Le Ragioni di Israele

La seconda parte dell’accordo di pace: ricostruzione e nuova governance. Le sfide cruciali per Gaza

di Michele Magno - 14 Ottobre 2025 alle 11:46

Per chi è abituato a ragionare con la testa e non con l’intestino, non dovrebbero esserci dubbi: Hamas ha perso, Netanyahu ha vinto. E, con lui, ha vinto la forza delle armi unita alla forza della diplomazia, che hanno messo in un angolo Teheran e schierato buona parte del mondo arabo e islamico a sostegno del piano di pace firmato ieri a Sharm el-Sheikh. Se l’intesa sul cessate il fuoco verrà rispettata, si dovrebbe passare alla sua seconda e più complessa fase: dal disarmo delle brigate al-Qassam alla ricostruzione e alla governance di Gaza, dal ritiro completo dell’Idf all’insediamento di una forza di peacekeeping internazionale, probabilmente sotto l’egida dell’Onu.

Si dovrebbe, perché l’accordo è ancora appeso a un doppio filo. A quello dell’imprevedibilità del presidente americano, il quale solo obtorto collo ha accettato di cambiare il suo progetto di “peace for business” immaginato per risolvere il problema mediorientale. E a quello dell’ala militare di Hamas, la quale non sembra affatto intenzionata a uscire di scena come quei personaggi secondari che scompaiono al primo atto, quando il dramma è appena cominciato.

Le ragioni per guardare il futuro con qualche prudenza sono però molto diverse da quelle per cui la sinistra italiana ha liquidato con sufficienza la sospensione del conflitto, la liberazione degli ostaggi, una gestione più efficiente dell’emergenza umanitaria. Alcuni suoi esponenti, scavalcando l’asticella del ridicolo, hanno persino sostenuto che il negoziato è andato in porto in virtù delle imponenti manifestazioni e delle gesta ardimentose della Flotilla di queste settimane. Altri, come Elly Schlein, hanno continuato a battere il tasto del riconoscimento di uno Stato palestinese che ancora non c’è, e che va semmai costruito esiliando Hamas dalla Striscia. E non occorre essere Kissinger per capire che, posto invece oggi, è un obiettivo che farebbe deragliare sul nascere il piano di pace.

Poi ci sono coloro che questo piano non l’hanno proprio digerito, e che nel weekend sono scesi in piazza a Bologna, Milano e in altre città con lo slogan “Palestina libera dal fiume al mare”. Sono perlopiù i giovani dei collettivi studenteschi, dei centri sociali, dei gruppi extraparlamentari, dei sindacati di base (mentre confidiamo che la Cgil torni finalmente a occuparsi di salari e crisi industriali). Spesso violenti, tutti antisionisti, in realtà antisemiti più o meno a loro insaputa. Protagonisti dell’Intifada casareccia contro Israele, sono stati coccolati da una stampa cialtrona, da leader del campo largo sempre a caccia di voti e persino da qualche alto esponente delle gerarchie vaticane.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI