Rassegna stampa del 6 dicembre
La rassegna di oggi ruota attorno al dibattito italiano sul ddl contro l’antisemitismo, tema centrale su Corriere, Repubblica, Stampa, Sole 24 Ore e Tempo. Le testate mostrano una linea divisa: da un lato chi insiste sulla necessità di una norma chiara e condivisa, dall’altro chi teme effetti politici collaterali.
Parallelamente, Giornale e Libero denunciano le ambiguità di una parte della sinistra e le derive del mondo cattolico, mentre Manifesto e Fatto rilanciano una lettura radicalizzata del conflitto.
Sul fronte internazionale spuntano analisi su Gaza, sulle pressioni europee e sul caso Eurovision, ripreso da Corriere, Repubblica e Riformista, con toni molto diversi: chi monitora i boicottaggi e chi denuncia nuove forme di delegittimazione. Ne emerge una mappa informativa complessa, dove accanto a contributi seri e documentati convivono interpretazioni distorte o strumentali.
La delegittimazione dello stato ebraico non aiuta la pace
Un editoriale netto e ben costruito che smonta la retorica della “critica a Israele” usata come copertura per nuove forme di antisemitismo politico. Il Riformista ricorda come la delegittimazione dello Stato ebraico, dalle campagne di boicottaggio alle accuse infondate, ostacoli qualunque percorso diplomatico e favorisca solo gli estremisti. Un articolo rigoroso, documentato e coerente con la linea di difesa del diritto di Israele a essere trattato come qualunque altro Stato sovrano.
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di Redazione
La delegittimazione dello stato ebraico non aiuta la pace
«C onfondere la critica radicale, anche la più dura, alle idee e alle azioni del governo di Israele con il carattere democratico di uno Stato che garantisce libere elezioni, istituzioni legittime, una società civile plurale e capace di aspre contestazioni del potere anche in stato di guerra, una comunità palestinese-israeliana che partecipa alla vita politica del Paese, è un grave errore». Lo afferma in una nota Sinistra per Israele – Due Popoli Due Stati. «Questo non vuol dire – prosegue la nota – che chi come noi afferma questo non sappia, allo stesso tempo, denunciare il fatto che fuori dai confini di Israele, in Cisgiordania, per i cittadini palestinesi non c’è certamente democrazia. Essi subiscono quotidiane e inaccettabili violenze e usurpazioni dei coloni, in una situazione complessiva insostenibile. La restituzione dei territori occupati, dentro la cornice della soluzione “due popoli–due Stati”, è da sempre la nostra bandiera». «Proprio perché in Israele esistono forze di destra che lavorano per demolire quella democrazia – continua la nota – occorre che in Europa la si difenda, sostenendo le opposizioni che, a milioni, sono scese in piazza per impedire la deriva autocratica». «La campagna di delegittimazione a cui assistiamo in queste ore – conclude Sinistra per Israele – è solo l’ennesimo tentativo, ormai logoro, di colpire Israele sul piano della legittimità. Un’operazione che, invece di aiutare le forze democratiche impegnate per un futuro di pace, finisce per isolarle».
Eurovision, i no contro Israele mandano in crisi il budget
Frattini racconta i malumori legati alla partecipazione di Israele all’Eurovision e le conseguenze economiche del boicottaggio di alcuni Paesi. Il pezzo mantiene un tono neutro, ma lascia sullo sfondo la natura politica delle proteste e non approfondisce la matrice ideologica delle campagne anti-Israele. Una cronaca corretta e non ostile, ma incompleta e priva di contesto: articolo informativo ma non abbastanza illuminante.
