L’Onu contraddice sé stessa sugli stupri del 7 ottobre

di Paolo Crucianelli - 17 Novembre 2025 alle 12:43

La tempesta diplomatica scoppiata intorno a Reem Alsalem, la relatrice speciale dell’Onu sulla violenza contro donne e ragazze, non è un dettaglio trascurabile. È il segno di una frattura profonda dentro le Nazioni Unite e, soprattutto, di un pericoloso cedimento morale davanti ai crimini sessuali commessi da Hamas il 7 ottobre 2023.

Alsalem ha pubblicato una serie di commenti in cui, di fatto, mette in dubbio che gli stupri e le altre nefandezze a carattere sessuale perpetrati dai terroristi, siano stati accertati da “indagini indipendenti”. È una posizione tanto sorprendente quanto infondata, soprattutto perché smentisce apertamente il rapporto, ben più autorevole, prodotto proprio dall’Onu: quello redatto da Pramila Patten, rappresentante speciale per la violenza sessuale nei conflitti, che nell’aprile 2024 ha documentato in modo dettagliato, scientifico e inoppugnabile l’esistenza di stupri, violenze sessuali ritualizzate, mutilazioni genitali, corpi torturati e profanati, atti filmati, peraltro, dagli stessi miliziani di Hamas.

Dire che “non esistono prove indipendenti” significa ignorare migliaia di fotografie e ore di video, testimonianze di sopravvissuti, riscontri medico-legali e sopralluoghi della stessa Onu nei luoghi del massacro: Nova, Be’eri, Re’im, la base di Nahal Oz. Significa, soprattutto, insinuare un dubbio dove non ne esiste alcuno. Ragionevole o meno. Chiunque abbia avuto il coraggio di guardare quei filmati — girati e diffusi dagli stessi assassini — sa che la realtà supera ogni possibile descrizione, tanto che molto spesso chi li ha visti non riesce poi a raccontarli.

Ma la gravità delle parole di Ansalem va oltre negazione, più o meno velata, dei crimini di Hamas. La relatrice tenta di creare un’equivalenza morale tra quelle atrocità e le presunte torture a carattere sessuale commesse da singoli soldati israeliani su terroristi prigionieri. Accuse che, come sempre nella democrazia israeliana, sono oggetto di indagini ufficiali; episodi che — se confermati — riguardano umiliazioni e maltrattamenti a prigionieri maschi. Crimini deplorevoli, sia ben chiaro, ma radicalmente diversi per natura, contesto, intenzione, scala e gravità rispetto a quanto commesso il 7 ottobre. Metterli sullo stesso piano non è solo un errore logico. È — per usare parole forti ma necessarie — un insulto all’intelligenza e un esecrabile esercizio di arbitrarietà ideologica.

Il risultato è devastante per la credibilità dell’Onu. Da un lato c’è un rapporto ufficiale, condotto con metodologia rigorosa, approvato ai massimi livelli e considerato la base istituzionale della verità sui crimini di Hamas. Dall’altro, una relatrice che lo contraddice apertamente per motivi che appaiono esclusivamente politici, certamente non tecnici, rilanciando al tempo stesso accuse contro Israele senza alcun equilibrio né proporzione morale.

Il rischio è evidente: degradare il concetto stesso di violenza sessuale in conflitto, trasformandolo in un campo di battaglia retorico dove la vittima non conta più, ma conta solo la causa politica che si intende sostenere.

La verità, invece, è semplice: le atrocità sessuali del 7 ottobre sono state documentate, verificate e riconosciute dalla stessa Onu. I casi relativi a detenuti palestinesi, per quanto gravi, appartengono a una categoria completamente diversa di condotte e non sono paragonabili nella loro natura e nella loro intenzionalità. Negare l’evidenza del 7 ottobre o ridurla a un “dibattito aperto” è solo un altro un espediente per assolvere moralmente Hamas e tradire le vittime, perché nella costruzione narrativa non si può portare avanti contemporaneamente l’idea di “resistenza contro l’entità sionista occupante” e accettare che vi siano stati stupri e massacri.

Un’unica cosa è chiara: la difesa delle vittime del 7 ottobre non può essere subordinata alle simpatie politiche del relatore di turno. La verità è già stata accertata. E non è negoziabile.

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