Le Ragioni di Israele

Herzog valuta la grazia a Netanyahu mentre Hezbollah si riassesta: nuove infrastrutture militari nel sud del Libano

di Giuseppe Kalowski - 2 Dicembre 2025 alle 12:49

TEL AVIV

La situazione politico-strategica diventa sempre più complicata in Israele: la giusta euforia conseguente al piano Trump si è rapidamente attenuata nelle ultime settimane, sostituita dalla possibile, per molti analisti probabile, prossima guerra con Hezbollah in Libano, armato, finanziato e fomentato dall’Iran, sempre più desideroso di una rivincita dopo la sonora sconfitta dello scorso giugno.

Hezbollah sta cercando di creare nuove infrastrutture militari nel sud del Libano, ignorando la tregua che avrebbe dovuto portare al loro disarmo. Non si può trascurare in questo contesto la totale inutilità delle truppe dell’Unifil, che non riescono a garantire minimamente il rispetto del cessate il fuoco e non hanno intenzione di misurarsi con Hezbollah. L’organizzazione terroristica sciita si sta riorganizzando militarmente molto rapidamente, e anche l’uccisione del Capo di Stato maggiore Tabatabai non servirà a far rallentare la nuova mobilitazione di Hezbollah, ma potrebbe paradossalmente avvicinare la data di quello che oramai viene definito “l’inevitabile confronto tra Iran e Israele”.

Anche a Gaza è ormai palese la volontà di Hamas di rifiutare il disarmo e riprendere la lotta contro il nemico sionista. Come Hezbollah non ha mai abbandonato l’idea di tornare sul campo di battaglia, anche Hamas si sta organizzando rapidamente sulla parte della Striscia che ancora governa. La differenza tra la democrazia israeliana e il regime iraniano è che lo Stato ebraico deve affrontare anche i sussulti politici interni, dovuti in questo momento al conflitto tra il ministro della difesa Katz e il Capo di Stato maggiore Eyal Zamir sulle conclusioni del “Comitato Turgeman” sulle responsabilità militari del 7 ottobre. Il ministro, con una chiara volontà di supervisione, ha congelato le nuove nomine dei generali che devono sostituire chi è stato riconosciuto colpevole per il disastro del Sabato Nero.

Lo scontro tra il potere politico e l’esercito non è una novità. L’esercito è visto come apolitico, mentre la classe politica è considerata faziosa e incapace di assumersi responsabilità. Questa situazione mina la credibilità di Israele agli occhi del nemico, e dà una percezione di debolezza che stimola l’Iran alla rivincita dopo la sconfitta della guerra dei 12 giorni. In Iran questo esercizio democratico non esiste. Anzi: una nuova guerra contro Israele servirebbe a coprire i grandi problemi interni, come la biblica siccità che rischia di assetare la popolazione iraniana. Teheran ha probabilmente messo da parte temporaneamente il programma nucleare che ha subìto grandissimi danni dalla guerra e si sta invece concentrando a preparare molto velocemente una capacità militare convenzionale difensiva e offensiva più efficace del recente passato. L’eliminazione di Tabatabai, graditissimo a Teheran, è stata un colpo duro nei confronti anche dell’Iran oltre che per Hezbollah, ma questo non deve illudere: l’Iran sta rimpiazzando tutti i missili balistici distrutti e costruendone nuovi a grande ritmo, e contemporaneamente sta cercando di dotarsi di un’aviazione degna di questo nome con l’aiuto di Mosca, che scalpita per entrare nuovamente nello scacchiere mediorientale.

In Israele in queste ultime ore torna al centro della scena il potere presidenziale di grazia: dopo la richiesta fatta dal premier, il Paese si interroga se il Presidente Herzog potrebbe, e dovrebbe, intervenire nel caso Netanyahu. Le Basic Laws, che svolgono funzione costituzionale in assenza di una Carta, attribuiscono al Presidente un potere di clemenza ampio; cancellare una condanna, ridurre pene, sospendere procedimenti. La Corte Suprema lo ha confermato nella sentenza del 1986, quando il Presidente Chaim Herzog, padre dell’attuale Isaac Herzog, concesse una grazia preventiva ai vertici dello Shin Bet. Giuridicamente, dunque, una grazia per Netanyahu è possibile anche senza ammissione di colpa. Politicamente, però, un intervento presidenziale prima del verdetto rischierebbe di incendiare un’opinione pubblica già polarizzata, facendolo apparire come un salvataggio personale e non come un tentativo di pacificazione nazionale come dichiarato da Bibi. Al contrario, attendere l’esito giudiziario lascerebbe aperta una ferita nel sistema. In ogni caso, qualunque scelta avrà un costo politico significativo.

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