Le Ragioni di Israele

La guerra di Hamas? Combattuta con l’arma degli aiuti umanitari

di Iuri Maria Prado - 15 Novembre 2025 alle 14:00

Due anni di guerra hanno ridotto fortemente le capacità offensive delle dirigenze e delle milizie terroristiche di Gaza, e in qualche modo hanno reso inattuale l’atteggiamento di sostanziale favore con cui la comunità internazionale assisteva alla “resistenza” che quelle forze opponevano all’iniziativa militare israeliana. Ma una componente non irrilevante dell’azione di Hamas nella Striscia risiedeva, e continua a risiedere, in un’azione militare solo indirettamente rivolta contro Israele e, invece, direttamente portata contro la popolazione locale.

Si tratta della guerra che Hamas ha condotto e continua a condurre nel governo predatorio degli aiuti. La destituzione del monopolio consortile che esercitava con le Nazioni Unite nel controllo del sistema distributivo e, poi, le condizioni della tregua, per un breve periodo avevano costretto il “potere di fatto” regnante sulla Striscia a mollare la presa: la disponibilità degli aiuti aumentava e i prezzi calavano non perché fosse più consistente il flusso delle forniture, ma perché Hamas non era più nelle condizioni di sostenere – e la comunità internazionale di accreditare – la tesi secondo cui la scarsità e i prezzi alti del cibo fossero dovuti all’insistenza militare israeliana. Ma, nel giro di qualche settimana, Hamas ha ripreso la guerra che non era più in condizione di combattere direttamente contro Israele ricominciando quella diretta contro la propria popolazione, vale a dire la guerra dei prezzi e delle imposizioni sui beni che entrano a Gaza. Sono di questi giorni le registrazioni di aumenti significativi su beni di largo consumo, un fenomeno che Hamas neppure si incarica di smentire preferendo spiegare che in tal modo sta solo tentando di regolare il mercato. Una spiegazione non solo inconsistente, ma in palese contrasto con la prospettiva di un esautoramento di Hamas nella futura gestione della Striscia.

Ieri l’informazione israeliana dava molta evidenza alle dichiarazioni del portavoce di Fatah – sigla concorrente nelle ambizioni di rappresentanza dei palestinesi di Gaza – secondo cui quel rinnovato attivismo interno e la ripresa di operatività delle formazioni terroristiche di Gaza “danno una chiara indicazione che Hamas vuole continuare a governare”. Si noti che per continuare in quest’altro modo di condurre una guerra per il potere – che visibilmente è tutt’altro che esaurita – Hamas ha bisogno di una dotazione bellica risibile. Non serve un lanciarazzi per ricondurre a ragione il commerciante che non vuole sottoporsi al pizzo: bastano due energumeni armati di randello. Non serve un plotone di miliziani per sequestrare venti tonnellate di aiuti caricati su un tir: basta uno sgherro con un mitra. Ma, perché l’esperimento riesca, serve la compiacenza di una comunità internazionale che assiste senza far nulla a questo tentativo di nuovo radicamento; ed è, questo, un ausilio su cui Hamas ha buona ragione di fare ancora conto. L’idea che Hamas costituisca un pericolo attenuato giusto perché ha meno capacità aggressive all’esterno, e che sia dunque irrilevante se continua a spadroneggiare sugli aiuti, può forse essere coltivata in buona fede da qualcuno, ma resta profondamente sbagliata.

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