Israele e Iran, rotta di collisione: cresce il rischio di una nuova guerra?
di Paolo Crucianelli - 29 Ottobre 2025 alle 11:54
Dopo i 12 giorni di scontro diretto fra Israele e Iran dello scorso 13-24 giugno, il rischio di un nuovo round è crescente. Israele ha la consapevolezza di una vittoria operativa, frutto di un attacco militare di straordinaria precisione ed efficacia. Attacchi coordinati contro infrastrutture legate al programma nucleare e alle capacità missilistiche, azzeramento della difesa aerea iraniana, con Teheran costretta a incassare e a reagire solo con ondate di droni e missili, gran parte intercettati anche grazie all’ombrello Usa. Fonti militari hanno dichiarato che per la parte difensiva dell’“Operation Rising Lion” furono impiegate massicciamente difese aeree statunitensi (THAAD) in integrazione allo scudo antimissile israeliano. Il costo stimato degli intercettori impiegati e/o rimpiazzati dagli Usa si è attestato intorno ai 600 milioni di dollari, a conferma dell’intensità del confronto e del coinvolgimento di Washington.
Dall’altra parte, però, anche a Teheran si è sedimentata una narrativa di “resilienza”: il regime ha rimarcato la continuità della catena di comando, nonostante gli omicidi mirati e la capacità di ripristinare rapidamente quadri e funzioni, traendo dal fatto stesso di aver retto uno scontro diretto con Israele — e con gli Stati Uniti a supporto — un capitale politico interno. In parallelo, l’Iran ha accelerato annunci e test relativi all’arsenale missilistico offensivo e alla difesa aerea, e lavorerebbe a legami con Mosca e Pechino per dotarsi di sistemi più avanzati, dopo le vulnerabilità emerse nel conflitto.
Sul dossier nucleare, la pressione diplomatica è cresciuta: il 28 settembre Francia, Germania e Regno Unito (E3) hanno attivato lo “snapback” Onu, ripristinando le sanzioni sospese con il JCPOA del 2015 — inclusi embarghi su armi e missili — a causa della cooperazione insufficiente dell’Iran con l’AIEA. Teheran ha reagito con dure proteste e minacce di ulteriore riduzione dei controlli; il rial (la moneta iraniana) è scivolato a nuovi minimi storici. Per gli europei la mossa è un tentativo di ricreare leva negoziale, ma aumenta anche la probabilità di attriti, se l’Iran dovesse perseverare e tentare di ripristinare le capacità nucleari come sembra voler fare, almeno a parole.
Il nodo centrale resta strategico: cosa potrebbe ottenere una “seconda guerra”? In molti a Gerusalemme riconoscono che le sole campagne aeree difficilmente rovesciano un regime; la guerra dei 12 giorni ne è la prova. Nonostante le speranze di mezzo mondo, il regime degli Ayatollah è ancora alla guida del Paese. Anche i danni agli impianti nucleari non cancellano conoscenze e scorte, come i famosi 400 kg di uranio arricchito al 60%, che Teheran sarebbe riuscito a spostare prima dell’attacco finale americano agli impianti (Israele sostiene, comunque, di sapere dove è stato nascosto). L’Iran ha profondità geografica e un’esperienza storica di guerra di logoramento che suggerisce cautela.
Se nel giugno scorso Israele ha beneficiato dell’effetto sorpresa e di un sostegno militare statunitense straordinario, non è garantito che simili condizioni si ripetano. Ciò rende più complicata sia la gestione dell’escalation sia la definizione di un’uscita di sicurezza, soprattutto se Washington, impegnata su più fronti globali – l’ultimo in ordine di tempo potrebbe essere il Venezuela – adottasse una postura meno intensa.
Sul piano giuridico-diplomatico, lo “snapback” rafforza la linea E3 e UE nel chiedere all’Iran di ridurre l’arricchimento e ristabilire accesso agli ispettori, ma alimenta negli Ayatollah l’idea che la via diplomatica equivalga a “resa”, spingendo i falchi verso un’opzione militare preventiva qualora percepissero imminenti nuove operazioni israeliane. Il risultato è una finestra di rischio più ampia: l’Iran potrebbe arrivare al prossimo round più preparato, mentre Israele — pur mantenendo superiorità qualitativa, soprattutto aerea — dovrebbe calibrare con estrema precisione obiettivi e tempi per evitare un conflitto lungo e costoso sul fronte interno.
In sintesi: negoziati in stallo, sanzioni ripristinate, deterrenza messa alla prova e apparati militari che si riadattano. La rotta di collisione non è inevitabile, ma più probabile di qualche mese fa. La domanda chiave, per entrambe le parti e per gli alleati, resta la stessa: il pericolo nucleare. Israele non accetterà mai che Teheran si riavvicini all’atomica, ma il regime di Khamenei non sembra volerci rinunciare.