Le Ragioni di Israele

Le due attese di Israele: tra lo stop alla Flotilla e i paletti di Hamas. L’assedio a Gaza può inasprirsi

di HaKol - 2 Ottobre 2025 alle 21:21

GERUSALEMME

Nel silenzio dello Yom Kippur, Israele ha vissuto due attese. La prima, quella per l’esito delle operazioni per bloccare la Flotilla verso Gaza. La seconda, quella della risposta di Hamas alla proposta di accordo accettata dal premier Benjamin Netanyahu e definita nei 20 punti firmati Donald Trump. Sul fronte della Sumud Flotilla, lo Stato ebraico ha cercato di operare in maniera chirurgica. L’esperienza della Mavi Marmara e la pressione internazionale hanno richiesto una lunga operazione preventiva, poi blitz rapidi e infine un silenzioso e veloce spostamento delle barche verso il porto di Ashdod.
Hamas chiede tempo
Ma se la popolazione israeliana ha vissuto la questione “flotilla” in un misto di disinteresse e ostilità, con gli attivisti portati poi in porto e in attesa di espulsione o detenzione, molto più importante, per la maggior parte dei cittadini, è la questione dell’accordo. Hamas sembra avere bisogno di ancora più tempo. E lo Stato ebraico vuole capire (e anche con una certa fretta) se il secondo anniversario del massacro del 7 ottobre possa essere la chiusura di un drammatico cerchio oppure un nuovo anniversario segnato dalla paura per gli ostaggi. La pressione dei Paesi arabi e dei governi di Paesi a maggioranza musulmana è aumentata nelle ultime ore. Ma da Hamas sono iniziati ad arrivare segnali sempre più negativi. L’ultimo dialogo avviato dalla milizia con le varie forze palestinesi ha evidenziato come i dubbi da parte di questo fronte al piano di Trump siano molti. I palestinesi vogliono certezze sul ritiro di Israele e collegarlo alla consegna degli ostaggi. Non si fidano del fatto che Netanyahu rispetti davvero l’accordo e ponga fine al conflitto.
Hamas vuole rassicurazioni
Sul disarmo, Hamas vorrebbe anche delle rassicurazioni sul tipo di armi da cedere, distinguendo tra offensive o difensive. Le fazioni sarebbero divise tra chi vuole modificare i punti, chi vuole che Trump riconosca in cambio lo Stato di Palestina e chi invece considera plausibile anche un rifiuto completo del piano. E ieri, fonti di Hamas hanno riferito alla Bbc che l’ala militare del movimento, quello che combatte nella Striscia di Gaza e che è guidata da Izz al-Din al-Haddad, è sempre più propensa per il “no”. Una strategia che conferma anche il divario rispetto alla leadership politica a Doha, che sarebbe invece propensa per un “sì” con modifiche. Il punto però è che Hamas a Gaza, e specialmente l’ala militare, ha altre idee, altre prospettive, le comunicazioni tra i due blocchi sono sempre più complessi. E soprattutto, il gruppo che combatte a Gaza ha in mano gli ostaggi: l’unica arma negoziale con Israele.
Il piano di Trump
Secondo il piano di Trump, i rapiti, sia quelli vivi che quelli morti, dovrebbero essere consegnati entro 72 ore dall’accettazione dell’accordo da entrambe le parti. Ma i miliziani vogliono continuare a combattere, aumentare le richieste e tasformare Gaza in una palude di macerie che paralizzi le Israel defense forces tra i vicoli e i tunnel. E le ultime centinaia di migliaia di persone rimaste intrappolate per mancanza di soldi o di mezzi ora sentono di potere essere le vittime sacrificali di una trattativa che Hamas potrebbe prolungare per molti giorni, fino ad arrivare al “no”. La popolazione ormai è stremata. In tanti sperano che Hamas accetti anche solo una tregua, ma sanno anche che a questo punto l’interesse della milizia non è affatto rivolto alla propria gente ma un negoziato che riguarda la sopravvivenza stessa del gruppo. E Israele, mentre continua la sua operazione “Carri di Gedeone 2”, non può fare altro che attendere.
L’assedio può inasprirsi
Il rifiuto di Hamas porterebbe a un ulteriore inasprimento dell’assedio. E questa volta, Netanyahu ha già ricevuto pubblicamente il semaforo verde di Trump proprio nella conferenza stampa con cui è stato annunciato il piano di 20 punti. Accettando il piano di 20 punti, Netanyahu ha in qualche modo disinnescato la pressione interna e internazionale e consegnato la palla nel campo palestinese. Se Hamas rifiuta, anche i Paesi arabi potrebbero scaricare definitivamente la milizia. Ed è anche per questo che la Casa Bianca ha confermato di aspettarsi che alla fine la milizia dica di sì al progetto.

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