Rassegna stampa del 22-23 novembre 2025

La rassegna tra sabato 22 e domenica 23 novembre 2025 mette in evidenza un quadro sempre più polarizzato, in cui l’estremismo anti-israeliano si normalizza nel dibattito pubblico mentre Israele è costretto a difendersi su un doppio fronte: quello militare e quello narrativo. Il tema dominante è la delegittimazione dello Stato ebraico, che si manifesta nelle analisi politiche, nelle cronache di violenza quotidiana, nelle dinamiche accademiche e nelle letture geopolitiche dei media. Il Riformista individua tre fenomeni convergenti – suprematismo bianco USA, progressismo radicale indulgente verso Hamas e fondamentalismo di alcuni coloni israeliani – come segnali della “perdita del pudore” democratico, denunciando soprattutto il silenzio dei moderati che permette agli estremismi di avanzare.

Questo clima ha un riflesso diretto nella realtà italiana, con episodi come l’aggressione a una coppia di israeliani a Roma, colpiti al grido di «Free Palestine». Allo stesso modo, la vicenda dell’allontanamento di un professore israeliano dall’Università di Pavia è presentata come un “repulisti” motivato più dalla sua identità che da ragioni accademiche, con un Senato accusato di aver ceduto alla pressione dei gruppi più radicalizzati. Sul fronte dell’associazionismo religioso, un’inchiesta de Il Tempo mostra l’ambiguità di figure che si dichiarano moderate ma evitano di prendere le distanze da interlocutori considerati vicini a Hamas, contribuendo alla diffusione della narrativa dello “Stato genocida”.

In contrappunto, Il Foglio ricorda come Israele resti un pilastro della sicurezza occidentale, con l’Europa diventata il principale mercato della sua industria della difesa. Il contesto internazionale alimenta ulteriormente la polarizzazione. Il Manifesto critica la recente risoluzione ONU 2803, accusata di legittimare l’“occupazione illegale” e di sospendere di fatto il diritto all’autodeterminazione palestinese, mentre dall’altro lato vari quotidiani denunciano una crescente propaganda anti-israeliana mascherata da analisi geopolitica. Il Giornale accusa parte della stampa di diffondere narrazioni tossiche – come la presunta complicità di Netanyahu con Hamas o il rischio di “pulizia etnica” – ignorando il contesto di sicurezza. Libero smonta le accuse di “genocidio” definendole strumenti retorici per negare a Israele il diritto di autodifesa, segnalando inoltre la crescente normalizzazione dell’odio in ambienti scolastici e attivisti. Anche la mediazione internazionale appare ambigua: La Stampa offre una narrazione che mette sullo stesso piano le versioni di Hamas e quelle di uno Stato democratico, mentre La Repubblica analizza la posizione statunitense in un clima mediatico che tende a minimizzare le responsabilità del terrorismo.

Nel complesso, la rassegna mostra un’Europa attraversata da tensioni ideologiche profonde, dove Israele diventa bersaglio di accuse estreme e spesso infondate, mentre la discussione pubblica fatica a distinguere tra critica politica legittima, propaganda e delegittimazione sistematica dello Stato ebraico.

Il Tempo infiltrato alla riunione di Hannoun. Il capo dell`Ucoii: «Israele Stato genocida»

L’articolo de Il Tempo è un’inchiesta preziosa che smaschera l’ambiguità e le posizioni estremiste di Yassine Lafram, numero uno dell’Ucoii, durante una riunione zoom con Mohammad Hannoun. Nonostante Lafram si definisca moderato, si è rifiutato di condannare apertamente Hannoun, ritenuto un uomo di Hamas dagli USA, o di chiarire i legami tra la Flotilla e Hamas. L’inchiesta evidenzia la gravità della sua dichiarazione, dove definisce lo Stato di Israele uno “stato genocida”. Lafram attacca inoltre i giornalisti, accusandoli di “sostenere il genocidio” e di seguire la “linea dell’editore”, anziché la propria coscienza. L’articolo serve a denunciare l’ipocrisia di chi si maschera da moderato pur non discostandosi da posizioni radicali.

