Le Ragioni di Israele
Israele, racconti di una persecuzione: “Io, ebrea fuggita dall’odio. Hamas educa la popolazione a darci la caccia, va debellata”
di HaKol - 27 Agosto 2025 alle 12:23
È una donna minuta ma piena di energia e di positività: questo tempo la sta segnando, ma non perde quella forza e quella lucidità che mi ha affascinata quando l’ho conosciuta. È ebrea, fuggita da bambina con la sua famiglia da un paese arabo; la famiglia di suo marito è stata sterminata durante la Shoah. Una coppia come tante, ce ne sono in Germania e in Europa.
In questo periodo maledetto ci confrontiamo spesso. In Germania il clima verso gli ebrei – con le dovute distinzioni rispetto ad altri Paesi come l’Italia – purtroppo sta cambiando. Hanno paura, e per questo mi ha chiesto di non fare il suo nome. Risale a qualche giorno fa – proprio qui a Francoforte, in un parco del quartiere ebraico – un’aggressione verso degli ebrei che manifestavano per il rilascio degli ostaggi: i pro-Pal li hanno imbrattati di vernice rossa. Mi racconta che dopo il 7 ottobre il suo sistema immunitario si è risvegliato, ha rivissuto il trauma di quando – da bambina – con la sua famiglia è dovuta scappare, altrimenti avrebbero fatto la fine degli israeliani trucidati nei kibbutz. Per sopravvivere aveva rimosso il trauma e non ne aveva mai parlato con i suoi figli.
Ora, dopo 50 anni, lo ha fatto. Gli ha raccontato che i metodi usati il 7 ottobre da Hamas sono gli stessi che usarono con loro, ebrei in terra araba. Fu una mattanza, e la sua famiglia si salvò perché un arabo li nascose. E anche suo marito ha raccontato ai figli, per la prima volta, che la sua famiglia era stata sterminata nei campi di concentramento. Ai loro ragazzi hanno sempre insegnato che non bisogna essere vittimisti né avere manie di persecuzione sull’antisemitismo. Ma gliel’hanno raccontato anche perché oggi, con il riesplodere dell’odio anti-ebraico, dovranno avere l’accortezza di capire se sono in pericolo e avere la forza di tutelarsi.
Parliamo della situazione a Gaza. Denuncia che il mondo dice a Israele cosa fare, cosa non fare, ma non come farlo. Per l’Occidente – continua – bisogna estirpare Hamas senza ammazzare i civili. Bene, ma come è possibile con la situazione a Gaza, con i tunnel costruiti negli ospedali, nelle scuole? E poi si chiede: “Diteci voi come dobbiamo fare per snidare Hamas, perché non ci aiutate? Non dite solo quello che dobbiamo fare, ma come lo dobbiamo fare!”. L’Egitto, ricorda a tutti noi, non vuole accogliere i palestinesi, mentre in Israele vivono tantissimi arabi e nessuno li vuole eliminare. È una ebrea laica e non si riconosce né nella destra messianica né nell’integralismo musulmano, ma è legata alla sua cultura. Segnala, però, che a Tel Aviv tutti possono manifestare, mentre a Gaza nessuno è libero. Torna sull’antisemitismo in Occidente: se oggi mi sento perseguitata, l’unico posto sicuro dove posso andare è Israele. Per questo la sua esistenza è fondamentale; poi una volta lì farò le mie battaglie democratiche per un governo che mi corrisponde.
Da Hamas, da Hezbollah e in alcuni paesi integralisti, la popolazione viene educata a darti la caccia, a renderti la quotidianità impossibile con il terrorismo. Le chiedo se ce la faranno a resistere. Mi dice che questa guerra deve finire ma, preoccupata, aggiunge che bisogna stare attenti che non ci sia un’altra “Masada”, non dover arrivare al punto in cui l’unica opzione è morire tutti dentro una fortezza assediata. Con questo pensiero si rivolge agli arabi moderati che, a suo giudizio, capiscono che senza Israele rischiano l’involuzione dell’area. Bisogna andare avanti ed evolversi: questo è un nodo cruciale per porre fine al conflitto.
La nostra chiacchierata finisce con la spiegazione del filo logico che lega tre parole nella cultura ebraica: Tzafon, Matzphen, Metzfon. Tzafon rappresenta il Nord, ma anche un luogo misterioso; Matzphen rappresenta la bussola, ti indica la posizione in cui ti trovi e capisci il contesto; Metzfon è la coscienza. L’essere umano, al fine di poter agire, non può usare solo la propria coscienza senza avere la bussola che indica l’orientamento e il contesto in cui ci si trova.