Le Ragioni di Israele
L’alba di un nuovo Medio Oriente. I figli di Israele tornano a casa: l’incubo è finito
di HaKol - 14 Ottobre 2025 alle 11:53
I primi sono arrivati all’alba. La maggior parte di loro da Tel Aviv, ma tanti erano anche coloro che da tutte le parti di Israele hanno deciso di riunirsi nella “Piazza degli ostaggi” per quella che è stata una giornata storica. C’è chi ha portato una bandiera israeliana, chi una con il simbolo giallo dei rapiti del 7 ottobre 2023. Qualcuno ha anche portato la bandiera degli Stati Uniti come segno di riconoscenza per Donald Trump, il presidente accolto come un eroe non solo a Tel Aviv, ma anche a Gerusalemme e all’interno della Knesset. La copertina del Jerusalem Post di ieri, del resto, era decisamente eloquente: una foto del capo della Casa Bianca con sopra la scritta “God bless the peacemaker”. E che questo sia stato il trionfo di The Donald, lo si è compreso anche dall’accoglienza in Parlamento, con ovazioni trasversali (a parte la breve protesta della sinistra araba).
Una giornata storica, l’ha definita Trump, “l’alba di un nuovo Medio Oriente”. Ma in attesa di capire se si possa parlare davvero di una nuova alba per la regione, di sicuro lo è stata per Israele, che ieri si è svegliata con la speranza di un ritorno che è diventato realtà subito dopo poche ore. I 20 ostaggi vivi (e con loro i resti di quattro rapiti morti) sono tornati a casa. E questo, per lo Stato ebraico, era un passaggio necessario anche nella psicologia collettiva. La guerra ha lasciato ferite profonde. Il Paese, a livello sociale ma anche politico, è stato in ostaggio insieme alle persone rapite da Hamas. Per due anni, la guerra, il ritorno di quelle persone, il dramma di chi è stato giustiziato o è morto in prigionia, il richiamo di centinaia di migliaia di riservisti e i fronti aperti hanno rappresentato la quotidianità di un intero Paese. E adesso, dopo due anni, sembra che almeno questo incubo sia finito.
Un dramma collettivo che ieri si è sciolto in ovazioni, lacrime e applausi di una piazza, quella di Tel Aviv, che non aspettava altro da 738 giorni. Con loro, ovviamente, l’attesa è stata soprattutto dei parenti degli ostaggi. Familiari che hanno sperato per due anni di riabbracciare i propri cari, che hanno temuto per la loro vita, che hanno innescato proteste di massa in tutto Israele, che si sono trasformati in un continuo strumento di pressione sul premier Benjamin Netanyahu fino ad essere accolti da tutti i leader del mondo. E che nella mattina di ieri hanno finalmente potuto vedere davanti a loro quegli uomini liberi con un processo apparso anche insolitamente rapido e sobrio, con la Croce Rossa che ha preso in consegna i rapiti per poi lasciarli all’esercito israeliano.
Prima, intorno alle 8 di mattina, sono stati liberati sette ostaggi dalla periferia di Gaza: Gali e Ziv Berman, Guy Gilboa-Dalal, Eitan Mor, Omri Miran, Alon Ohel, Matan Engerst. Poi, verso le 10, è stato il turno degli altri 13 rapiti liberati nel sud della Striscia di Gaza: Bar Kuperstein, Eviatar David, Yosef Haim Ohana, Segev Kalfon, Avitan Or, Elkana Bohbot, Maxim Harkin, Nimrod Cohen, Matan Tsengauker, David e Ariel Cunio, Eitan Horn e Rom Breslavsky. I loro volti, in Israele, sono diventati familiari. “I nostri figli” o “i nostri ragazzi” è il modo in cui i semplici cittadini descrivono questi (ormai ex) ostaggi.
E adesso il Paese sembra ancora incredulo davanti alla loro liberazione. Una sensazione di sorpresa, di una gioia repressa per anni, e che ora aspetta solo il ritorno di tutti i corpi dei caduti per chiudere definitivamente il cerchio. Per risvegliarsi dall’incubo e ripartire. Una sfida non semplice, sia per gli ex ostaggi che per Israele, che sa di avere di fronte a sé sfide ancora complesse. Ricucire le ferite non sarà semplice. E nel frattempo, c’è tutta una “fase due” del negoziato che deve essere implementata. Ieri le Israel defense forces hanno mandato un messaggio chiaro ad Hamas sul fatto che avrebbe dovuto rispettare l’accordo sulla consegna dei morti. Poi sarà la volta del disarmo della milizia, della ricostruzione, del fatto che la Striscia non sia più una minaccia. Dossier decisivi, da cui si capirà non solo il vincitore finale del conflitto ma anche il futuro di tutto il Medio Oriente.