Rassegna stampa del 24 novembre 2025

L’informazione italiana odierna sul conflitto mediorientale è dominata da due temi principali: l’uccisione del numero due di Hezbollah a Beirut in un raid israeliano e la persistente crisi umanitaria a Gaza e in Cisgiordania, con una netta tendenza a inquadrare le azioni israeliane come violazioni e catalizzatori di ulteriore violenza. I titoli e le narrative puntano sull’impatto emotivo e sulla condanna dell’escalation, spesso tralasciando il contesto di minaccia e le ragioni strategiche della difesa israeliana.

L’attacco a Beirut, che ha eliminato Haytham Ali Tabatabai, considerato il secondo leader di Hezbollah e capo di stato maggiore de facto, è presentato dai media come una rottura della fragile tregua e un’escalation unilaterale. Articoli come quello del Corriere della Sera e la Repubblica enfatizzano la vicinanza dell’attacco alla visita papale in Libano e la sua condanna da parte del presidente libanese Aoun, che accusa Israele di ignorare gli appelli internazionali. La narrativa pone l’accento sulle vittime civili e sul “superamento di una nuova linea rossa”.

Tuttavia, il quadro mediatico non bilancia adeguatamente il fatto che Tabatabai fosse un bersaglio di alto valore strategico, comandante della forza d’élite Radwan incaricata di invadere Israele e architetto del nuovo assetto militare di Hezbollah. Il premier Netanyahu lo ha definito un “assassino con le mani sporche del sangue di israeliani e americani”, e su di lui pendeva una taglia USA. Israele, dunque, agisce per decapitare una leadership che pianifica attivamente la sua distruzione, una minaccia che i media descrivono marginalmente come il ripristino delle forze di Hezbollah. La preoccupazione americana non è tanto per l’azione in sé, ma per la mancanza di preavviso su tempi e luoghi, ammettendo che i piani di escalation israeliani erano noti. La mossa è chiaramente volta a inviare un segnale di deterrenza e a contrastare un riarmo percepito come imminente.

Il tema della Cisgiordania, come riportato da La Stampa, è trattato con una forte enfasi sulla violenza dei coloni e delle forze israeliane che non conosce tregua. L’articolo denuncia villaggi distrutti, incendi di luoghi di culto (come la moschea di Deir Istyā) e l’aumento degli attacchi dei coloni, registrando il numero più alto di attacchi da quando l’ONU monitora. Si citano dati ONU e Human Rights Watch per denunciare l’uccisione di minori, le demolizioni sistematiche e l’espansione degli insediamenti illegali come parte di un “attacco sistematico contro la popolazione civile”.

Questa narrazione, pur descrivendo eventi reali e drammatici, pecca di totale mancanza di contesto e reciprocità. La Cisgiordania non è un’oasi di pace da cui Israele aggredisce, ma un territorio dove le cellule terroristiche continuano a operare e dove le operazioni militari sono spesso risposte a minacce concrete. La denuncia dell’impunità dei coloni è legittima e merita attenzione, ma la retorica complessiva costruisce un’immagine di Israele come unico aggressore, senza menzionare l’incremento degli attacchi terroristici palestinesi che hanno portato alle restrizioni di movimento e all’inasprimento dei controlli. Il focus è unicamente sulla crisi umanitaria strutturale causata dai vincoli israeliani, non sulle sfide alla sicurezza che tali vincoli cercano di mitigare.

Due articoli de la Repubblica si concentrano su Gaza, uno per descrivere il ritorno di un festival del cinema per bambini come momento di “normalità” dopo anni di guerra e l’altro per celebrare la figura di Refaat Alareer, il poeta ucciso in un raid. Entrambi i pezzi, pur trattando di cultura e infanzia, veicolano un messaggio di sofferenza e accusa inequivocabile. Il cinema è un fragile tentativo di recuperare un’infanzia strappata da una guerra che ha visto 50.000 minori uccisi o feriti secondo l’Unicef.