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di Davide Frattini
Eurovision, i no contro Israele mandano in crisi il budget
La «Stella nascente» che dovrà rappresentare Israele è ancora da scegliere attraverso lo show televisivo locale. La buona stella del compromesso politico globale sembra invece per ora aver assicurato la partecipazione dello Stato ebraico all’edizione dell’Eurovision ospitata l’anno prossimo a Vienna. L’opposizione di Spagna, Irlanda, Slovenia e Olanda non è bastata a imporre l’esclusione della nazione che prende parte al concorso dal 1973 e lo ha vinto quattro volte. Saranno loro quattro a non presentare i cantanti in protesta contro i due anni di guerra a Ga2a e l’uccisione di oltre 70 mila palestinesi. Il governo belga — o almeno l’emittente pubblica — ha deciso alla fine di esserci, linea compatta con Paesi come la Francia e l’Italia (la Rai ha sostenuto la partecipazione di Israele): a rischiare di spaccarsi sono le alleanze interne, i partiti della sinistra spingevano per mandare un segnale di indignazione per la devastazione causata dai bombardamenti sulla Striscia, l’offensiva era stata ordinata dopo i massacri del 7 ottobre del 2023, 1200 israeliani uccisi dai terroristi palestinesi. Il sostegno della britannica Bbc, tra le emittenti più grandi, alla scelta di non escludere Israele presa dalla European Broadcasting Union, non copre i problemi di budget per gli organizzatori: le quattro nazioni assenti non contribuiranno alle spese delle finali che vengono trasmesse in diretta, sono l’evento non sportivo più seguito dal pubblico di tutto il mondo. «Il festival musicale — commenta proprio la Bbc — sta attraversando la crisi più grave della sua Storia». È stato creato nel 1950 poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale per promuovere l’unità tra le nazioni che si erano combattute: la prima edizione si era svolta nel 1956 nella neutrale Svizzera e dai sette Paesi iniziali il festival è cresciuto fino a coinvolgerne 40. Sempre la Bbc fa notare che l’uscita della Spagna (tra i principali sponsor finanziari) e dell’Irlanda (ha vinto sette volte alla pari con la Svezia) avrà conseguenze sul futuro della manifestazione sempre più travolta dalle guerre che avrebbe voluto evitare con la diplomazia della musica. Prima del caso Israele, l’invasione russa dell’Ucraina aveva già portato la geopolitica sul palco con l’esclusione di Mosca dall’edizione del 2022, da allora la Russia ha deciso di andarsene dall’organismo internazionale.
Israele torna all’Eurovision e parte la solita astensione
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di Paolo Crucianelli
Israele torna all’Eurovision e parte la solita astensione
L’European Broadcasting Union (EBU) ha confermato che Israele potrà partecipare all’Eurovision 2026, in programma a Vienna dal 12 al 16 maggio. La decisione è arrivata al termine di un’assemblea generale in cui i membri dell’EBU non hanno richiesto un voto separato sulla partecipazione israeliana, ma hanno approvato un pacchetto di nuove regole per garantire l’imparzialità del concorso. Immediatamente dopo la conferma, quattro broadcaster nazionali — RTVE (Spagna), RTE (Irlanda), AVROTROS (Paesi Bassi) e RTVSLO (Slovenia) — hanno annunciato il loro ritiro dal concorso. Questi paesi avevano precedentemente minacciato di non partecipare qualora Israele non fosse stato escluso. Secondo i comunicati ufficiali, la decisione è dovuta alla guerra in Gaza e alla convinzione che la partecipazione israeliana comprometta la neutralità dell’evento. La scelta della EBU ha acceso uno dei momenti più controversi nella storia del concorso: quattro Paesi storici si sono ritirati, sollevando dubbi non solo sul numero finale dei partecipanti — e dunque sull’equilibrio artistico e televisivo —, ma anche sul ruolo dell’Eurovision come evento culturale “neutrale”. Altri broadcaster e nazioni stanno per decidere il loro destino; l’Islanda, ad esempio, ha annunciato che renderà nota una decisione ufficiale nei prossimi giorni. Possiamo comunque lodare la decisione presa dall’EBU e deplorare i Paesi che hanno deciso o decideranno di ritirarsi per motivi prettamente ideologici, snaturando quindi il senso universalista e inclusivo dell’Eurovision Song Contest.
Da settanta anni ancora nel perimetro di Stalin
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di Niram Ferretti
Da settanta anni ancora nel perimetro di Stalin
L’indecorosa bagarre sorta nel Pd sul ddl a firma Graziano Delrio incentrato sull’antisemitismo evidenzia come, su una questione così rilevante, soprattutto oggi alla luce degli innumerevoli episodi di violenza nei confronti degli ebrei a seguito del 7 ottobre 2023, la sinistra sia allo sbando. La pietra dello scandalo del ddl, sconfessato dal Pd, sta nel fatto che in esso viene fatto riferimento alla definizione di antisemitismo dell’Alleanza Internazionale per la memoria dell’Olocausto, la quale include tra i suoi esempi anche la delegittimazione di Israele. È Israele il problema, non sono gli ebrei. Ne è passata di acqua sotto i ponti dal discorso alle Nazioni Unite del 14 maggio 1947, quando il capo delegato sovietico, Andrei Gromyko, salutava come un grande segno del progresso la futura nascita di uno Stato ebraico. La musica cambiò in fretta con la crisi di Suez del 1956, quando Israele venne bollato da Stalin come “quinta colonna” dell’imperialismo americano. Da allora siamo arrivati a oggi, alle parole d’ordine della sinistra attuale, alle accuse di colonialismo, apartheid, razzismo, nazismo, genocidio, tutta la lessicografia criminalizzante contro Israele di cui, grande campionessa, è la relatrice Onu Francesca Albanese, diventata rapidamente un’icona che la sinistra ha adottato con entusiasmo. Già nel 1982, durante la prima guerra del Libano, (e anche anno dell’attentato al Tempio Centrale di Roma che costò la vita al piccolo Stefano Gaj Taché), sia Enrico Berlinguer che Luciano Lama accusarono Israele di perpetrare un genocidio. Da allora a oggi, a sinistra, la catena di montaggio delle accuse non si è mai fermata. Con varie gradazioni, Israele è sempre stato considerato come un Paese maligno, oppressore di un mitico popolo arabo autoctono. Non può certo meravigliare dunque che su un ddl che non lo presenta nella luce torva di Modor, ma addirittura indica che la sua criminalizzazione va letta alla luce dell’antisemitismo, il Pd si spacchi, rubricandolo come iniziativa personale del senatore Delrio. Su Israele, ossessivamente su Israele, l’erede politico del partito che fu guidato da Togliatti, non è mai uscito dal perimetro di condanna che Stalin gli aveva disegnato intorno ormai settanta anni fa.
Il neo-antisemitismo della (finta) critica a Israele
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di Iuri Maria Prado
Il neo-antisemitismo della (finta) critica a Israele
Questa è la definizione di antisemitismo adottata ormai molti anni fa da International Holocaust Remembrance Alliance e fatta propria da moltissimi Paesi, Italia compresa: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”. Come si vede, essa non limita in nessun modo il diritto di “criticare Israele”. Le “critiche” cessano tuttavia di essere legittime, e possono assumere tratti antisemiti, quando si rivolgono contro lo Stato degli ebrei e contro il popolo di Israele non per ciò che l’uno o l’altro fanno, ma per il fatto che si tratta di quel popolo e di quello Stato. Succede quando si pretende da Israele ciò che non si pretende da altri. Quando si giudica Israele secondo canoni diversi rispetto a quelli adottati per giudicare altri. Quando si applicano soltanto a Israele regole che dovrebbero valere per tutti, mentre per chiunque altro sono sistematicamente mandate in desuetudine. Ma la definizione di antisemitismo di IHRA non riguarda affatto in modo esclusivo le presunte “critiche a Israele”, di cui è appunto sottolineata la piena legittimità. Molto più precisamente, quella definizione si propone il compito di individuare un perimetro in siano inclusi comportamenti certamente antisemiti e da cui siano esclusi quelli che invece sarebbe improprio considerare tali. L’operazione definitoria è importante perché il rischio (opposto a quello che lamentano i critici) è che siano legittimati tramite scappatoie nominalistiche atteggiamenti di sicuro pregiudizio antisemita. Se ci si riferisse solo alla “razza” si adotterebbe un criterio inadeguato e – per fortuna – inattuale, e si legittimerebbe la discriminazione antisemita di stampo religioso. Se ci si riferisse solo a quest’ultimo profilo, si legittimerebbe la molestia antisemita che pretendesse di assolversi sulla mancanza di riferimenti alla razza. Eccetera. Ecco perché la definizione ha il (diverso) tenore che sopra abbiamo ricordato. Bene, l’isterica sollevazione cui si è assistito a causa della presentazione di una proposta di legge che fa proprio quell’apparato definitorio non prende di mira, in realtà, le norme di cui si propone l’adozione. Non si tratta, cioè, di critiche alla proposta di legge: si tratta del ripudio di quella definizione da parte di coloro che pretendono impunità per l’antisemitismo travestito da “critica a Israele”. Cioè cacciare gli ebrei dalle università, molestare i clienti israeliani nei ristoranti sventolandogli in faccia il “genocidio”, appendere cartelli “antisionisti” sulle vetrine dei negozi e sulle entrate delle spiagge, organizzare il benvenuto ai turisti israeliani che atterrano in Italia con orde di manifestanti che li accolgono a suon di “Fuck Israel”. E via di questo passo Tutti comportamenti d’odio antiebraico puntualmente giustificati alla luce del diritto intangibile di “criticare Israele”.
Tra i dem è sempre più difficile cavarsela con i giochi di parole
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di Giuliano Cazzola
Tra i dem è sempre più difficile cavarsela con i giochi di parole
C’è una frase resa celebre di Agatha Christie, che era diventata una regola nelle indagini tradizionali (quando non erano ancora in uso le intercettazioni a strascico): “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Su questa base potremmo sentirci autorizzati a denunciare, quanto meno, una deriva strisciante del Pd (versione Elly Schlein) verso una forma di antisemitismo dissimulato: i tre indizi con valore di prova ci sono già e sono tutti freschi di giornata. Sono trascorsi appena dieci giorni da quando i Giovani democratici di Bergamo hanno contestato lo svolgimento di un evento dal titolo “La pace è possibile?”, promosso dall’associazione Italia-Israele, che aveva come ospite principale l’ex deputato dem Emmanuele Fiano, ora presidente della Sinistra per Israele. Fiano ha una storia personale segnata dall’Olocausto in quanto appartenente ad una famiglia sterminata ad Auschwitz con un solo superstite, il padre Nedo, nobile figura nella lotta contro l’antisemitismo nell’Italia democratica. I Giovani dem bergamaschi hanno contrapposto una manifestazione «autonoma» per ribadire che «la comunità democratica non può e non vuole essere assimilata alle posizioni di pochi, che è per una pace giusta e che si schiera senza se e senza ma con gli oppressi».«La sinistra non può dialogare con “sionisti moderati”», ma deve farlo con «gli antifascisti e antisionisti». Non risulta che Fiano sia sionista; di certo è un antifascista persino esagerato. In qualità di deputato del PD Emanuele Fiano, presentò un ddl (che se ben ricordo fu anche approvato dalla Camera, ma bloccato al Senato) rivolto a inasprire le norme contro la propaganda fascista, estendendo il divieto anche alla produzione, vendita e diffusione di oggetti (gadget) che richiamassero simboli e manifestazioni fasciste. Poi nei giorni scorsi ha chiesto che fossero esclusi da una fiera libraria i volumi di una casa editrice da lui ritenuta filofascista. Ma questi atti di fede non gli hanno consentito di superare l’unico handicap che gli rimaneva agli occhi di quei giovani: l’essere ebreo. Fiano – che già era passato attraverso le forche caudine dei pro Pal all’Università Ca’ Foscari di Venezia – ha ricevuto la solidarietà di qualche esponente riformista nell’indifferenza dei vertici nazionali del partito. Poi – a breve giro di posta – è toccata a Piero Fassino, segretario della medesima associazione, reo di averla combinata ancora più grossa: di essersi, cioè, recato ad Israele insieme ad altri parlamentari della maggioranza filo israeliani e di aver rilasciato delle dichiarazioni addirittura alla Knesset che riconoscevano ad Israele di essere una società aperta, libera, e democratica: dichiarazioni da cui il partito ha preso le distanze perché a giudizio dei vertici in quel paese è in atto una involuzione autoritaria e quant’altro. L’aspetto tragicomico della vicenda sta nel fatto che il censore di Fassino è stato un tal Giuseppe Provenzano che non era ancora nato, quando Piero sbadilava in V Lega Fiat. Ma non anche nel Pd non c’è limite al peggio. L’ultima sconfessione rispetto alla linea ufficiale del partito è opera di Ciccio Boccia, capo gruppo dem al Senato e fedele samurai di Elly, nei confronti di un autorevole collega, Graziano Delrio, una personalità dotata di un curriculum eccellente nel partito, che ha presentato, insieme a una decina di colleghi, un ddl contro l’antisemitismo che si limita a recepire – come altre proposte di altri gruppi – la definizione di antisemitismo scritta dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Siamo a questo punto. Anche nel Pd è sempre più difficile cavarsela con i giochi di parole, camuffando l’antiebraismo con varianti semantiche. Del resto anche in materia di antisemitismo esiste sempre la possibilità di ricorrere alla prova del nove. Basta tener conto della protezione che – nonostante le gaffe rivelatrici del pensiero – è tuttora riservata a Francesca Albanese, la Crudelia De Mon dell’Onu deviato.
