Le Ragioni di Israele

Israele, i racconti di Ben Carasso e i sentimenti sulla guerra: “Mio nonno deportato ad Auschwitz, oggi non mi sento al sicuro”

di HaKol - 7 Novembre 2025 alle 12:25

Ben Carasso ha solo 10 anni e come tutti gli altri bambini in Israele ha vissuto la guerra da vicino. Dopo il 7 ottobre alcuni suoi parenti si sono uniti ai combattimenti a Gaza. Durante la guerra Ben ha trascorso molte notti in una stanza di sicurezza in cemento, senza finestre né aria mentre la città dove vive, Tel Aviv, veniva colpita da centinaia di missili, alcuni caduti proprio vicino a casa sua. Così Ben ha iniziato a raccontare la sua storia e quella dei suoi coetanei d’Israele con dei video online. Con l’inizio della tregua abbiamo parlato con lui del suo sogno.

Raccontaci chi sei.
«Ho 10 anni. Sono nato e cresciuto in Israele. Sono la terza generazione di un sopravvissuto all’Olocausto e la quarta generazione dei fondatori della città di Tel Aviv. Sono solo un bambino normale, mi piacciono lo sport e stare con gli amici. Da quando sono nato ci sono state cinque operazioni militari durante le quali razzi provenienti dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati contro la mia casa. Quando è avvenuto il massacro del 7 ottobre e la guerra è iniziata, ho sentito che dovevo raccontare al mondo cosa stanno vivendo i bambini d’Israele. Vogliamo soltanto un’infanzia normale e la pace».

Come hai iniziato a parlare online della guerra?
«Il papà di un mio amico è stato rapito e portato a Gaza. La sua famiglia cercava di riportarlo a casa parlando con la tv, ma il mio amico non riusciva a parlare. Così, ho deciso di parlare io per lui, per raccontare come si sente un bambino a cui hanno rapito il padre. Ho parlato online della guerra, raccontando che anch’io avevo paura dei bombardamenti. Ho parlato anche degli ostaggi, incluso la cugina del mio amico, Romi Gonen, anche lei rapita e portata a Gaza. Sono andato fino a Londra per appendere i manifesti degli ostaggi e ho parlato a tutto il mondo di ciò che devono affrontare i bambini israeliani».

Pensi che quello che fai è importante?
«Quando la guerra è iniziata, tutti soffrivano, ma nessuno diceva cosa provavamo noi i bambini. Ho un amico evacuato da casa per un anno e mezzo, e un altro che ha il papà ferito in guerra e non può più giocare con lui. Mi sono svegliato di notte con le sirene, ho dormito sul pavimento del rifugio, non potevo andare a trovare gli amici perché c’erano i bombardamenti. Non ho un’infanzia normale. Per me è importante che il mondo lo sappia e non ascolti solo le fake news di Hamas».

Ti è mai capitato che qualcuno ti abbia detto cosa dire nei tuoi video?

«No, nessuno mi dice cosa dire, perché nessuno ha bisogno di spiegarmi cosa proviamo io e i miei amici. Durante la guerra sono stati uccisi 62 bambini, 36 rapiti. 116 bambini sono rimasti senza genitori, 20mila feriti e altri 50mila sono rimasti senza casa. C’è un bambino in Europa o negli Stati Uniti che deve affrontare tutto questo? C’è un bambino in Italia che, quando va a casa di un amico, la prima cosa che fa è cercare dov’è il rifugio? Nessuno deve dirmi cosa dire».

Hai mai pensato di andare via da Israele per la guerra?
«No, qui è l’unico posto dove sono al sicuro. Quando viaggio ho paura che qualcuno scopra che sono ebreo e israeliano, è ancora più spaventoso dei razzi. L’idea che qualcuno possa volermi fare del male perché sono ebreo o israeliano è quello che provava mio nonno 80 anni fa quando Israele non esisteva ancora. Fu deportato ad Auschwitz e fu l’unico sopravvissuto della sua famiglia. Mio nonno aiutò a fondare Israele perché aveva capito che c’è un solo posto dove gli ebrei possono essere al sicuro: Israele. Ora non siamo più così tranquilli».

Cosa vuoi far vedere nei tuoi video?
«Quello che provo io e i bambini come me, e perché Israele è speciale. Parlo di quello che faccio e di quello che penso, come quando la squadra israeliana di ginnastica artistica non è stata ammessa ai mondiali in Indonesia solo perché israeliana. Questo mi ha colpito molto: anch’io pratico ginnastica e mi alleno tante ore. So cosa significa e quanto sia ingiusto. Partecipo a campagne incontro studenti e ragazzi di altri Paesi per raccontare Israele perché spesso sentono versioni completamente diverse da quelle trasmesse dalle loro tv dove la propaganda anti-israeliana è fortissima».

Hai mai subìto antisemitismo online?
«Sì, molto. Non importa se scrivo che sono felice per il ritorno degli ostaggi, per la fine della guerra o se faccio semplicemente gli auguri per una festa: arrivano sempre insulti come “ti fanno il lavaggio del cervello”, “assassino di bambini”, “torna ad Auschwitz” e altre frasi terribili. C’è persino un ‘giornalista’ pro-Pal che distorce ogni mio post scrivendo cose orribili. Per questo ho fatto un video dove ho detto: “Sono solo un bambino di 10 anni che condivide i propri sentimenti su questa guerra. Perché mi attaccate?”. E ho chiesto a chi mi segue di rispondere con un #messaggiodamore».

Hai subìto antisemitismo anche nei tuoi viaggi?
«Sì. Durante una manifestazione a Londra per chiedere la liberazione degli ostaggi. Non riuscivo nemmeno a parlare. Quando sono uscito dal Parlamento inglese, dove ero stato invitato, ho visto una protesta pro-Pal. Una signora anziana mi ha detto che Israele “sta affamando i bambini di Gaza”. Le ho chiesto: “Come lo sai?” ma non mi ha saputo rispondere. Le ho detto che avevo visto centinaia di camion di aiuti entrare a Gaza, ma lei ha continuato a negare, citando Hamas. Quando le ho spiegato che è Hamas a sottrarre il cibo ai bambini di Gaza e a far morire di fame gli ostaggi, mi ha chiesto se fossi israeliano e ha iniziato a insultarmi invece di rispondere. Non ha nemmeno condannato il massacro del 7 ottobre. Un’altra volta, a New York, a Times Square, qualcuno ha cercato di colpirmi perché indossavo una Stella di David mentre registravo un video».

Hai paura?
«A volte sì. Ma ho capito che essere un ebreo orgoglioso non significa non avere paura: significa fare la cosa giusta anche se fa paura».

Cosa pensano i tuoi amici di ciò che fai?
«I miei amici mi sostengono molto, e a volte mi aiutano. Ma quando sono con loro vorrei solo divertirmi come tutti i bambini del mondo».

Hai acceso una delle fiaccole durante la cerimonia per il 77º Giorno dell’Indipendenza d’Israele e hai ricevuto il Premio per la Prevenzione dello Stress tra Bambini e Giovani. Come ti sei sentito?
«È stato un grande onore e un privilegio. Se aiuto a cambiare qualcosa, anche un po’, allora ne vale la pena».

Cosa vorresti fare da grande?
«Non lo so ancora, ma se potrò, riuscire a contribuire alla pace nel mondo».

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