“La lobby ebraica. Mito e realtà di un «potere forte» in Italia e nel mondo”. Nel libro di Pinotti riemergono vecchi stereotipi

di Redazione - 1 Dicembre 2025 alle 14:59

Di Federica Grimaldi, Michele Tagliacozzo, Anna Zanotti per ALA

Il libro di Ferruccio PinottiLa lobby ebraica. Mito e realtà di un «potere forte» in Italia e nel mondo, pubblicato da Ponte alle Grazie, viene presentato come un’inchiesta coraggiosa sul presunto ruolo di influenza delle comunità ebraiche nella politica, nell’economia e nei media. La presentazione insiste sull’analisi imparziale, volta a distinguere fatti da leggende e a smontare stereotipi. Tuttavia, la distanza tra questa premessa e il contenuto effettivo è notevole. Il volume si apre con un dialogo con Moni Ovadia, che con disinvoltura espone una serie di tesi quantomeno discutibili: il sionismo viene descritto come movimento malvagio, la “Nakba” come pulizia etnica orchestrata dai sionisti, il 7 ottobre come “azione legittima” istigata da Netanyahu. La prefazione serve a fornire un “ebreo di copertura” che legittimi il frame del libro, come se la provenienza ebraica dell’interlocutore rendesse incriticabili tesi che altrove sarebbero riconosciute come propaganda.

Il resto del volume, pur dichiarandosi imparziale, cade nel pregiudizio: l’assenza di prove diventa prova stessa, ogni nome ebraico è indizio, ogni collaborazione internazionale un complotto. Il tono è quello di chi dice “non sono antisemita, ma…” e, dopo aver ostentato le immancabili amicizie ebraiche, riempie pagine di insinuazioni. Dopo una breve sezione che riconosce il complottismo antisemita del passato, il libro aggiorna le stesse accuse al presente: controllo di finanza, media, addirittura “avvelenare i pozzi” a Gaza. Gli ebrei sono dipinti come una lobby tentacolare, ogni presenza ebraica in un’azienda o banca diventa pretesto per suggerire un dominio mondiale. Il lettore meno attrezzato viene accompagnato verso la conclusione che non esistono individui ebrei, ma solo una rete compatta e monolitica con interessi inconfessabili: è la logica del pregiudizio, non dell’inchiesta.

Il libro non denuncia illeciti né presenta prove di azioni specifiche, ma suggerisce che la presenza ebraica sia di per sé sospetta: se c’è un ebreo in un consiglio d’amministrazione, allora c’è una lobby; se Italia e Israele collaborano, è una trama oscura. Se domani scoprite che il vostro idraulico si chiama David, preparatevi: secondo questa logica, è parte della lobby. Anzi, avendolo assunto, lo siete anche voi. La parte sulle famiglie ebraiche insiste su ricchezza e influenza, descrivendo come sospetto ciò che è normale funzione di banche, avvocati e assicurazioni. Il lessico scelto per raccontare “gli ebrei ricchi” è rivelatore: aggettivi e avverbi che suggeriscono furbizia e opportunismo, costruendo un immaginario morale del “troppo potente” che coincide sempre con il soggetto ebraico.

Le collaborazioni tra Italia e Israele sono dipinte come vicende losche, le attività tecnologiche come criptovalute e AI vengono presentate come settori di esclusivo appannaggio ebraico, proiettando l’ossessione novecentesca del controllo ebraico su nuovi ambiti. La descrizione dell’UCEI come potentissima lobby e delle associazioni Italia-Israele come cellule di intelligence è caricaturale; il capitolo sul Mossad mescola fatti storici e illazioni, lasciando al lettore il compito di stabilire legami inesistenti (“Epstein aveva un passaporto falso; il Mossad ha spesso fatto uso di passaporti falsi”). L’imponente apparato di note e la “bibliografia ragionata” sono presentati come garanzia di serietà, ma la selezione delle letture privilegia testi militanti e report di ONG allineati con la tesi di fondo, mentre sono marginali studi storici seri sulla nascita di Israele e l’evoluzione dell’antisemitismo; sembra costruita intorno a un elenco di conferme più che come un repertorio d’inchiesta.

In conclusione, il libro non denuncia né dimostra nulla, ma suggerisce che l’esistenza di persone ebree in ruoli di rilievo sia sospetta, riproponendo stereotipi vecchi di un secolo. Più che un contributo alla comprensione dei rapporti tra Italia, Israele e comunità ebraiche, è un acceleratore di diffidenza e sospetti, un manuale di lettura paranoica del mondo. In tempi di ritorno dell’antisemitismo, viene da chiedersi se sia davvero solo ingenuità offrire un prodotto editoriale che soffia su queste braci.

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