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Il verdetto di Londra: nessun genocidio da parte di Israele

di HaKol - 10 Settembre 2025 alle 07:00

Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. E non è affatto un caso che, come spesso accade nei momenti più bui della storia, sia proprio l’Inghilterra a indicare con decisione la rotta da seguire.

Ieri da Londra è arrivato un colpo deciso alla narrazione globale che porta sempre e solo Israele sul banco degli imputati per ogni sorta di crimine a danno dei palestinesi. Senza mezzi termini e con inaspettato coraggio, il governo britannico ha stabilito che le azioni del governo di Tel Aviv a Gaza “non costituiscono genocidio”. Chiaro, inequivocabile, definitivo. In una lettera inviata prima del rimpasto voluto da Starmer e resa pubblica proprio nella giornata di ieri, l’ex ministro degli Esteri britannico, ora vicepremier, David Lammy, ha spiegato che, secondo la valutazione del ministero, non vi è mai stato da parte di Israele un “intento specifico di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

In breve, in base ai criteri indicati dalla Convenzione Internazionale sul genocidio, Londra dichiara esplicitamente che nessuno di questi punti è stato violato per precisa volontà dall’inizio del conflitto da parte di Israele. La presa di posizione inglese è simbolica e fortemente evocativa sia perché avviene a cavallo della ricorrenza del 7 ottobre, sia perché segna un cambio rispetto alla linea precedente di Downing Street che rimandava la questione esclusivamente ai tribunali.

La ricaduta di questo schieramento avrà effetti anche al di fuori dei confini britannici. Infatti, è la prima volta che Londra si espone ai massimi livelli, per bocca di un vicepremier. Il passo avanti cambia radicalmente lo scenario che ora diviene tutto politico. Fino a ieri, infatti, la definizione di pericolo terroristico era demandata ai giudici e ai “tecnici” del Ministero degli Interni, sul cui sito viene periodicamente aggiornata la blacklist di organizzazioni e dei gruppi dichiarati fuori legge.

Elenco dove spicca Hamas e l’ultima arrivata, Palestine Action, messa al bando lo scorso giugno. Con la netta negazione dell’accusa di genocidio, tornare indietro non sarà facile per nessuno ed è curioso che, ancora una volta, spetti alla Gran Bretagna agire come faro per un’Europa, di cui peraltro non è più parte, impantanata nei suoi stessi tentennamenti. Benché anche la recente freddezza della Commissione Europea sul sostegno alla Flottiglia lasci pensare che anche a Bruxelles il vento stia cambiando. Contemporaneamente Starmer, in occasione di un bilaterale con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, ha annunciato di essere pronto a riconoscere lo Stato di Palestina entro la fine del mese, salvo condizioni stringenti imposte a Israele.

Decisione che sarà comunque valutata il prossimo mercoledì quando accoglierà il presidente israeliano, Isaac Herzog. Se è vero che la politica agisce ascoltando gli umori del popolo, forse dalle parti di Downing Street deve essere arrivato chiaro e forte il messaggio delle migliaia di cittadini londinesi che domenica hanno sfilato con le bandiere dello Stato israeliano, ma anche del Regno Unito, italiane e francesi, a sottolineare valori comuni e adesione internazionale per richiedere la liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas e la fine della guerra. Non c’è stato nessuno scontro, nessun gesto violento, nessun intervento della polizia. Nelle piazze adiacenti si volgeva l’ennesima manifestazione pro-Pal. Ottocento novanta gli arresti avvenuti. Due mondi che non si parlano più.

Il grande archivio di Israele

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