Le Ragioni di Israele

La guerra dei partigiani togati contro lo Stato ebraico: non è giustizia ma un’altra forma di “resistenza”

di Iuri Maria Prado - 15 Ottobre 2025 alle 11:26

Il fronte giudiziario non era il meno combattivo né il più inefficace tra i tanti allestiti e armati contro Israele. Di scorta alla guerra scatenata contro i civili dello Stato ebraico dalla più potente fortezza terroristica del mondo, Gaza, e simultaneamente dalle milizie alimentate dall’Iran in Libano, Siria, Iraq, Yemen, a pochi giorni dal 7 ottobre si apriva la più articolata e pressante campagna di incolpazione di cui un ordinamento democratico, con i vertici della propria classe dirigente, sia mai stato destinatario.

La Corte Internazionale di Giustizia, dal dicembre del 2023, diventava la sede in cui una, due, tre volte il Sud Africa denunciava il carattere genocidiario dell’azione israeliana a Gaza, con un nugolo di Stati-supporter e un vespaio di presunte organizzazioni umanitarie solerti nella sottoscrizione incondizionata di quelle accuse. Intanto la dirimpettaia dell’Aia, cioè la Corte Penale Internazionale, istigata da un prosecutor poi lambito da gravissimi indizi di parzialità emetteva ordini di cattura per Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa, Gallant, mentre manipoli di “esperti” lavoravano ai fianchi le Nazioni Unite affinché – a processo in corso – gli Stati membri si schierassero a favore dell’accusa e sostenessero “politicamente” quella Corte pregiudizialmente orientata.

Ma si faceva anche nazionale l’assalto giudiziario contro lo Stato ebraico. Qui da noi un giudice avrebbe ingiunto alla televisione pubblica di indottrinare gli spettatori al ripudio di Gerusalemme come capitale di Israele, e nelle aule della giustizia amministrata in nome del popolo italiano sarebbe stata messa a verbale, prima della celebrazione delle udienze, la denuncia del “genocidio in atto in Palestina”. Un esame anche solo superficiale dell’apparato documentale su cui pretendevano di fondarsi le accuse mosse a grappolo nei confronti di Israele rivelava la scarsità – a essere generosi – di quella pretesa base probatoria. L’intento genocidiario era dimostrato dal recupero di frasi smozzicate – sempre le stesse – di questo o quel ministro israeliano, frasi che non avevano mai impegnato il governo e che, in ogni caso, non si erano mai realizzate in nessun fatto esecutivo.

Numeri a casaccio sulle uccisioni dei civili e sulla carestia che, se ci fosse stata, avrebbe provocato centinaia di migliaia di morti, erano presentati come la certificazione indiscutibile di una guerra che non aveva mai neppure cominciato a essere tale perché era semmai, dall’inizio e poi lungo tutto il suo corso, null’altro che il deliberato programma di sterminio di un intero popolo. Non era giustizia. Era – togata – un’altra forma di “resistenza”.

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