Rassegna stampa del 20 novembre 2025
L’informazione italiana, oggi, restituisce un quadro ancora più polarizzato del solito sul conflitto in Medio Oriente. Da un lato si rafforza la narrazione – spesso priva di verifica e di contesto – che descrive Israele come parte esclusivamente aggressiva del conflitto; dall’altro emergono alcune analisi più articolate, che mettono a fuoco le responsabilità di Hamas, le ambiguità della diplomazia internazionale e la complessità delle scelte sul terreno. Il divario tra questi due approcci è evidente sin dalle prime pagine dei quotidiani.
Il Corriere della Sera apre con il focus sui nuovi raid in Libano e sugli spostamenti diplomatici di Netanyahu. L’articolo mantiene un taglio operativo e descrittivo, ma risente dell’ormai classico sbilanciamento: molta attenzione ai rischi di escalation, poca alle ragioni di sicurezza che impongono a Israele di colpire strutture di Hamas anche oltre confine.
La Stampa propone un’intervista con Yossi Beilin e Samieh Al Abed che risulta più equilibrata del consueto per la testata: pur con alcune ingenuità politiche, emerge la consapevolezza – rara nel dibattito nazionale – della necessità di distinguere l’agenda palestinese dalla strategia di Hamas.
Di segno opposto è l’impostazione di Avvenire, che ospita una lunga denuncia di Human Rights Watch su presunti “crimini contro l’umanità” compiuti da Israele in Cisgiordania. Il pezzo assume come dati di fatto accuse estremamente gravi senza contestualizzare né la matrice politica dell’organizzazione, né il quadro di sicurezza deteriorato dopo il 7 ottobre. Una narrazione quasi giudiziaria, priva di contraddittorio.
Sul versante opposto, il Fatto Quotidiano dedica due articoli a una lettura fortemente ideologica del nuovo piano USA per la gestione post-bellica della Palestina, definendolo addirittura “protettorato americano” con Israele come unico beneficiario. Anche qui nessun riferimento al contesto che ha reso necessario un nuovo meccanismo di sicurezza: l’assenza totale di fiducia tra Israele e un’Autorità Palestinese incapace di contenere Hamas.
Sul piano internazionale spicca invece la voce dell’Osservatore Romano, che ospita un’intervista al cardinale Pizzaballa. Il patriarca prova a introdurre una lettura più umana e meno accusatoria, richiamando alla necessità di ascoltare “il dolore degli altri” . Pur non entrando nel merito delle responsabilità politiche, l’intervento rappresenta un tentativo di rifuggire il linguaggio massimalista che domina su molte testate.
Tra i quotidiani italiani emergono oggi due fronti più costruttivi: Il Tempo, che riporta l’allarme del Mossad sulle reti di Hamas attive in Europa, ponendo l’accento sul carattere transnazionale della minaccia; e soprattutto Il Riformista, unico giornale che mantiene una lettura lucida e documentata del quadro politico post-risoluzione ONU. Gli articoli di Cazzola, Mayer, Picasso, Molinaro e Prado smontano con precisione sia la propaganda anti-israeliana sia la superficialità con cui molte forze politiche europee hanno commentato il nuovo assetto diplomatico.
In sintesi, la frattura mediatica è sempre la stessa: una parte del giornalismo italiano continua a descrivere Israele come il perno negativo di ogni dinamica; un’altra, molto più minoritaria, prova a restituire il quadro completo, dove Hamas resta l’attore che ha fatto esplodere il conflitto e che continua a costituire il principale ostacolo alla stabilità della regione. Oggi, questa seconda voce è soprattutto sulle colonne del Riformista e del Foglio.
Hamas non è un problema solo di Israele
L’articolo evidenzia con chiarezza la natura transnazionale della minaccia di Hamas, sottolineando come la sicurezza di Israele sia direttamente intrecciata con quella europea. Il pezzo rifiuta la narrativa riduttiva che presenta Hamas come fenomeno locale e offre un quadro realistico, documentato e non ideologico. Una delle poche analisi che ricostruiscono la complessità strategica.
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Intervista a Yossi Beilin e Samieh AI Abed – “Trump non è certo uno statista ma può essere l’uomo della pace”
L’intervista mette a confronto Yossi Beilin e Samieh Al Abed, dando spazio a una visione che distingue chiaramente Hamas dal popolo palestinese. L’approccio è dialogante e meno ideologico di altre testate, ma resta sospeso in diversi passaggi, con analisi talvolta più desiderate che supportate da dati reali. Utile, ma non completamente solido.
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Così Israele espugna la Cisgiordania e commette crimini contro l’umanità
Il pezzo assume come verità assoluta le accuse di Human Rights Watch e costruisce un impianto narrativo interamente orientato a dipingere Israele come autore di crimini sistematici. Nessun contraddittorio, nessun dato di contesto, nessuna menzione delle responsabilità palestinesi o delle dinamiche di sicurezza. Esempio evidente di informazione polarizzata.
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