Perché il blocco navale a Gaza è legittimo
di Paolo Crucianelli - 29 Settembre 2025 alle 11:24
Da più di un mese si fa un gran parlare della Global Sumud Flotilla. Da questo punto di vista, la cosiddetta “missione umanitaria”, comunque andrà a finire, ha già ottenuto il suo scopo: un successo mediatico. Ma il fiume di parole speso sull’argomento è in gran parte sprecato o non pertinente. La questione centrale non è stabilire quale sia il “vero” obiettivo della spedizione: è ormai evidente che non sia quello dichiarato, cioè distribuire aiuti. Se lo fosse, gli organizzatori non avrebbero rifiutato le molteplici offerte formali, compresa quella di Israele e una proposta successiva del Presidente della Repubblica Mattarella, per trasportare gli aiuti via terra tramite canali controllati e più rapidi. L’obiettivo reale appare piuttosto un altro: tentare di forzare il blocco navale imposto da Israele davanti a Gaza. È prevedibile che i membri della Flotilla faranno di tutto per rendere lo scontro e gli abbordaggi spettacoli mediatici, utili a presentarsi poi come vittime.
Tutta ruota attorno a una domanda cruciale: il blocco navale israeliano è legale o no? Da questa risposta discende il resto. Se il blocco è legale, allora il tentativo della Flotilla non è solo imprudente, ma configurabile come un atto criminale. Se invece fosse illegale, l’iniziativa rientrerebbe nella sfera della legittima protesta politica. La risposta, però, è meno oscura di quanto si voglia far credere.
Il blocco navale è uno strumento previsto dal diritto internazionale dei conflitti armati: ha radici nel diritto consuetudinario ed è richiamato in strumenti come il Manuale di San Remo sul diritto dei conflitti armati in mare (1994). Uno Stato in conflitto può istituire un blocco navale se questo ha finalità di sicurezza militare (ad esempio impedire il contrabbando di armi, esplosivi o combattenti). Se poi un blocco navale non dovesse rispettare i presupposti del diritto internazionale, non basta l’opinione di un politico o di una ONG per dichiararlo illegale. Occorre un pronunciamento formale di uno dei pochi organi internazionali titolati a farlo, come la Corte Internazionale di Giustizia o il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Finora questo non è mai avvenuto.
Al contrario, il Panel ONU noto come “rapporto Palmer”, nel 2011, ha chiarito che il blocco navale israeliano su Gaza era una misura di sicurezza legittima, conforme al diritto internazionale marittimo. Quel rapporto nacque proprio in seguito all’incidente della Mavi Marmara (2010), quando la Turchia chiese alle Nazioni Unite di dichiarare illegittimo il blocco. La richiesta, però, non ottenne il risultato sperato: il blocco fu confermato come legale. E da allora nessuno Stato ha più tentato di metterne in discussione la legittimità, consapevole che un nuovo pronunciamento ufficiale non farebbe che rafforzare ulteriormente la posizione di Israele. La conseguenza pratica è netta e giuridicamente solida. Il blocco navale, allo stato, è riconosciuto come legittimo; nessun organo giurisdizionale internazionale lo ha mai dichiarato illegale. Non lo diventa solo perché lo sostiene con veemenza Laura Boldrini su La7, o perché lo urlano in Parlamento gli esponenti del M5S, di AVS o della cosiddetta “Schleinistra”. Non basta dirlo perché diventi realtà.
Di qui una conclusione inoppugnabile: chi tenta di forzare il blocco sta compiendo un’azione a rischio, provocatoria e illegale. Se chi la compie è consapevole dei rischi e accetta le conseguenze, è una sua scelta; ma non si può sostenere che il blocco sia illegale solo perché si vuole vestire i panni dei “buoni”. Usare la retorica per ribaltare la realtà giuridica è soltanto un modo per confondere l’opinione pubblica.