Le Ragioni di Israele
Israele e l’odio dei Pro-Pal: così ne ‘La società aperta e i suoi nemici’ Karl Popper parlava di tolleranza
di Michele Magno - 25 Luglio 2025 alle 13:10
Se le autorità cattoliche nel Medio Oriente paragonano Gaza a un lager a cielo aperto, un problema c’è. Perché dovrebbero anche ricordare che quel lager da quasi vent’anni è governato da Hamas. Se le stesse autorità considerano le preghiere antisemite dei fedeli musulmani come un’espressione di libertà religiosa, un problema c’è. Perché la passività, se non l’acquiescenza, verso i predicatori d’odio spesso deriva da un malinteso principio di tolleranza. Karl Popper nel 1945 scriveva: “Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti; se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi […] Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti” (“La società aperta e i suoi nemici”).
Questa posizione del filosofo austriaco è stata criticata da molti studiosi, in quanto si basa sull’assunto che “laddove non arriva la ragione, deve arrivare la violenza”. In realtà, la questione è più semplice: se l’intollerante rifiuta il confronto delle idee, e cerca di imporre le sue con la forza, non è forse lecito anche per il tollerante difendersi con la forza? Del resto, “Vim vi repellere licet” (è lecito respingere la violenza con la violenza), presente già nel Digesto di Giustiniano (533), è accettato da ogni ordinamento giuridico democratico.
La tolleranza, poi, non ha nulla da spartire con il multiculturalismo, uno dei grandi abbagli della cultura “progressista” del tempo presente. Perché la prima presuppone una diversità che produce integrazione, come ci ha spiegato Giovanni Sartori nelle sue memorabili lezioni sulla democrazia; il secondo batte la via opposta, perché promuove l’identità separata di ogni gruppo religioso. E i suoi frutti avvelenati li abbiamo visti tutti nelle città europee.
Infine, diciamoci la verità: sul piano teologico, la distanza tra islam e cristianesimo è incolmabile. E questo complica maledettamente la questione del dialogo tra chi crede nella Bibbia e chi crede nel Corano. Ne era convinto il protestante Jacques Ellul, seguace di Karl Barth e di simpatie anarchiche. E ne era convinto il cattolico liberale conservatore Alain Besançon, a cui si deve una ricerca magistrale sulla letteratura filoislamica che ancora oggi si vende nelle librerie occidentali. Letteratura in cui spiccano le opere di autori cristiani, attratti da ideologie terzomondiste e sedotti dal presunto “spirito comunitario” dell’islamismo tradizionale. In fondo, a molti cristiani i musulmani appaiono migliori degli ebrei perché, diversamente da questi, onorano Gesù e Maria.