Esteri

Il massacro dei drusi in Siria: a proteggerli c’è solo Israele

di HaKol - 30 Luglio 2025 alle 15:09

“Improvvisamente ci siamo trovati ad assistere in diretta, proprio come durante il 7 Ottobre, al massacro di un altro popolo: il nostro”. Sono queste le parole di Rania Fadel Dean, drusa nata e cresciuta in Israele che oggi vive negli Stati Uniti. Qui, da 14 anni, dedica la sua vita – grazie alla ONG “Covenant” – a far conoscere internazionalmente il dramma dei drusi, minoranza che vive dispersa tra Libano, Siria, Giordania e Israele: unico Paese che è prontamente corso a difenderli, così come i drusi si erano immediatamente recati nei kibbutz colpiti da Hamas nel corso del Sabato Nero. “Proprio come allora – racconta – anche questa volta le milizie di Al Qaida hanno ucciso, rapito e stuprato centinaia di persone: donne, uomini e bambini. Il massacro è ancora in corso ma nessuno ne parla. E non siamo l’unica minoranza ad essere quotidianamente vessata dal nuovo regime instaurato da Al Jolani: cristiani e alawiti vengono colpiti da mesi”.
Gli scontri di Sweida
Gli scontri di questo mese a Sweida, nella Siria meridionale, hanno mostrato la drammatica situazione dei drusi: video e atrocità, che nelle dinamiche ricordano molto il massacro del 7 Ottobre, hanno spinto centinaia di drusi del Golan ad attraversare il confine di Israele per riversarsi in Siria in soccorso dei loro fratelli, fino all’attacco a Damasco da parte dell’IDF contro le forze governative siriane: “L’esercito israeliano è l’unico a proteggerci. Siamo solo un milione e mezzo di drusi di cui circa 750.000, ovvero il gruppo più grande, concentrati in Siria. Per questo stanno provando a cancellarci”. Rania Fadel Dean non è l’unica donna drusa che si dedica alla causa del suo popolo cercando di varcare i confini della regione in cui vivono la maggior parte di loro. Abbiamo intervistato tre giovani druse che vivono in Israele e hanno appena completato il master in diplomazia ISRAEL-IS, con lo scopo di aiutare giovani professionisti drusi a far sentire la propria voce su scala globale, attraverso programmi di advocacy internazionale.
Malak Khizran
Malak Khizran spiega come uno dei drammi della sua comunità consista nel fatto che, per via del loro forte senso etico, siano sempre molto leali nei confronti dello Stato in cui vivono: “Ma questo non sempre è a nostro favore, perché il nuovo regime di Al-Jolani ci accusa di essere ancora fedeli al precedente, guidato dall’ex presidente Bashar al-Assad. Si tratta solo di una scusa: la volontà è quella di sterminarci come stanno facendo anche con cristiani e alawiti. Dovrebbe essere il nostro Stato a proteggerci, mentre a farlo sono gli israeliani, proprio per il legame indissolubile tra i nostri due popoli, fin dalla fondazione di Israele nel 1948. Il rispetto verso l’altro è uno dei valori con cui sono cresciuta qui e che cerco di insegnare a scuola, ai bambini di tutte le diverse comunità che vivono in questo Paese”.
Lauren Farahat
Anche Lauren Farahat è un insegnante e lo fa come parte del “servizio nazionale” al posto del militare, di cui i drusi sono parte integrante e molti dei quali appartengono anche ai ranghi più alti dell’IDF: “In Israele vivono circa 150.000 drusi e ricoprono tutti i diversi ruoli della società: dall’esercito all’accademia, dall’educazione alla politica: per questo i drusi della diaspora vedono in quelli israeliani un modello di riferimento e gli unici, di fatto, pronti a difendere la nostra comunità anche al di fuori di Israele. Il mondo deve sapere che è attualmente in corso il genocidio del nostro popolo. E sotto gli occhi di tutti, proprio come è accaduto il 7 ottobre ai nostri fratelli israeliani. Ma il nostro non è durato solo un giorno: sta continuando e non siamo l’unica minoranza del Medio Oriente a subire ogni giorno operazioni di pulizia etnica da parte dell’Islam radicale”. A distanza di settimane, Sally Ktish non ha ancora notizia dei suoi cugini, alcuni dei quali sono stati uccisi e altri rapiti: “l’ultima volta che hanno parlato con mia nonna al telefono le hanno detto semplicemente: “sono arrivati”. Poi abbiamo sentito il rumore degli spari e da allora non abbiamo più loro notizie. E pensare che sarebbe potuto succedere alla mia famiglia se mia nonna, prima ancora del 1948, non avesse deciso di stabilirsi nel nascente Stato di Israele, certa che sotto l’ombrello di questo Paese, come donna, avrebbe potuto trovare migliori opportunità sia in termini di educazione che professionali. Ma, soprattutto, la protezione garantita da chi ha a cuore tutte le minoranze che vi abitano”.

Il grande archivio di Israele

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