La storia di Alareer è l’apoteosi del martirio intellettuale, trasformando un critico militante in un “poeta di Gaza” la cui morte è l’esempio della censura violenta israeliana. La sua poesia If I Must Die diventa virale, e il libro postumo è descritto come un “atto di resistenza” contro la narrativa che riduce i palestinesi a “numeri”. Questa narrazione, benché toccante, opera una de-politicizzazione dell’autore e una demonizzazione di Israele, la cui azione è descritta come “strage” e “occupazione” che cerca di “annientare il suo ascendente”. Si ignora che la sua stessa opera, sebbene letteraria, è profondamente intrisa di una militanza politica anti-israeliana.

In sintesi, la stampa italiana odierna predilige una narrazione di condanna e vittimismo, dove l’azione israeliana, sia essa un raid mirato o l’applicazione di restrizioni di sicurezza, è interpretata quasi esclusivamente come atto di aggressione immotivata o sproporzionata, ignorando il contesto di minaccia persistente rappresentato da Hezbollah, Hamas e gruppi terroristici in Cisgiordania.

Israele torna a colpire Beirut. Ucciso il numero due di Hezbollah

L’articolo riporta il raid aereo israeliano su Beirut che ha ucciso Haytham Ali Tabatabai, descritto come il “secondo leader di Hezbollah” dopo Naim Qassem. Nonostante il tono generale di preoccupazione per l’escalation, l’articolo offre elementi di contesto cruciali per comprendere l’azione israeliana. Si specifica che Tabatabai era un “target di alto livello” , con una taglia USA di 5 milioni di dollari , e che era il Comandante della Radwan, la forza d’élite incaricata di “invadere Israele”. Era inoltre l’architetto del nuovo assetto militare di Hezbollah. Viene riportata la dichiarazione del Ministro della Difesa Israel Katz: “Chiunque alzi una mano contro Israele, quella mano verrà tagliata”, che chiarisce l’obiettivo di deterrenza e difesa strategica. L’articolo, pur inserendo l’attacco in un quadro di “tregua sempre più fragile” e “escalation”, non nasconde la natura militare e la minaccia diretta rappresentata dalla vittima, offrendo la base per un’analisi che vada oltre la mera condanna.

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Nuovo raid di Israele su Beirut. Ucciso il numero due di Hezbollah

L’articolo sulla Repubblica si focalizza sull’uccisione di Haytham Ali Tabatabai, descritto come “capo di stato maggiore de facto di Hezbollah e numero due dell’organizzazione sciita” , avvenuta con sei missili nel quartiere Dahiyeh di Beirut. Viene riportata integralmente la giustificazione di Netanyahu che lo definisce “un assassino con le mani sporche di sangue israeliano e americano” e l’accusa israeliana che il gruppo si stia riorganizzando. L’elemento ambiguo è la forte enfasi sulla condanna del presidente libanese Aoun che accusa Israele di ignorare gli appelli internazionali e le risoluzioni , e il posizionamento dell’attacco alla vigilia della visita di Papa Leone XIV in Libano, che amplifica la retorica dell’opportunismo israeliano. Pur fornendo i dati salienti sull’obiettivo militare , la cornice narrativa è quella di una “escalation” irresponsabile di Israele proprio mentre Hamas era al Cairo per discutere la fase due della tregua, attribuendo al solo Stato ebraico la colpa di aver alzato il tiro.

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Bibi e gli impuniti della Cisgiordania

L’articolo de La Stampa rappresenta un esempio di narrazione integralmente colpevolista e decontestualizzata. Si concentra unicamente sulla violenza dei coloni e delle Forze Israeliane in Cisgiordania, affermando che la tregua a Gaza non ha portato alcuna pausa alla violenza lì. Il pezzo denuncia l’incendio della moschea di Deir Istyā da parte dei coloni , l’aumento degli attacchi (264 attacchi di coloni a ottobre, il numero più alto monitorato dall’ONU) , le restrizioni di mobilità , e l’alto numero di palestinesi uccisi, compresi i bambini. La violenza è descritta come un “attacco sistematico contro la popolazione civile” e una “crisi umanitaria strutturale”. L’articolo manca totalmente di pluralità di fonti e di un equilibrato contraddittorio, omettendo ogni riferimento al contesto di sicurezza che porta alle incursioni, ai checkpoint e alle restrizioni: ovvero la minaccia terroristica che promana dalla Cisgiordania. In tal modo, si trasforma un contesto di conflitto complesso in una semplice storia di vittime innocenti e aguzzini impuniti.

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