Le Ragioni di Israele
L’Idf ritira le auto cinesi per rischio spionaggio, i fronti di Israele: quello tecnologico di Pechino, quello militare islamico e quello con lo zio Sam…
di HaKol - 5 Novembre 2025 alle 17:12
«In una mossa insolita, l’Idf ha iniziato a raccogliere veicoli di fabbricazione cinese dagli ufficiali, su ordine diretto del Capo di Stato Maggiore. La decisione segue una valutazione delle agenzie di sicurezza israeliane, secondo cui alcune auto cinesi rappresentano un rischio concreto di perdita di informazioni sensibili o addirittura di spionaggio attraverso i loro sistemi di bordo. La misura rientra in una politica più ampia che inasprisce le restrizioni sui veicoli cinesi, dopo il divieto già imposto di accedere alle basi militari. Il processo viene attuato gradualmente: nella prima fase, i veicoli vengono ritirati agli ufficiali in ruoli classificati o a quelli con accesso a informazioni sensibili. Entro la fine del primo trimestre del 2026, la disposizione si estenderà a tutti gli ufficiali. L’Idf stima che siano coinvolti circa 700 veicoli, in gran parte modelli Chery assegnati in passato agli ufficiali con famiglie numerose per la loro capienza di sette passeggeri».
Ricollego questa notizia, pubblicata domenica scorsa su Israel Hayom («Idf orders removal of Chinese cars over espionage fears»), a un’interessante conversazione avvenuta giovedì sera a cena, a margine della grande manifestazione di Roma. Emerge con chiarezza come la situazione geopolitica attuale sia ben più complessa di quanto comunemente si creda. Il Qatar si conferma come una minaccia per Israele, mentre l’Amministrazione Trump rimane un’alleata fondamentale. E, proprio nei rapporti con Doha e con Washington, Netanyahu dimostra una notevole capacità nel tenere testa all’infido emiro e al presidente americano, mostrandosi come un negoziatore determinato.
Per inquadrare meglio il contesto, vale la pena ricordare i vecchi accordi tra Israele e Cina, che portarono alla costruzione del grande porto di Haifa. Gli americani reagirono con forte preoccupazione, temendo attività di spionaggio contro le loro navi militari che regolarmente vi attraccano. Nonostante le proteste, il porto fu tuttavia realizzato, insieme a numerose infrastrutture stradali nel Paese. Forse alcuni moniti sono poi stati recepiti, con conseguente disappunto cinese, considerando che il nuovo porto è rimasto in gran parte inutilizzato.
Questo scenario potrebbe dunque collegarsi a quanto l’Idf sta scoprendo nella Striscia di Gaza: le armi impiegate da Hamas, tranne alcuni vecchi modelli russi, risultano in gran quantità di fabbricazione cinese. Una notizia che sembra trovare poco spazio nei nostri media, in linea con la tradizionale prudenza italiana nel mantenere buoni rapporti con tutti, inclusi i regimi non democratici. Il fatto però che ora l’Idf sottoponga a controlli rigorosi tutti i veicoli cinesi in uso in ambiente militare suggerisce che ci siano effettivi motivi di preoccupazione.
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Nel frattempo, dalle analisi di un blogger qatarino emerge che, nonostante l’enorme potere finanziario, il Qatar potrebbe non presentare quei pericoli che molti temono. Trump ha garantito all’emirato che non subirà nuovi attacchi israeliani, ma non ha offerto protezioni personali all’emiro, lasciando spazio a nuove, possibili instabilità dinastiche. Un ulteriore elemento di incertezza riguarda l’Iran: se gli ayatollah dovessero cedere il potere a un regime più liberale, le conseguenze sarebbero positive per il popolo iraniano, ma negative per il Qatar, che oggi trae un enorme profitto dalla raffinazione del petrolio iraniano e dagli ostacoli posti al regime di Khamenei.
Infine, i rapporti con l’Amministrazione Usa presentano le loro complessità. Al di là dell’amicizia di Trump verso il popolo ebraico, i negoziati con Netanyahu si sono rivelati tutt’altro che semplici. La tradizionale strategia americana di espandere la presenza militare trova conferma nella base di Kiryat Gat, dove è stata istituita un’area – al secondo piano di un edificio – inaccessibile al personale israeliano. Una novità assoluta per Israele, che meriterà una riflessione approfondita sul suo significato. In conclusione, mentre Israele si candida a diventare lo snodo strategico della «via del cotone» voluta da Trump in competizione con la «via della seta» cinese, si trova a doversi guardare contemporaneamente da due fronti: quello tecnologico cinese e quello militare islamico (anche quello, pericolosissimo, turco). Il tutto mentre deve mantenere un delicato equilibrio nel rapporto con lo zio Sam, a cui certo non dispiace l’idea di uno Stato ebraico «vassallo».