Israele nel mirino
Il fondo sovrano norvegese boicotta gli investimenti in Israele. Ma è solo una questione di immagine
di HaKol - 23 Agosto 2025 alle 12:24
Prosegue la campagna di boicottaggio dell’economia israeliana. Questa volta, però, non si tratta della botteguccia della vecchia Milano o della pizzeria di Napoli che espongono irricevibili cartelli nello stile “Juden raus”. È il fondo sovrano norvegese a dire stop agli investimenti in Israele. Una vicenda ben più complessa, che chiama in causa la finanza internazionale, la morale e, si auspica, dovrebbe far riflettere il governo di Oslo sulle sue relazioni con Tel Aviv.
Nel senso tecnico, come funziona un’operazione del genere? Con quali ripercussioni? Sono queste le due domande da cui partire. «Non è un’operazione difficile», commenta Giuseppe Russo, economista e direttore del Centro Einaudi. «Molte società sono quotate al Nasdaq. Quindi sono liquide. Ma anche ciò che non è quotato è facilmente vendibile. Gli advisor hanno liste di investitori pronti a entrare su asset di qualità. La scelta del fondo sovrano non impatta sulla continuità aziendale di quelle società. È più una questione di immagine che sostanziale».
Il Fondo governativo norvegese per le pensioni globali (Gpfg), gestito da Norges Bank Investment Management (Nbim), è il più grande fondo sovrano del mondo. Alla fine del 2024 ha raggiunto la cifra record di quasi 20 miliardi di corone norvegesi, pari a circa 1,95 trilioni di dollari, registrando un aumento di 400 milioni di dollari nel corso dell’anno, principalmente grazie a un forte rendimento degli investimenti azionari. Il portafoglio del fondo è altamente diversificato, con investimenti in 70 Paesi e 42 valute, poco meno di 9mila società quotate, 7mila obbligazioni di 1.507 emittenti, 910 proprietà non quotate e 7 investimenti in infrastrutture per energie rinnovabili non quotate. La sua allocazione a fine 2024 era del 71,4% in azioni, 26,6% in reddito fisso, 1,8% in immobili non quotati e 0,1% in infrastrutture per energie rinnovabili non quotate.
Per quanto riguarda le partecipazioni in società israeliane, al 2024, il Nbim investiva 1,95 miliardi di dollari, con 65 imprese israeliane in portafoglio tra cui Bank Leumi, Elbit Systems, Check Point Software. Altre società partecipate sono classificate sotto Paese diverso, probabilmente per proprie motivazioni di sede fiscale. È il caso di Mizrahi Tefahot Bank Ltd, Israel Discount Bank Ltd, Azrieli Group Ltd, Global-e Online Ltd e OPC Energy Ltd. In termini percentuali, Israele rappresenta lo 0,1% sugli investimenti globali del fondo.
«In termini di movimenti finanziari, la scelta muove poco denaro», osserva Russo. «Va ricordato che, in economia, l’utile è l’obiettivo ed è misurabile. L’onestà, a sua volta, è l’obiettivo della morale, ma non ha un metro unico come il guadagno per l’economia. L’utilitarismo liberale dice che è onesta un’azione se produce il massimo bene per il maggior numero di persone possibile, e dunque se le sue conseguenze sono positive è morale». Quella del fondo si rivela quindi un’operazione di coscienza pulita, che pretende di fare a nome di tutti i suoi soci. «Occupare Gaza è morale? Dipende. Come lo è stato bruciare Hiroshima con le sue donne e i suoi bambini. D’altra parte, la conseguenza della bomba atomica è stata la pace e salvare due milioni di soldati che sarebbero morti. Agli occhi degli utilitaristi liberali, se oggi Israele libera dal terrorismo Hamas e permette anche ai palestinesi un futuro di pace, è moralmente nel giusto. Anche se l’azione non è positiva per tutti». Resta da chiedersi se il Nbim abbia il potere di stabilire per tutti cosa sia bene e cosa sia male.