Cronaca
Papa Leone XIV: imprecisioni e parole non trascurabili. La Palestina non sia fondata sul 7 ottobre
di Iuri Maria Prado - 2 Dicembre 2025 alle 10:54
Nelle parole sul conflitto israelo-palestinese che Papa Leone XIV ha pronunciato l’altro giorno, in viaggio dalla Turchia al Libano, ci sono alcune verità, alcune imprecisioni e alcune mancanze non trascurabili. Dopo aver ricordato che “la Santa Sede già da diversi anni pubblicamente appoggia la proposta di una soluzione di due Stati”, il Papa ha aggiunto che “sappiamo tutti che in questo momento ancora Israele non accetta quella soluzione”. L’elemento di verità, in quelle parole, è pacifico: oggi, Israele non accetta la soluzione “due Stati”. Ma è impreciso – e fuorviante – dire che non la accetta “ancora”: semmai, non la accetta “più”. E l’imprecisione delle verità pronunciate dal Papa – lo diciamo con tutto il rispetto dovuto – rende anche più evidenti le manchevolezze del suo discorso.
Lo Stato palestinese che nascesse oggi non si fonderebbe sul riconoscimento affidabile della controparte, cioè lo Stato ebraico, né su premesse di fatto anche solo vagamente capaci di assicurare un risultato di pacifica convivenza dei palestinesi con i dirimpettai. Ritenere che la mancata soluzione del conflitto dipenda dalla mancata istituzione dello Stato palestinese è semplicemente sbagliato. Esprime il pregiudizio che ha governato qualche decennio di colpevoli fraintendimenti e contribuisce ad alimentare – quando non a legittimare – l’avversione israeliana. Perché è piuttosto il contrario: il conflitto c’è perché quella che avrebbe potuto essere una realtà statuale palestinese è diventata Gaza; il conflitto c’è perché l’altro pezzo di quella possibile entità, la cosiddetta Cisgiordania, oggi non si appresterebbe a diventare la realtà pacifica e democratica di cui si vagheggia nei documenti delle organizzazioni internazionali, ma un’altra Gaza.
Per questo, quantomeno sulla carta, il piano per Gaza adottato dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza costituisce un importantissimo punto di possibile svolta: perché si fa carico della realtà, anziché negarla. E la realtà è che – senza la destituzione del potere militare e politico delle dirigenze terroristiche che la governano – non c’è futuro di sviluppo, di pace, di capacità di convivenza per la società palestinese.
Bisognerà vedere se e come sarà attuato, ma quel documento del Consiglio di Sicurezza (altro notevolissimo segno innovativo) revoca il principio incorporato in montagne di carte delle Nazioni Unite, e cioè che il diritto di autodeterminazione palestinese avrebbe dovuto essere riaffermato a dispetto delle ragioni di sicurezza di Israele. Un principio che nessun altro Paese sarebbe disposto a riconoscere e a subire.
Chi ritiene – condivisibilmente, anche con il Papa – che la soluzione “due Stati” sia l’unica possibile, ha il dovere di riconoscere che occorre lavorare per superare le condizioni che oggi la rendono impossibile. Non significa allontanare l’obiettivo: significa renderlo concreto. Farlo passare da slogan a programma realizzabile. Senza la neutralizzazione delle dirigenze che ancora pretendono di imporre il proprio potere sulla società palestinese, lo Stato di Palestina che oggi nascesse si fonderebbe sul 7 ottobre. Non può accettarlo Israele, ma non dovrebbe accettarlo nessuno.