Rassegna stampa del 21 novembre 2025
La rassegna di oggi restituisce un quadro mediatico attraversato da tensioni contrastanti: da un lato il tentativo di alcuni quotidiani di raccontare l’evoluzione della crisi a Gaza con strumenti analitici; dall’altro una persistente cornice accusatoria che continua a ridurre Israele a un attore monolitico, responsabile di ogni variabile del conflitto. Il Corriere apre con un reportage operativo dalla base israeliana che gestisce la tregua, offrendo uno spaccato tecnico sull’infrastruttura militare e diplomatica attualmente in atto. È uno dei pochi pezzi che tenta di descrivere il funzionamento concreto del cessate il fuoco, senza caricarlo di sovrastrutture ideologiche.
Molto diversa la lettura proposta da Repubblica, che nell’intervista a Michael Milshtein spinge l’idea di un Israele “escluso dal tavolo”, quasi subordinato alle decisioni americane. Un frame che ricorre spesso nei media europei e che finisce per presentare la strategia israeliana come poco più che un’appendice dell’agenda di Washington. Avvenire insiste invece sul tema dei coloni, con un racconto incentrato sulle responsabilità israeliane in Cisgiordania, mentre il Giornale fotografa il rischio di una nuova escalation attorno alla tregua, pur senza approfondire a fondo le cause delle violazioni.
Sul fronte più polemico, Il Fatto Quotidiano imbocca due strade note: da un lato la teoria di retroscena geopolitici fra Netanyahu e Mosca; dall’altro un presunto “metodo Israele” che influenzerebbe figure come Ben Gvir e addirittura Trump. È una narrazione che mescola elementi reali a costruzioni politiche discutibili, ricondotte a una chiave ideologica unica. In parallelo, Domani e Il Manifesto mantengono un approccio dichiaratamente critico, talvolta caricaturale: dalle accuse di “propaganda” mosse al Maccabi alle interpretazioni iper-politicizzate della diplomazia mediorientale.
Di tutt’altro registro le analisi del Riformista, che oggi rappresenta il contributo più solido e documentato. L’inchiesta sul radicamento di Hamas e Hezbollah in Europa e le interviste a Yossi Beilin restituiscono una prospettiva pragmatica, capace di tenere insieme sicurezza, diplomazia e scenari futuri senza scivolare nelle semplificazioni. Anche Il Foglio offre un lavoro significativo: la critica di Crippa alla lettura ideologica di Canfora mette in evidenza come la narrazione anti-israeliana, in alcuni ambienti culturali italiani, abbia assunto tratti rigidamente dogmatici, più vicini alla propaganda che all’analisi.
Complessivamente, la giornata mediatica mostra un trend consolidato: il discorso pubblico su Israele continua a oscillare fra resoconti tecnici e raffiche di accuse morali, spesso scollegate dal contesto. Mentre alcuni giornali tentano di illuminare la complessità del conflitto, altri conservano un impianto comunicativo che polarizza e appiattisce, alimentando narrazioni che finiscono per ignorare la natura jihadista del nemico, la vulnerabilità strategica della regione e il peso della diplomazia internazionale. Le poche voci che lavorano sui fatti, più che sulle categorie retoriche, risultano oggi minoritarie ma decisive per restituire un quadro autentico.
Il “porcospino” di Canfora vuole infilzare l’occidente e Israele. Il metodo è il solito, cancellare le tracce della verità.
Crippa smonta con precisione la costruzione ideologica di Canfora, mostrando come la sua narrazione rimuova sistematicamente contesto, responsabilità di Hamas e dati storici essenziali. L’analisi è rigorosa, documentata e libera da slogan: un raro esempio di dibattito fondato sui fatti, non sulle caricature politiche. È il pezzo più serio e utile della rassegna.
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Il terrorismo non è finito: Hamas si riforma da noi
Il tema è centrale e spesso ignorato: Hamas mantiene reti attive in Europa e la minaccia non è affatto superata. Socci coglie l’allarme, ma il testo indulge talvolta in generalizzazioni che rendono meno incisiva un’analisi altrimenti importante. Un articolo utile, ma con qualche semplificazione di troppo.
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Virtus-Maccabi, non è basket ma propaganda di Netanyahu
Il commento politicizza in modo forzato una partita di basket, riducendola a un presunto strumento di propaganda israeliana. Nessun dato, nessun contesto, nessuna analisi: solo un frame ideologico che ignora completamente la realtà di un club storico come il Maccabi e il contesto post-7 ottobre. È l’articolo più debole e meno aderente ai fatti.
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