere e operare secondo le regole che conosce.

L’ONU ha approvato la risoluzione, si apre quindi la fase più delicata e pericolosa del piano di pace: disarmare Hamas.

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