"In Spagna il pregiudizio antiebraico è ancora forte"
Masha Gabriel: “Sánchez fa il pro-Pal perché è in piena crisi, oggi sventolare la bandiera palestinese è utile per chi vuole restare al potere”
di HaKol - 10 Settembre 2025 alle 11:30
«In Spagna quando qualcuno fa qualcosa di losco, si dice che ha fatto una judiada». Masha Gabriel è responsabile del desk spagnolo di Camera.org, think tank basato a Boston e impegnato a monitorare come i media internazionali trattano la questione israelo-palestinese, e in senso più ampio la cultura ebraica. “Judiada” non ha un corrispondente letterale in italiano. Però rende l’idea di questo luogo comune, ben radicato nella cultura iberica. La Spagna è sotto osservazione, soprattutto a causa delle inequivocabili prese di posizione da parte della sua classe politica.
Il premier spagnolo Sánchez è uno dei più severi leader europei nei confronti di Israele. È stato il primo a parlare di genocidio in corso a Gaza e di voler riconoscere alla Palestina lo status di sovranità nazionale. Ora ha deciso un nuovo giro di vite delle sanzioni. Perché tutto questo?
«Sánchez è in crisi da mesi. Il suo percorso è segnato da scandali sempre più pesanti e casi di corruzione, che arrivano a dei giri di affari relativi alla prostituzione. È circondato da parenti e amici finiti sotto inchiesta. Il Partito socialista ne aveva bocciato la candidatura. È stato lui a recuperare posizioni. Raccogliendo personalmente consenso girando il Paese. Ora governa con una coalizione debolissima e un’opposizione molto forte. Trovare un diversivo in questo contesto è fondamentale. Le accuse che riceve e gli attacchi a Israele procedono in parallelo. E visto che la situazione sta peggiorando, dev’essere sempre più aggressivo».
Una tattica di difesa che può avere un senso. Ma perché prendersela proprio con Israele?
«Perché il conflitto israelo-palestinese è una causa iconica. È facile da spiegare. Se trasmetti immagini di donne e bambini che soffrono, colpisci al cuore l’opinione pubblica. È un cavallo di Troia che contiene in pancia tanti altri messaggi, utili per chi ha bisogno di restare al potere, ma rischia di perdere tutto da un momento all’altro. Con la bandiera palestinese, utile in ogni occasione, si sfila soprattutto per indebolire il sentimento nazionale spagnolo».
Quando si parla di ebrei e Spagna, si torna subito alla loro cacciata. Era il 1492. I «re cattolici» dispersero la comunità locale in giro per l’Europa. Fu un capitolo epocale nella tragedia della diaspora. Cosa resta di quel gesto?
«Restano i luoghi comuni. L’idea che l’ebreo agisca sempre con secondi fini e trami nell’ombra. Un humus culturale, se così si può chiamare, che ha permesso alla chiesa cattolica prima e poi al franchismo di attecchire. L’idea del complotto “giudaico-massonico” è molto diffusa nel Paese. Inoltre, Franco non solo era antisemita, ma aveva forti legami con il mondo arabo».
Anacronismo e attualità, un cocktail perfetto.
«I media nazionali sono ormai la grancassa di Hamas. Ne ripetono gli slogan senza curarsi minimamente se ci sia del vero o del falso. In Spagna puoi dire quello che vuoi contro Israele. Tanto nessuno si metterà lì a dirti che stai mentendo. Anche il mondo intellettuale, che dovrebbe essere più raffinato, procede nutrito di propaganda. Dal premier in giù, è una menzogna continua. Non c’è alcun interesse ad ascoltare la voce di Israele».
Senza un contraddittorio?
«Purtroppo non è come altrove in Europa. Penso alla Francia. Lì, certo, l’antisemitismo è un problema concreto. Però un’opposizione, sui media e nell’opinione pubblica, a questo mainstream c’è».
E la comunità ebraica spagnola come vive questo clima?
«Stiamo parlando di appena 14mila persone. In parte, è quello che resta della cacciata di quattro secoli fa e dei marranos (gli ebrei sefarditi convertiti forzatamente al cristianesimo e che mantennero segretamente la fede ebraica, ndr). In parte, sono immigrati dal Nord Africa. Dal Marocco soprattutto. Ma anche dall’America latina. Un numero esiguo, comunque. Persone abituate a esporsi il meno possibile. Per questo la loro preoccupazione sta crescendo. Sánchez sta alimentando un sentimento di disagio in un mondo piccolo che ha fatto di tutto, nei secoli, per arrivare fino a noi».
Però la Spagna oggi è in Europa e le sue scelte possono avere delle ricadute altrove.
«L’Europa è stata costruita sulle ceneri dell’Olocausto. D’altra parte, si è creata una rappresentazione immaginaria della Shoah che non ha nulla a che vedere con il suo profondo significato. Questo impedisce di comprendere il reale significato di genocidio. Soprattutto in Spagna, che è rimasta fuori dalla Seconda guerra mondiale. Sánchez oggi sta minimizzando quello che è accaduto. Parlare di genocidio a Gaza vuol dire non sapere nulla dell’Olocausto. Questo non vuol dire distruggere soltanto Israele, ma erodere dall’interno la stessa struttura dell’Unione europea».
[1] https://www.ilriformista.it/?attachment_id=480606