L'editoriale
Israele, la vera sfida del futuro è ricostruire la reputazione del Paese
di HaKol - 16 Ottobre 2025 alle 09:21
Da rocciosi ma sereni amici di Israele quali siamo, ci prendiamo la libertà di fare un discorso difficile, che potrà sembrare prematuro o fuori tempo, dato che siamo ancora dentro la drammatica emergenza di una guerra non conclusa. E forse suonerà fastidioso a chi concepisce la difesa di Israele come un eterno arroccamento, sia pure motivato dalle aggressioni millenarie che gli ebrei subiscono.
Israele, la vera sfida del futuro è ricostruire la reputazione del Paese
Eppure proprio ora, nel pieno della prova, occorre guardare oltre. Israele non può continuare a presentarsi al mondo solo come un Paese che si difende, perché è una grande nazione che, sin dalle origini, ha saputo essere moderna, laica, gioiosa, capace di unire orgoglio identitario e apertura universale. Quel modo di essere – vitale, fiducioso, creativo – appartiene al suo dna e va riscoperto, in forme nuove, dopo decenni in cui guerre e assedi ne hanno soffocato la luce. Il compito cruciale per il suo futuro non è militare o politico, ma culturale: ricostruire la reputazione del Paese, devastata da anni di narrazioni ostili, di immagini manipolate, di giudizi morali capovolti. Israele ha vinto molte battaglie, ma non quella del racconto. E la reputazione di uno Stato, come quella di un essere umano, è una forza invisibile che precede ogni gesto e ogni parola.
Non solo lotta all’antisemitismo
Questa ricostruzione non può poggiare soltanto sulla – pur imprescindibile – lotta all’antisemitismo. Combattere l’odio verso gli ebrei è un dovere universale, ma non può essere il fondamento dell’identità israeliana. Un popolo non si definisce per ciò che subisce, ma per ciò che crea. E Israele ha potentissime risorse spirituali, culturali e morali per definirsi in positivo: non come vittima da proteggere, ma come civiltà viva, libera e luminosa. Israele oggi è uno Stato saldo, legittimo, irreversibile. Nessuno potrà togliergli questo status. A maggior ragione se saprà tornare a presentarsi al mondo non come una comunità assediata, ma come un solido soggetto politico, capace di parlare da pari a pari con chiunque. Scrollandosi di dosso la sindrome dell’assedio e rivendicando con naturalezza la normalità della propria sovranità. E mostrando, insieme, la vitalità e la ragione profonda della sua esistenza. In un mondo che ha smarrito il legame tra memoria e presente, Israele può incarnare oggi un grande messaggio universale: la tradizione non come freno, ma come intelligenza del tempo. In fondo è il Paese in cui la Bibbia convive con le punte più avanzate della ricerca scientifica, dove il Talmud incontra l’intelligenza artificiale, dove la spiritualità si misura costantemente con la tecnologia. Questo intreccio dimostra quanto futuro e radici possano convivere in modo virtuoso e creativo.
Il valore della libertà
La cultura ebraica ha sempre concepito la libertà come responsabilità, non come arbitrio. È una libertà che si misura nel rapporto con l’altro, nella capacità di “rispondere”, come scriveva Emmanuel Levinas. Proprio in questo senso Israele può tornare a essere un laboratorio di libertà etica, la prova vivente che la dignità di un popolo non nasce dall’indifferenza, ma dal legame. Solo così potrà far risplendere quelle ragioni per cui il mondo imparò ad amarlo: la capacità di unire memoria e innovazione, identità e pluralismo, sicurezza e apertura. Dopo la tragedia della guerra, la sua vittoria più importante non sarà quando non avrà più nemici, ma quando non avrà più bisogno di definirsi contro nessuno. A quel punto Israele tornerà a essere non la nazione che il mondo discute, ma quella che il mondo ammira e imita.