Rassegna stampa del 27 novembre 2025
L’informazione italiana odierna è dominata da due grandi filoni narrativi. Il primo, e più diffuso, è quello della crisi umanitaria di Gaza, in cui l’arrivo dell’inverno, il freddo e l’acqua trasformano i rifugi in luoghi “inabitabili”. Quotidiani come il Fatto Quotidiano e il manifesto amplificano questa dimensione in un racconto che, pur legittimando il dramma, spesso scivola in un atto d’accusa unidirezionale contro Israele. La distruzione viene definita un “abisso creato dall’uomo”, e si parla di una “strategia dell’invivibilità” o di “genocidio silenzioso”. Questa linea editoriale, pur denunciando il caos, omette sistematicamente di analizzare la responsabilità di Hamas nell’aver innescato il conflitto e di aver sfruttato le infrastrutture civili per scopi militari, rendendo di fatto Gaza un campo di battaglia e amplificando il danno collaterale.
Il secondo filone, molto meno battuto ma cruciale e in linea con il nostro taglio, è quello della necessità di una leadership palestinese affidabile. L’articolo di Maurizio Caprara sul Corriere della Sera smonta la facile retorica del “riconoscimento immediato dello Stato palestinese”, ponendo l’unica domanda di merito: chi lo governerà e chi può garantire la coesistenza pacifica con Israele, neutralizzando i gruppi terroristici? Viene evidenziata l’obsolescenza dell’attuale Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di Abu Mazen, in carica da vent’anni senza elezioni politiche dal 2006, e la sorprendente assenza di iniziativa europea su questo fronte. Questa prospettiva sposta il focus dalle sole azioni militari israeliane all’ostacolo politico palestinese, elemento fondamentale per una soluzione duratura.
Parallelamente, la rassegna affronta le tensioni regionali. Il Fatto Quotidiano riporta le operazioni dell’IDF in Cisgiordania per prevenire la costruzione di infrastrutture terroristiche, con l’esercito israeliano che rivendica di avere ora “mano libera” per la prima volta dal 1967 per contrastare il terrorismo ovunque. Similmente, il Mattino incrocia la crisi di Gaza con quella ucraina, ipotizzando un grande gioco geopolitico e un accordo segreto USA-Russia che avrebbe condizionato l’approvazione della Risoluzione ONU 2803.
Nel complesso, l’analisi mostra una stampa che, salvo rare eccezioni, si concentra sull’effetto (la crisi umanitaria e la pressione israeliana), omettendo le cause primarie e la necessità di un interlocutore politico palestinese credibile. La voce più sbilanciata (il manifesto) trasforma il contesto complesso in un’accusa morale a senso unico, ignorando la minaccia di un “metodo Libano” attuato da Hezbollah, sul quale invece Domani si concentra, anche se con un tono squilibrato.
Una leadership per la Palestina
L’articolo offre una prospettiva di merito fondamentale e in linea con la nostra visione, focalizzando la critica sul fallimento politico palestinese come principale ostacolo alla pace. Caprara denuncia la superficialità di chi propone il riconoscimento immediato dello Stato palestinese, eludendo la questione cruciale: quale gruppo dirigente lo governerebbe e chi può garantirne la coesistenza pacifica con Israele, neutralizzando i gruppi terroristici. Viene messo in luce il ventennio di stallo e l’obsolescenza dell’ANP di Abu Mazen. L’autore condanna l’assenza di iniziativa diplomatica europea e italiana, che un tempo seppe individuare un interlocutore (Arafat), seppur problematico. L’analisi è lucida e ragionata, spostando il dibattito dalla condanna alla ricerca di una soluzione politica sostenibile.
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Il Libano in cerca del suo futuro. «Ma qui tutti temiamo la guerra»
L’articolo coglie un punto nevralgico della sicurezza regionale: la precaria stabilità del Libano e il rischio di un allargamento del conflitto tra Israele e Hezbollah. L’autore descrive la paura delle nuove generazioni e la situazione di “non guerra e non pace”. L’articolo, pur fornendo dati concreti (come le circa 9.400 violazioni dello spazio aereo libanese contate dall’UNIFIL), presenta questi eventi unicamente come atti di pressione israeliana o di destabilizzazione, concentrandosi sull’emotività della popolazione e sul danno economico. Il tono rischia di apparire squilibrato perché non affronta con pari serietà il ruolo di Hezbollah nell’alimentare il conflitto, nel riarmarsi e nell’utilizzare il territorio libanese come base di attacco, rendendo l’articolo un resoconto parziale della complessità regionale.
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Il limbo di Gaza, invivibile e invisibile
Questo pezzo è l’esempio di propaganda anti-israeliana estrema. L’autrice definisce la strategia di Israele come “invivibilità” per Gaza, un vero e proprio “genocidio silenzioso”. L’articolo apre con una citazione decontestualizzata e manipolatoria di Tally Gotliv (Likud) – “Possiamo attaccare senza pietà, senza pietà, senza pietà” – per rafforzare l’immagine di un Israele disumano e implacabile. Viene accusato Israele di seguire il “metodo Libano” (tregua sulla carta con violazioni costanti) e di perseguire una “strategia politica volta a generare il caos” e garantirsi “impunità eterna”. Si tratta di una narrazione puramente ideologica che cancella la realtà del terrorismo di Hamas e del 7 ottobre, riducendo un conflitto complesso a una mera strategia di “supremazia sulla terra”, senza fondamento fattuale pluralistico.
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