Il caso del prof Nivarra non è isolato

di Paolo Crucianelli - 31 Agosto 2025 alle 12:18

Il professor Nivarra, docente di Diritto Civile presso l’Università degli Studi di Palermo, dove ricopre anche il ruolo di Decano del dipartimento di Giurisprudenza, è balzato all’onore delle cronache per un esecrabile post antisemita pubblicato su Facebook. Non solo non si è pentito, ma ha reiterato le sue posizioni.

In risposta a numerose critiche ricevute sul social in questione, il professore ha sostenuto l’insostenibile, scrivendo: “Quanto all’iniziativa che ho proposto, non vi era ombra di antisemitismo; era solo un modo di manifestare il proprio sdegno agli amici ebrei rimasti sin qui silenziosi.”

In un altro post sostiene che “l’antisemitismo è usato come arma finale nei confronti di quanti manifestano riserve sulla politica colonialista, razzista e suprematista perseguita da Israele nei confronti dei palestinesi.” Si riferisce ad Israele come “l’entità sionista”, esattamente come fanno l’Iran e Hamas. Conclude il suo ragionamento scrivendo che “non ci sono israeliani buoni”.

In pratica il professore di diritto elenca con assoluta noncuranza alcune delle definizioni cardine dell’antisemitismo, sostenendo che non lo siano affatto.

Affermazioni di questo tenore resterebbero confinate nell’irrilevanza di un oscuro post su Facebook, se non fossero state firmate da un professore autorevole all’interno di una grande università pubblica italiana. Ed è questo che rende la cosa particolarmente allarmante.

Quando Hannah Arendt descrisse il processo a Adolf Eichmann, coniò l’espressione “la banalità del male” per spiegare come il male più profondo potesse assumere le sembianze dell’apparente razionalità burocratica. Oggi potremmo parlare di “marciume morale”: una forma di veleno intellettuale che permette a persone colte e influenti di veicolare odio sotto le spoglie del pensiero critico. È proprio questa la dimensione più inquietante del caso Nivarra.

È un segnale positivo che il mondo accademico abbia preso nettamente le distanze dal professore. Il Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, Massimo Midiri, ha parlato di “un’iniziativa personale culturalmente pericolosa e lontana dai principi dell’Ateneo”. La Ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha definito le sue affermazioni “inaccettabili”, aggiungendo che offendono “non solo il popolo ebraico ma tutti coloro che si riconoscono nei valori del rispetto e della convivenza civile”.

Purtroppo, il caso del professore palermitano non è isolato. Episodi analoghi si stanno moltiplicando in diverse università europee e americane, dove l’odio verso Israele si traveste da attivismo e il pregiudizio antiebraico si diffonde nei corridoi del sapere. È un allarme che va preso sul serio: perché quando l’università, che dovrebbe educare alla complessità e al confronto, diventa megafono del disprezzo, la deriva culturale non è solo possibile. È già cominciata.

Il grande archivio di Israele

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