Rassegna stampa del 14 novembre 2025
Il panorama mediatico italiano, anche oggi, restituisce un’impostazione quasi monolitica nella narrazione del conflitto: un flusso continuo di accuse a Israele, spesso scollegate dalla dimensione strategica, dalla responsabilità di Hamas e dai fatti documentati sul terreno. Gli articoli pubblicati da Stampa, Avvenire, Domani, Il Fatto Quotidiano e Manifesto compongono una sorta di “ecosistema interpretativo” dove ogni evento diventa automaticamente prova della colpa israeliana, mentre il ruolo delle milizie palestinesi rimane un’ombra marginale – quando non viene del tutto espunto.
Il leitmotiv della giornata ruota intorno a tre assi:
1️⃣ Criminalizzazione dei coloni in Cisgiordania, presentati come un blocco indistinto di “estremisti” responsabili di una violenza sistemica, senza alcuna distinzione tra casi isolati e politica governativa.
2️⃣ Accuse di sabotaggio diplomatico rivolte a Netanyahu, ritratto come ostacolo unico alla tregua e perfino causa dell’irritazione americana, nonostante la responsabilità primaria del collasso dei negoziati ricada su Hamas, che continua a sfruttare i civili come leva negoziale.
3️⃣ Racconti emotivi e unilaterali sui fronti di Gaza e West Bank, in cui la complessità del conflitto — dal radicamento militare di Hamas nei centri abitati alla guerra psicologica sulla gestione degli aiuti — viene sostituita da un frame moralistico che assegna colpe e meriti prima ancora di esaminare i fatti.
La Stampa alterna toni apocalittici su Gaza ad articoli che suggeriscono un Medio Oriente sull’orlo del collasso, con accenti che sembrano voler costruire un clima di fatalismo irreversibile. Avvenire sceglie un taglio pastorale e indignato, trasformando ogni ricostruzione in una denuncia morale, che però raramente si confronta con le responsabilità operative del conflitto. Domani e l’Unità insistono sulla rappresentazione di Israele come potenza coloniale, spesso adottando retoriche vicine a quelle palestinesi o delle ONG militanti.
Il Manifesto, come da prassi, costruisce la narrativa esclusivamente sulla voce palestinese, arrivando persino a dare spazio a “telecamere di Hamas” come fonte primaria, senza interrogarsi sull’affidabilità o sulle manipolazioni propagandistiche.
Il quadro cambia quando si leggono Italia Oggi, Il Foglio e Il Riformista, unici giornali che restituiscono una prospettiva più aderente al contesto geopolitico. Italia Oggi propone un’analisi tecnica dell’export di difesa israeliano, Il Foglio guarda alla dimensione strategica regionale (bin Salman, Trump, equilibri del Golfo), mentre Il Riformista si distingue ancora una volta come la testata che più chiaramente denuncia il rischio della retorica anti-israeliana e l’escalation in West Bank causata non dagli israeliani ma dall’assenza di un’autorità palestinese capace di controllare la zona.
In questo panorama, la frattura tra informazione e realtà continua ad ampliarsi: mentre la stampa militante parla di “squadrismo” e “apartheid”, nessuno si interroga sul ruolo di Hamas nel generare caos, né sulle conseguenze di un vuoto di leadership palestinese. Come spesso accade, la parte più invisibile del conflitto — la responsabilità jihadista — resta un dettaglio scomodo da omettere.
West Bank, un’altra Gaza? Pace a rischio. Va scongiurata una nuova escalation
Prado smonta con precisione la narrativa che presenta la Cisgiordania come un territorio in preda a un’aggressione israeliana unilaterale. L’autore ricorda che l’escalation nasce dalla vacanza di potere palestinese e dalla crescita delle milizie armate, non da presunti “piani coloniali”. Il pezzo introduce dati, contesto e responsabilità multiple, restituendo complessità e evitando la delegittimazione ideologica di Israele. Un esempio di giornalismo critico ma rigoroso.
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Un barlume di salvezza
Feltri tenta un approccio equilibrato e riflessivo, ma l’articolo resta sospeso tra la volontà di criticare l’immobilismo politico e la tendenza della testata a rappresentare Israele come fonte prevalente dell’instabilità regionale. L’analisi è interessante, a tratti acuta, ma manca un vero confronto con le dinamiche interne palestinesi, il ruolo di Hamas e le responsabilità dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ne risulta un pezzo non ostile, ma incompleto.
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«Telecamere di Hamas» Lo sterminio di reporter a Gaza
Il Manifesto costruisce il racconto esclusivamente sulla base di materiali provenienti da Hamas, trattati come fonti neutrali. Il pezzo parla di “sterminio deliberato” senza prove, assume che ogni vittima civile sia automaticamente responsabilità israeliana e presenta le immagini fornite da Hamas come documentazione giornalistica. Nessuna verifica, nessun contraddittorio, nessuna analisi sul sistema di scudi umani o sull’uso di infrastrutture civili a fini militari. Un esempio emblematico di propaganda travestita da reportage.
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