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Israele difende il fianco dell`Europa

Questo editoriale fornisce argomenti concreti a sostegno della centralità strategica di Israele per la sicurezza del continente europeo. L’articolo evidenzia come Gerusalemme stia attivamente armando e rafforzando le difese dei paesi membri della NATO, in particolare quelli dell’Est, a fronte della minaccia russa. Vengono citati accordi militari e acquisti significativi di sistemi di difesa israeliani avanzati da parte di nazioni come la Grecia (per un sistema antiaereo e antidrone), la Finlandia (“Fionda di David”) e la Romania (“Iron Dome”). L’Europa è diventata il principale mercato per le esportazioni di Difesa israeliane, rappresentando il 54% del totale. La tesi finale, utile per contrastare la narrazione isolazionista, è che Israele non sia solo “business,” ma un cruciale baluardo che “aiuta a difenderci,” sostenendo le democrazie contro regimi tirannici.

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Se gli estremismi si alimentano e si normalizzano la perdita totale del pudore è dietro l`angolo

L’articolo analizza come tre fenomeni apparentemente distanti—il suprematismo bianco, l’ambiguità del progressismo radicale verso Hamas, e il fondamentalismo dei coloni israeliani—si alimentino a vicenda, erodendo la convivenza democratica e portando a una “perdita totale del pudore”. L’autore critica la frangia della sinistra occidentale che trasforma la legittima critica a Israele in indulgenza verso la violenza di Hamas, mitizzata come movimento “decoloniale”. Il vero pericolo è individuato nella normalizzazione operata dai moderati che scelgono il silenzio, trasformando gli estremisti in un’opzione possibile nel discorso pubblico. L’articolo chiama a ricostruire un “centro morale” in grado di dire “no” ai propri estremismi, sottolineando l’irresponsabilità del minimizzare questi fenomeni.

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I conflitti, la crisi, la politica: un Paese in cerca di riscatto

L’articolo descrive il Libano come un “modello di convivenza fra cristiani e musulmani” ancora in bilico e in cerca di riscatto. Mentre è lodevole il riconoscimento del Libano come “Paese messaggio” per il dialogo islamo-cristiano, il pezzo scivola in una narrazione unilaterale quando tratta la questione israelo-libanese. L’autore menziona che la guerra con Israele è “solo l’ultima nella serie delle sciagure” e riferisce acriticamente di 343 morti e 661 feriti, di cui un terzo civili, in “circa 900 raid aerei israeliani e attacchi con droni”. Questa informazione è presentata senza contestualizzare gli attacchi di Hezbollah o il motivo della risposta di Israele. La menzione che i fedeli di Yaroun chiederanno al Papa di benedire la pietra angolare di una chiesa “distrutta dagli israeliani durante il conflitto” rafforza il frame colpevolista senza offrire il necessario contraddittorio sul contesto operativo. Pur non essendo puramente anti-israeliano, il pezzo manca di equilibrio, decontestualizzando le azioni militari e concentrandosi sull’impatto emotivo senza indagare a fondo le responsabilità di tutti gli attori.

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Cmcc tra Israele e Usa: il coordinamento copre gli attacchi su Gaza

Questo articolo de Il Manifesto è un esempio di giornalismo fazioso e altamente critico nei confronti di Israele e del suo alleato americano. L’autore afferma che il Centro per il Coordinamento Civile-Militare (Cmcc), creato dal piano Trump, non serve a monitorare la tregua ma è stato “concepito prima di tutto per approvare le azioni militari israeliane a Gaza”. Accusa il Cmcc di essere una “rappresentazione teatrale” che serve a dare una “idea falsa di un coinvolgimento della comunità internazionale” quando in realtà “tutto è deciso solo da Israele”. La tesi si basa in gran parte su un funzionario europeo anonimo e sul racconto di un attacco aereo avvenuto in coordinamento con i marines statunitensi. Il pezzo arriva a citare un militare israeliano (senza nome) che avrebbe dichiarato l’intenzione di “cambiare completamente i programmi scolastici” palestinesi per rimuovere contenuti che incitano all’odio, un’affermazione presentata in modo strumentale per suggerire una volontà di controllo totale e di ingegneria sociale. L’articolo utilizza fonti anonime per veicolare accuse estreme; demonizza uno sforzo di coordinamento civile-militare internazionale (di cui l’Italia fa parte); e adotta una retorica del “complotto” per delegittimare ogni azione di Israele, trasformando la necessità di sicurezza e la gestione degli aiuti in una mera copertura per attacchi militari.

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