Per Israele
Nessuno ricorda il 7 ottobre: il pogrom dipinto come Resistenza è l’ultimo schiaffo dei pro-Hamas
di HaKol - 7 Ottobre 2025 alle 10:32
Sono passati due anni dal 7 ottobre 2023, giorno in cui la violenza antiebraica tornò a colpire nell’antica forma del pogrom. Non episodio di guerra, ma sterminio a freddo contro donne, bambini e civili inermi. Un massacro di una ferocia che pensavamo relegata ai libri di storia. E tuttavia, in questo Paese che ha fatto della memoria un fondamento civile, nessuna istituzione sente il dovere di ricordare.
Nessuno ricorda il 7 ottobre
Non una cerimonia pubblica o parola ufficiale, come se fosse un lutto privato delle comunità ebraiche. Quello che avvolge questa assenza non è il silenzio della pietà, ma uno più sottile e forse più pericoloso, che nasce dal rovesciamento delle parole. Perché in realtà le istituzioni hanno parlato, ma per dire altro. Quando avrebbero dovuto ricordare il 7 ottobre come massacro di civili, hanno preferito collocarlo dentro una narrazione di “Resistenza”, normalizzando l’orrore come “gesto politico”.
In questi due anni la memoria si è piegata su sé stessa. La parola Resistenza – che in Italia rappresenta la lotta contro il nazifascismo ed è fondamento della democrazia – è stata sottratta al suo significato storico e piegata alla violenza di Hamas, alla distruzione elevata a rivendicazione politica. Bandiere palestinesi hanno aperto i cortei del 25 aprile; Marzabotto, simbolo della Resistenza al nazismo, è stato occupato da chi il 7 ottobre agiva in continuità con l’ideologia nazista di annientamento. Non per fraintendimento, ma per cortocircuito: trasformare in eredi della libertà coloro che ne sono la negazione. Perché, ricordiamolo, il Muftì di Gerusalemme, figura di riferimento per il nazionalismo arabo del Novecento, fu alleato di Hitler e propagatore nel mondo islamico dell’antisemitismo più becero.
Lo striscione alla manifestazione “per Gaza”
Alla recente manifestazione romana “per Gaza”, lo striscione che apriva il corteo proclamava: “7 ottobre, giornata della resistenza palestinese”, dissolvendo razionalità ed etica nella devastazione politica e morale: trasformare un pogrom in un atto di liberazione. Non più memoria di un crimine, ma sua celebrazione. Quella manifestazione era promossa da sindacati, Pd e M5S. Uno stravolgimento che nasce dalla volontà di propagandare una visione del mondo in cui l’ebreo non può essere vittima, perché come vittima incrina lo schema binario dei forti/cattivi e deboli/buoni, la dicotomia in bianco/nero tra oppressori e oppressi. In questa grammatica semplificata, la sofferenza ebraica è un’anomalia da espellere o un obiettivo da perseguire.
Una sola interpretazione
Eppure il 7 ottobre ammette una sola interpretazione. È l’irruzione del male nella nostra contemporaneità, il momento in cui l’antisemitismo torna non come residuo del passato, ma come linguaggio politico del presente. Non come oscenità, ma come illuminazione. Dimenticarlo o risemantizzarlo significa smarrire la misura stessa dell’umano. Chi giustifica o relativizza un pogrom per convenienza politica non ha identità morale. Trasformare le vittime in colpevoli non è un errore di prospettiva ma una scelta aberrante. Oggi il silenzio non è indifferenza, come poteva forse essere nel 1938, ma stare dalla parte della violenza. Il 7 ottobre non appartiene solo agli ebrei, ma a chiunque rifiuti la distorsione come alibi e l’odio come linguaggio. In Italia, appartiene a chi vive la memoria come responsabilità del presente. Nella coscienza del 7 ottobre e di cosa mette a rischio c’è il futuro della nostra libertà e democrazia. Come in ogni vera Resistenza, sono idee che i pochi difendono per tutti, contro i molti.