Esteri
I “vicini” di Israele: Sharaa il pragmatico e Erdoğan l’ideologico. I timori di Ankara sulla forte alleanza anti-iraniana
di HaKol - 23 Settembre 2025 alle 15:15
L’incontro internazionale annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite vede la spinta di decine di paesi che annunceranno la loro intenzione di riconoscere uno stato palestinese anche se formalmente non ancora costituitosi, inoltre l’assise vede presso il Palazzo di Vetro al debutto la Siria di al-Sharaa, ex leader qaedista, sulla cui testa pendeva fino a poche settimane fa una taglia degli Usa di 10 milioni di dollari. Ora è il primo leader siriano a partecipare alle riunioni dell’ONU dal 1967.
Per il presidente turco, che sta preparando il suo discorso alle Nazioni Unite, “l’occupazione israeliana e le atrocità commesse a Gaza rappresentano una delle più grandi prove di coscienza umana”. La Turchia, sostiene Erdoğan, lavora per raggiungere un cessate il fuoco, per garantire la fornitura ininterrotta di aiuti umanitari e rivitalizzare la soluzione dei due Stati, basata sui confini del 1967 con Gerusalemme Est capitale del futuro stato palestinese.“Ciò è un imperativo per una pace e una stabilità duratura in Medio Oriente”, sostiene il leader turco. “Il nostro appello alle nazioni del mondo è chiaro: riconoscete lo Stato di Palestina!”.
Il presidente turco descrive il conflitto arabo-israeliano utilizzando una narrazione che contrappone “la croce alla mezzaluna”. È convinto che il conflitto in Medio Oriente sia centrale per le ambizioni regionali della Turchia. La reazione di Erdoğan all’offensiva israeliana a Gaza è sia propagandistica che ideologica ed è improbabile che si attenui. Le infuocate invettive di Erdoğan contro Israele, accusato di essere uno “stato criminale”, sono un misto di propaganda ad uso interno e di una forte e dominante impronta ideologico-culturale. Eppure, la politica turca, dopo oltre un decennio di litigi con tutti i suoi vicini regionali, dopo lo scoppio delle cosiddette “primavere arabe”, è tesa a ridefinire il proprio ruolo sul piano regionale e globale nel nuovo contesto post bipolare, attraverso la riconciliazione e il dialogo con tutti i paesi dell’area, puntando alla stabilità e alla integrazione economica. La Turchia, nonostante periodici screzi e duri scontri, era stata finora percepita da Israele come il più stretto amico in Medio Oriente per buona parte dei 75 anni di relazione durante i quali Ankara e Israele avevano sviluppato non solo una stretta relazione tra governi, ma anche tra i popoli. Ora lo scontro tra Turchia e Israele si esteso alla Siria.
Il governo israeliano percepisce come una minaccia l’alleanza tra Ankara e Damasco e non tollera la presenza di basi dell’esercito turco nella Siria meridionale dove di fatto l’IDF sta creando un protettorato israeliano, con l’estensione del controllo oltre le alture del Golan e nei Governatorati di Quneitra e Suweida dove vive la minoranza musulmana-sciita drusa che rivendica l’autonomia e che considerata eretica dai sunniti e per questo ferocemente repressa dalle forze jihadiste sostenitrici del governo di al-Sharaa. Ankara teme anche che si possa consolidare una forte alleanza in funzione antiraniana e turca tra Gerusalemme e i curdi-siriani che controllano gran parte dell’est e nordest della Siria e che che ora si rifiutano di integrarsi pienamente nel nuovo esercito nazionale siriano a meno che non venga garantito loro un modello di governo decentralizzato per il Paese.
Intanto Netanyahu, in cambio di un margine di manovra su Gaza, si mostra disposta a sostenere la spinta di Trump per un nuovo accordo sui confini con la Siria. Gli Stati Uniti stanno lavorando intensamente per organizzare un incontro storico tra il primo ministro israeliano Netanyahu e il presidente siriano Sharaa a margine della riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Israele e Siria sarebbero prossimi alla firma di un accordo di sicurezza che riafferma l’intesa conclusa dopo la guerra del Kippur del 1973. Non è stato ancora fatto alcun annuncio ufficiale, ma fonti diplomatiche a Washington sostengono che un accordo potrebbe essere imminente. Tuttavia le condizioni poste da Israele a Damasco appaiono ancora fortemente penalizzanti per Sharaa. Israele realizzerebbe un suo protettorato di fatto in Siria, dopo il suo ritiro dall’accordo sul confine del 1974 stipulato dopo la guerra del Kippur del 1973.
L’intesa emergente non è un vero accordo di pace o di normalizzazione, ma è comunque una buona notizia per Israele, la Siria, la regione in generale e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L’amministrazione Trump ha intrapreso sforzi concertati per mediare un’intesa tra i due vicini, guidati principalmente dall’ambasciatore statunitense in Turchia, Tom Barrack. Mercoledì Sharaa ha dichiarato ai giornalisti che i negoziati in corso con Israele su un patto di sicurezza potrebbero dare risultati “nei prossimi giorni”. Per Trump, un accordo tra due vicini che hanno combattuto aspre guerre in passato potrebbe contribuire, in una certa misura, a compensare le delusioni dei suoi tentativi di porre fine alla guerra di Israele nella Striscia di Gaza e al conflitto tra Russia e Ucraina.