Hamas va compreso e capito

La neutralità a senso unico di Francesca Albanese: pathos mediterraneo e interpretazione creativa, così il 7 ottobre è un apostrofo rosso tra le parole “fiume” e “mare”

di HaKol - 10 Ottobre 2025 alle 12:47

C’è chi fa yoga per ritrovare la flessibilità, e chi, come Francesca Albanese [1], relatrice speciale Onu per i Territori palestinesi, la esercita direttamente nel campo dell’imparzialità. In un mondo dove la diplomazia è una questione di equilibrio, Albanese pare aver inventato la “neutralità a senso unico”: un principio fisico per cui la bilancia dei diritti umani pende sempre dalla stessa parte, indipendentemente da dove soffia il vento o cadono i razzi. Si dice che il suo mandato all’Onu sia “indipendente”. In effetti, indipendente lo è: dai fatti, dalla storia, dal contesto, e talvolta persino dal buon senso. Ogni volta che un attentato sconvolge Israele, lei trova il modo di ricordarci che la vera vittima è l’equilibrio narrativo. Che Hamas va compreso e capito e che il 7 ottobre è solo un apostrofo rosso tra le parole “fiume” e “mare”.

Da quando è salita alla ribalta, Albanese sembra impegnata in una personale campagna per ridefinire il concetto di neutralità in un misto di pathos mediterraneo, interpretazione creativa delle risoluzioni Onu e una curiosa allergia per tutto ciò che non rientra nella narrazione giusta. Quando parla di Israele, ad esempio, non serve neppure ascoltare, si può semplicemente mettere in play la replica di ieri. Ogni sua dichiarazione sembra scritta con il correttore automatico impostato su “ma Israele però”. Certo, l’attivismo appassionato è un valore. Ma quando un relatore speciale parla come un portavoce di una fazione, la linea tra difesa dei diritti e propaganda si fa sottile come una risoluzione Onu: solenne, inapplicabile e presto dimenticata. Del resto, non capita tutti i giorni di assistere a una Relatrice speciale che abbandona, letteralmente scappando una diretta appena sente nominare Liliana Segre dileguandosi con l’urgenza di chi è colto da un attacco di disagio — probabilmente più mentale che intestinale.

Un gesto comunque di grande coerenza, se l’obiettivo era dimostrare che i “diritti umani universali” sono tali, sì, ma con eccezioni d’uso. Forse Francesca pensava di essere a un casting per un remake di Gomorra, scena “lascio la sala con sdegno”. Ma sono dettagli. A pensarci bene, Francesca Albanese è il simbolo perfetto di questi tempi. È una figura internazionale che, mentre denuncia le violazioni dei diritti, ne ignora altre per motivi estetici o geografici. Un po’ come chi protesta contro il traffico di suv guidando un jet privato per andare al summit sul clima. Forse non è parzialità, ma arte contemporanea. Un’esibizione di realismo magico applicato ai diritti umani, dove le responsabilità evaporano e la narrativa vale più dei fatti. Gli Stati Uniti, si dice, le avrebbero persino comminato delle sanzioni per le sue uscite un po’ troppo “performative”.

Ma non temete; non le hanno tolto il microfono, anzi. Albanese continua a comparire in ogni talk, intervista, panel e diretta social, con l’entusiasmo di chi confonde la libertà d’espressione con un contratto di esclusiva. In fondo, la sua è una missione nobile; quella di farci capire che la verità è relativa, la giustizia selettiva, e la credibilità… opzionale.

[1] https://www.ilriformista.it/francesca-albanese-tutti-gli-inciampi-fatti-con-un-bel-sorriso-della-special-rapporteur-484378/

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