L'editoriale

Israele e la mancata proporzionalità nella risposta armata: un mito da sfatare

di Francesco Lucrezi - 29 Agosto 2025 alle 12:00

Una delle più eclatanti manifestazioni di strumentalizzazione consiste nell’argomento della presunta mancanza di proporzionalità che, nel conflitto in corso, starebbe esercitando Israele. Un argomento che utilizza l’evidente “oggettività” della matematica per sostenere un’evidente “colpa” dello Stato ebraico. E nessuno sembra accorgersi del fatto che questo argomento intrecci la matematica.

Dunque, il ragionamento sarebbe questo. Secondo le fonti di Hamas, tra i gazawi, dopo il 7 ottobre, si conterebbero circa 60mila vittime, mentre gli israeliani ne avrebbero avute circa 1.200, oltre i 50 ostaggi (di cui la maggioranza morta) ancora prigionieri. E 60mila, certamente, è più di 1.250. La matematica non è un’opinione. I dati di Hamas, ovviamente, si possono e devono contestare, dal momento che i numeri sono certamente gonfiati, e tra le vittime vengono contati anche moltissimi terroristi armati, che tanto innocenti non sono. Ma, in ogni caso, non c’è dubbio che i gazawi morti siano più degli israeliani, e, quindi, non dovrebbe esserci alcun dubbio sul fatto che gli israeliani siano “più cattivi” dei gazawi.

Se però usciamo dall’analisi d’impatto, potremmo cercare di ricordare che il rapporto tra guerra e diritto esiste dagli albori della civiltà umana, dal momento che entrambi i fenomeni esistono, appunto, dall’alba della civiltà. Dove non c’è diritto non c’è società organizzata, ma anche, piaccia o non piaccia, non è mai esistita una società che non abbia conosciuto, praticato e subìto la guerra. E di questo rapporto si sono occupati tutti, ma proprio tutti: gli egizi, i babilonesi, gli assiri, gli ittiti. Se ne parla nella Bibbia, i romani dedicarono ad esso una specifica scienza giuridica, lo ius fetiale, i Padri della Chiesa (in particolare Sant’Agostino) si impegnarono a tracciare i presupposti del cosiddetto bellum iustum. La questione fu ampiamente trattata dal capostipite del moderno diritto internazionale, Ugo Grozio, nel suo De iure belli ac pacis, ed è oggetto di definizione in quasi tutte le vigenti Costituzioni, di Paesi tanto democratici quanto totalitari (tra cui, com’è noto, la nostra).

Ebbene, nel corso dei millenni, mai (ripeto: mai) la presunta legittimità di una condotta militare è stata giudicata sulla base della sua “proporzionalità”. Qualcuno ha forse usato questo argomento per giudicare la guerra del Peloponneso, le guerre puniche, la Prima e la Seconda guerra mondiale? Qualcuno ha mai perso tempo a contare i morti ateniesi, spartani, cartaginesi, romani, inglesi, americani, tedeschi, giapponesi? Naturalmente, ciò non significa affatto che non ci si debba dolere per le tante, troppe vittime innocenti del conflitto (solo per quelle veramente innocenti, però: mettere sullo stesso piano, come fanno tutti, i veri bambini con i giovani combattenti armati di kalashnikov rappresenta un intollerabile insulto ai veri innocenti). Piangere per quelle morti è doveroso, così come, però, è doveroso chiedersi chi sia davvero il responsabile. E come sarebbe doveroso ricordare che, quando i soldati dell’Idf colpiscono, cercano sempre (sempre) di evitare il più possibile le vittime civili, mentre i terroristi cercano sempre (sempre) di fare l’esatto contrario.

La condotta militare di Israele può e deve essere giudicata, ma sulla base di due soli criteri: gli obiettivi perseguiti sono legittimi o pretestuosi? Si cerca di raggiungerli in un modo adeguato? Ovviamente, si può rispondere di no a entrambe le domande. Ma chi risponde di no risponda anche a questo interrogativo: Israele avrebbe dovuto limitarsi, “proporzionalmente”, a stuprare un determinato numero di donne e di cadaveri e a bruciare vivi un preciso numero di bambini, non uno di più né uno di meno? E magari preparandosi a ripetere l’identica cosa dopo sei mesi, e poi di nuovo altri sei, all’infinito?

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI