L’umorismo ebraico, tra scetticismo e disincanto: il comico come rappresentazione sociale

di Redazione - 5 Novembre 2025 alle 11:38

L’umorismo ebraico affonda le sue radici originarie nell’esegesi del Talmud e utilizza un metodo dialettico denominato pilpul. Esso consiste in uno scambio di domande e risposte tra maestri e allievi per applicare la lezione talmudica a situazioni nuove sorte nella vita collettiva. Si tratta di un efficace stile cognitivo, conosciuto in Italia grazie ai sociologi Alfred Schütz (1899-1959) e Peter L. Berger (1929-2017), l’uno che prova a coniugare umorismo ebraico ed esigenze della modernità; l’altro che applica ai racconti ebraici la propria definizione del comico come «percezione di qualcosa di incongruo».

Una prima composizione si ha però nella cultura yiddish dell’Europa orientale, dove un diffuso sentimento popolare si unisce ad elevate forme letterarie. Nato entro i confini dello shtetl (piccolo villaggio), l’umorismo si estende con l’emancipazione degli ebrei nelle città, trovando un terreno fertile nei centri metropolitani dell’ex monarchia austro-ungarica. Le tre Capitali (Budapest, Praga e Vienna) vedono uno sviluppo dell’umorismo, che si diffonde lentamente in altre città europee per poi trovarsi di fronte allo shock provocato dall’Olocausto.

Nella formazione del moderno umorismo, la Shoah incide notevolmente e rende tragica l’esperienza esistenziale degli ebrei, che non perdono il riso disincantato del mondo e la natura sociale della loro tradizionale comicità. La realtà deve essere guardata con ottimismo per ritrovare ogni giorno la possibilità di ridere anche di fronte alle situazioni dolorose. Persino il rapporto tra uomo e Dio è inquadrato in un modo polemico vicino al significato fondamentale del comico. Dio diventa infatti un eroe di una grande saga burlesca, in cui viene invocato e respinto sulla base dell’umore delle sue creature. L’esempio più ricordato è quello di Abramo e Sara, che scoppiano a ridere di fronte alla promessa divina di concedere loro una prole. Con questo episodio ha inizio l’umorismo teologico, che prende avvio con il nome scelto da Dio per il figlio «Isacco» (Yitzchaq, lett. «egli ride o egli ha riso»). Il cosiddetto umorismo teologico investe anche la figura del Messia, che per l’attesa infinita diventa il tema ricorrente nelle storielle (in yiddish witz), raccontate per alleviare il peso delle sventure e dei tempi duri. Lo scopo è quello di riconoscere il riso come un sentimento innato nella natura dell’uomo e del suo comportamento gioioso.

Come sottolinea Devorah Baum nel libro La barzelletta ebraica (2019), l’umorismo è significativo per definire l’identità degli ebrei, la cui finalità è quella di riflettere sul testo biblico e ricordare Isacco come «messaggero del riso». Le storielle ebraiche riguardano altri temi come famiglia, amicizia, lavoro e denaro, cibo, feste, sinagoga, follia e saggezza, viaggi, morte, Paradiso e Inferno.

Intorno a questi argomenti ruota infatti la più ricca raccolta antologica dell’umorismo, quella del rabbino Marc-Alain Ouaknin, edita in Francia con il titolo La Bible de l’humour juif (1997 e 1999), in due ponderosi volumi. Come sottolinea Moni Ovadia nella traduzione italiana (2021), si tratta di «folgoranti raccontini», che mettono in relazione umorismo e cultura ebraica in una «reciproca attrazione fatale». Nell’antologia, vasto repertorio di facezie e motti di spirito, i racconti sono redatti secondo un registro narrativo, dove l’elemento comico predomina sull’epico e sul tragico. Esso assume infatti gradazioni diverse, tra un’ironia sottile e un sarcasmo aggressivo fino ad un’acuta vena satirica: per esempio la storia del giudice Eud che libera Israele dall’oppressione dei Moabiti, prima uccidendo il sovrano e poi guidando gli Israeliti in battaglia contro «circa diecimila» soldati fino alla vittoria (Giudici, 21-30).

Nel repertorio ebraico le barzellette comprendono vezzi peculiari, definiti dal grande rabbino Adin Steinsaltz (1937-2020) «strani e bizzarri»: per esempio l’essere artificiale (golem) e la vexata quaestio se come prodotto di un atto di magia possa o meno partecipare alla preghiera comune. Quando si passa dai temi comici alle aree geografiche, l’umorismo ebraico assume un carattere distintivo in America, dove il comico condiziona le strutture primarie della società. Accanto allo stereotipo dell’ebreo «faccendiere» e dedito solo al denaro, presente come pregiudizio anche in altri Paesi dell’Occidente, prevale una massiccia presenza di comici negli Stati Uniti. Tra gli ebrei possono essere ricordati Danny Kaye, Jerry Lewis, Mel Brooks, Gene Wilder, Woody Allen ed altri. Per Berger, lo studioso dell’umorismo nell’esperienza umana e noto per il suo libro Homo ridens (1997), lo stile comico degli ebrei può essere spiegato con la loro marginalità, che ha favorito un atteggiamento scettico e disincantato della società.

 

di Nunzio Dell’Erba

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