Le Ragioni di Israele

I pro-Hamas devastano La Stampa. Ecco il volto dell’Information war

di HaKol - 29 Novembre 2025 alle 20:15

Il rapporto tra giornalisti e Israele non è mai stato tanto complesso e contrastato come è oggi. Nella giornata che la Fnsi ha ieri dedicato allo sciopero della categoria – dopo due anni imperniati più su Gaza e Hamas che sulle esigenze dei giornalisti – una riflessione va fatta. E si può fare meglio alla luce della cronaca. A Torino, approfittando della redazione svuotata dallo sciopero, un gruppo di pro-Hamas si è introdotto negli uffici del quotidiano La Stampa, devastandoli. Decine di scrivanie rovesciate, schermi rotti, documenti distrutti. Sui muri, scritte inneggianti all’imam espulso e proteste contro chi scrive, nemico giurato di chi non ammette altra informazione al di fuori del megafono dei miliziani islamici. «Episodio gravissimo e pericoloso», denuncia in rete una delle firme del quotidiano torinese, Jacopo Iacoboni.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha chiamato il direttore Andrea Malaguti per esprimergli la propria solidarietà e sottolineare il proprio sconcerto. Rimane un altro fatto, che ben conosce chi si occupa di Information war, e si è occupato in questi due anni – dalla guerra di Hamas del 7 ottobre a oggi – dell’insano rapporto di frequentazione, di commistione e di vellicamento che una parte dell’informazione si è concessa nei confronti degli estremisti islamici. Di quelli che parlano arabo e di quelli, per molti aspetti più pericolosi, che parlano l’italiano nelle varie declinazioni regionali e che infestano – con la kefiah al collo e le bombe carta in mano – i cortei e le occupazioni da Torino a Napoli, da Milano a Roma, da Palermo a Bologna. Qualche testata ha pensato di poter nutrire la bestia, come si dice, magari per trarne un vantaggio in termini di popolarità o di copie vendute. Colpevoli illusioni, errori strategici. Il patto col diavolo non paga mai. Come si vede con il raid dei 50 antagonisti torinesi, ingrati nei confronti di chi ha ceduto a una certa narrativa tutto quel che si poteva concedere.

Del fenomeno, per molti aspetti fuori controllo in Italia, le istituzioni e gli apparati di sicurezza sembrano faticare a prendere le misure. Come fu negli anni bui in cui si esitò ad analizzare le dinamiche della lotta armata, oggi si scongiura l’uso di toni allarmati. Sperando che ciò di cui non si parla, poi non esistesse. Come se le frequenti violenze antisemite, anti-israeliane, antisioniste, la radicalizzazione, l’odio crescente che assume forme sempre più inquietanti potessero essere scongiurati semplicemente non parlandone. Proprio ieri se ne è occupato, con un ampio servizio, il Jerusalem Post nel suo supplemento settimanale internazionale. «L’Information war in corso in molti Paesi europei contro Israele è la guerra che non possiamo permetterci di perdere», scrive Seth I. Frantzman.

Per contrastarla, una quindicina di giornalisti italiani è stata impegnata in Israele per una settimana di inchieste, interviste, visite istituzionali e sopralluoghi nei punti più drammatici dell’attacco del 7 ottobre. Dal 23 al 28 novembre il gruppo dei giornalisti ha incontrato venti soggetti tra Knesset, Ministero degli esteri, Ong, forze politiche, analisti geostrategici e militari, ufficiali dell’IDF in posizioni di comando, kibbutzim di tre realtà diverse dal Nord al Sud di Israele, associazioni per i diritti delle donne, testimoni del 7 ottobre – tra cui una sopravvissuta, Mazal Tazazo – e perfino una fonte autorevole dell’intelligence israeliana. Il Riformista, coinvolto in ogni fase di questo press tour, ha potuto così essere testimone anche della maturata sensibilità dei giornalisti che hanno in più occasioni approfondito e verificato sul campo quanto sia stata troppo spesso scorretta la distorsione della realtà israeliana nei media italiani.

Tra gli incontri più toccanti, quello nel piccolo centro di Majdal Shams con i genitori della piccola Alma, uccisa a 11 anni da uno degli oltre cinquemila missili lanciati da Hezbollah, dal sud del Libano, verso obiettivi civili in Israele. Della notizia le testate giornalistiche italiane avevano preferito scrivere poco o niente. Davanti alla fierezza dei genitori di Alma, non ci sono censure (o auto-censure) possibili. E d’altronde non servono, non convengono, non proteggono più nessuno, le cedevolezze verso i terroristi. Per quindici giornalisti che sviluppano una competenza particolare grazie alla profondità di un press tour che funziona, ne rimangono molti altri che sperano nei velenosi vantaggi del fiancheggiamento. Per loro, che non hanno visto i fori dei proiettili e le ossa bruciate da Hamas come le abbiamo viste noi, suggeriremmo una visita di approfondimento, quando non in Israele, almeno nei locali della redazione della Stampa.

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