L’esercito libanese ha finito gli esplosivi: corsa contro il tempo per disarmare Hezbollah

di Paolo Crucianelli - 3 Novembre 2025 alle 15:04

Beirut, Lebanon, Saturday, Sept. 27, 2025. (AP Photo/Bilal Hussein)

Un paradosso che fotografa perfettamente la fragilità del Libano: l’esercito, impegnato nello storico compito di disarmare Hezbollah, ha terminato le scorte di esplosivi necessarie a distruggere i depositi d’armi del gruppo terrorista. Secondo un’inchiesta di Reuters, le forze armate libanesi hanno fatto brillare così tanti arsenali da restare senza materiale detonante, mentre cercano di rispettare la scadenza di fine anno prevista dal cessate il fuoco firmato con Israele e fortemente voluto dagli USA.

La notizia, trapelata da fonti di sicurezza e confermata da ambienti governativi di Beirut, non ha interrotto le operazioni. I reparti continuano a perlustrare il sud del Paese, sigillando i depositi che non possono far esplodere. I depositi sotterranei vengono sigillati con calcestruzzo o con schiume edilizie espandenti; negli altri casi, come depositi in edifici, gli ingressi vengono murati e bloccati con piastre metalliche saldate. Lo scopo è impedire che Hezbollah possa rientrare in possesso delle armi senza demolizioni importanti, che verrebbero subito rilevate. Dall’inizio dell’anno sarebbero già stati neutralizzati moltissimi nuovi magazzini e decine di tunnel usati da Hezbollah, con un costante aumento di soldati inviati a presidiare l’area a sud del fiume Litani.

Sarebbe stato impensabile, fino a poco tempo fa, che l’esercito libanese si spingesse a tanto. Ma la guerra dello scorso anno — nella quale Israele ha ucciso migliaia di miliziani e decapitato i vertici militari e politici del movimento, incluso il suo storico leader Hassan Nasrallah — ha modificato gli equilibri. La caduta di Hezbollah ha aperto uno spiraglio per quella che Washington ha definito una “decisione coraggiosa e storica”: riportare il monopolio delle armi nelle mani dello Stato.

Gli Stati Uniti stanno fornendo supporto logistico e finanziario. La vice-inviata per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, ha fatto tappa a Beirut per seguire i progressi del piano, mentre la senatrice democratica Jeanne Shaheen ha usato la sua influenza per autorizzare un pacchetto d’aiuti da 14 milioni di dollari in cariche di demolizione e altri 192 milioni in assistenza militare. Ma le forniture americane arriveranno solo tra qualche mese, e l’esercito libanese nel frattempo è costretto a improvvisare, sigillando i depositi anziché distruggerli, ovviamente dopo aver sequestrato il munizionamento e le armi leggere compatibili con l’armamento d’ordinanza.

Il piano di disarmo, articolato in cinque fasi, parte dal Sud — dove il cessate il fuoco di novembre 2024 stabilisce che da subito solo le forze regolari possano detenere armi — e dovrebbe estendersi gradualmente verso il Nord e la valle della Bekaa, ad Est. Hezbollah ha formalmente aderito alla tregua, ma non ne è firmatario, e insiste che la clausola di disarmo valga soltanto per la zona meridionale. Una prudenza che riflette anche le paure dell’esercito: avanzare senza consenso politico – e senza opportuni aiuti militari americani – significherebbe rischiare nuove tensioni con la comunità sciita e un ritorno allo spettro della guerra civile. Hezbollah, pur non ostacolando il sequestro dei depositi abbandonati nel Sud, ha già avvertito che non tollererà operazioni più a nord senza un accordo che lo veda partecipe.

Il futuro resta incerto. A complicare la situazione, l’assenza di intelligence autonoma, che costringe l’esercito libanese a basarsi sui rapporti forniti da Israele e supervisionati da un comitato internazionale presieduto da Stati Uniti e ONU. Per il Libano, riuscire a rispettare la scadenza di fine anno significherebbe compiere un passo storico: riaffermare la propria sovranità su un territorio che per decenni è stato feudo incontrastato di Hezbollah, un vero Stato nello Stato. Ma il prezzo da pagare — politico, militare e umano — è ancora tutto da stabilire.

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