L'evento del Riformista

I media italiani hanno cancellato il 7 ottobre, la guerra cognitiva si combatte sullo schermo

di HaKol - 8 Ottobre 2025 alle 08:38

Non si combatte più nelle trincee, ma sugli schermi. Le guerre oggi passano dai feed dei social, dai titoli dei giornali, dai lanci d’agenzia. Siamo nel pieno di una guerra cognitiva. Da qui è partito il confronto di ieri nel panel “L’informazione italiana dopo il 7 ottobre”, organizzato dal Riformista e moderato da Aldo Torchiaro nella Sala Capranichetta a Piazza di Montecitorio, affacciata sul cuore politico di Roma. Due anni dopo l’attacco di Hamas, la domanda resta aperta: che cosa è successo al modo in cui i media italiani raccontano la guerra?
Velardi ammonisce la «distrazione» dei giornali
Il direttore del Riformista, Claudio Velardi, non ha usato giri di parole: «In Italia c’è solo una parte minoritaria di informazione che affronta nella maniera giusta e dovuta la ricorrenza del 7 ottobre. È stato il momento cruciale, orribile, della guerra contro la sopravvivenza di Israele». E ha puntato il dito contro i due principali quotidiani italiani: «Ieri ne hanno parlato a pagina 17 e a pagina 12». Anche la gerarchia delle notizie è un campo di battaglia.
La realtà ribaltata, il racconto già pronto: la testimonianza di Fratello
Flavia Fratello, volto della rassegna stampa di La7, ogni mattina dà la sveglia al pubblico leggendo i giornali. Non a caso ha fatto un esplicito riferimento alla prima pagina del Manifesto: «Non c’è alcun accenno al 7 ottobre, ma tutto fa riferimento a ciò che sta succedendo a Gaza. È una realtà ribaltata». Certo, Israele ha commesso degli errori di comunicazione, «come quello di non mostrare le immagini del 7 ottobre, almeno in maniera ufficiale», mentre da Gaza «arrivano immagini selezionate, che vogliono farci vedere una certa realtà». Dietro tutto ciò si nasconde un meccanismo invisibile ma determinante: «Ogni giorno alle 12:15 l’Ansa esce con il take con il numero aggiornato delle vittime a Gaza. Una redazione non sempre può mandare inviati sul campo, e così si affida ai lanci. Sul tavolo arriva già pronto l’elenco delle vittime, e da lì parte tutto il discorso». Il sistema informativo, stretto tra velocità e dipendenza dalle fonti, riproduce narrazioni altrui.
«Nulla è cambiato dal 1982»: il déjà-vu di Parenzo
A ricordare che certe dinamiche non nascono oggi è stato David Parenzo, conduttore de L’Aria che tira. Il suo intervento, una linea diretta con la storia, è partito dal 9 ottobre 1982, giorno dell’attentato alla Sinagoga di Roma: «Rileggendo i giornali dell’epoca, troviamo gli stessi stilemi di oggi: il tentativo di nazificare lo Stato di Israele». Stesso registro per l’11 settembre 2001 con l’attentato alle Torri Gemelle: «Qualcuno scrisse che era stato colpito il cuore finanziario degli Stati Uniti, simbolo della tracotanza dell’Occidente. Insomma, l’Occidente se l’era cercata. Per la proprietà transitiva, Israele diventa la preda perfetta: l’entità sionista, il cancro dell’Occidente nei Paesi arabi. Un racconto emotivo che arriva subito». Cambiano i tempi e i media, ma gli schemi mentali sono gli stessi.

Reanda e «i corpi invisibili» nelle grinfie di Hamas
Giovanna Reanda, direttrice di Radio Radicale, ha portato il discorso su un piano più intimo: «Continuo a pensare a chi non è ancora tornato a casa. Quei corpi rimasti invisibili sono diventati uno strumento della propaganda di Hamas». E, osservando le piazze sempre più gremite in cui si inneggia ad Hamas, la domanda sorge spontanea: «Non siamo riusciti a raggiungere quelle persone perché siamo stati incapaci o perché chi aveva preparato tutto questo usa mezzi nuovi, diversi dai nostri?». Ecco perché Reanda si è detta scoraggiata: «Non vedo la possibilità di portare agli altri un po’ della conoscenza di cui noi ci siamo nutriti con grande fatica».
La «guerra ibrida» secondo Rutelli
La disinformazione non è un fenomeno spontaneo: è una strategia. Ecco perché Giorgio Rutelli, vicedirettore dell’Adnkronos, ha lanciato l’avvertimento: «Siamo l’obiettivo numero uno di una guerra ibrida che vuole partire da noi per colpire tutto l’Occidente». Un segnale positivo è arrivato recentemente da The Free Press di Bari Weiss (nato nel 2021): «È stato acquistato per 150 milioni da CBS. Lei è una delle giornaliste più brillanti degli Stati Uniti e ha raccontato in modo corretto e lontano dalla facile retorica il conflitto fra Israele e Hamas. Sarà a capo della parte editoriale di CBS, il suo motto è “news that reflects reality”. Un buon segno che c’è un mercato e dei lettori per un’informazione non sdraiata sulla guerra cognitiva che le autocrazie del mondo hanno dichiarato all’Occidente».
Tiliacos denuncia la «normalizzazione dell’odio»
Con tono veemente e deciso, Nicoletta Tiliacos, firma del Foglio, ha toccato un nervo scoperto: l’istruzione impartita ai più piccoli. «È mancata la “nostra” narrazione ma c’è qualcosa che ci deve “consolare” – ha aggiunto – Dall’altra parte la narrazione era pronta. Viaggiava già nelle risoluzioni dell’Onu, nella falsa terzietà delle istituzioni internazionali. Ci siamo illusi che bastasse il Giorno della Memoria per metterci al riparo dagli orrori». E ha sganciato una bordata verso alcuni insegnanti: «Quando le maestre portano i bimbi di sei anni con le bandierine a fare le Flotille di carta, significa che si sta cercando di far familiarizzare le nuove generazioni con l’idea che Israele è il male. È la normalizzazione dell’odio contro gli ebrei».

Il grande archivio di Israele

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