Intervista a Andrea Orsini – «Antisemitismo ripugnante al Pd dico: votiamo un ddl unitario»
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di Aldo Torchiaro
Intervista a Andrea Orsini – «Antisemitismo ripugnante al Pd dico: votiamo un ddl unitario»
A ndrea Orsini, a lungo parlamentare e oggi capogruppo di Forza Italia in commissione Esteri alla Camera, è colpito dal tenore della tensione a sinistra intorno a un tema diventato intoccabile, la condanna dell’antisemitismo. Onorevole Orsini, è possibile che una legge contro l’antisemitismo diventi divisiva? Non dovrebbe essere un terreno comune? «È la triste realtà del mondo in cui stiamo vivendo. Non voglio esagerare, voglio usare le parole con senso di responsabilità: non voglio dire che nel PD ci siano antisemiti, mi auguro non sia così e spero davvero che non sia così. Ma voglio dire che la barriera morale contro l’antisemitismo, quella che per molto tempo impediva di mettere in discussione questo concetto, sembra essere crollata. La tremenda vaccinazione della storia dopo Auschwitz, che aveva per decenni impedito di strumentalizzare o prendere sottogamba l’antisemitismo, non regge più». Che cosa è cambiato, secondo lei? «L’interesse a demonizzare Israele ha portato molti a fare qualunque cosa. In molti casi sono stati amministratori locali del PD quelli che hanno voluto assegnare a Francesca Albanese cittadinanze onorarie. Alcuni se ne sono pentiti, ma non tutti. E soprattutto non esitano più a giocare con un concetto che avrebbe dovuto restare una barriera morale assoluta. Non lo è più. È un cambiamento culturale molto grave. Qualcuno ha scritto che gli italiani, dopo la guerra, hanno fatto i conti con il fascismo ma non con l’antisemitismo, pensando che dirsi antifascisti bastasse. Non è così». In che senso? «Si è pensato di storicizzare l’antisemitismo come un fenomeno circoscritto a un’epoca, a un regime. Purtroppo non è così. La Shoah è un evento unico e irrepetibile, ma l’antisemitismo non è solo la Shoah. È una serie di atti quotidiani, una violenza concettuale spaventosa. Il fatto che molti miei amici ebrei non abbiano più il coraggio di andare per strada con la kippah; il fatto che si arrivi a imbrattare la lapide di Stefano Gay Taché, un bambino di due anni ucciso dall’OLP… tutto questo è ripugnante. E ciò che mi ha più colpito è la debolezza delle reazioni: avrei voluto un moto di indignazione generale, non l’ho sentito. Sono segnali gravissimi: un demone sta uscendo dall’inferno». Veniamo alla proposta Delrio: la convince? «Non l’ho ancora esaminata integralmente, ma conosco il contenuto e soprattutto l’aspetto contestato: l’introduzione della definizione di antisemitismo adottata dall’International Holocaust Remembrance Alliance. È la stessa che il Parlamento Europeo ha fatto propria, e che il governo Conte – il Conte II – aveva sostenuto, sia pure in termini politici. Ora il PD non ha più nemmeno il coraggio di rivendicare il suo stesso governo pur di polemizzare con Israele. Ed è falso che quella definizione impedisca di criticare Israele: sostenerlo è pura mala fede. Quella definizione considera antisemita paragonare Israele ai nazisti. E mi pare ovvio che lo sia: è un’idea blasfema». Forza Italia e il centrodestra potrebbero votare quella legge o insisteranno sul loro ddl? «Noi abbiamo già diverse proposte sul tema. Io spero che, su una questione del genere, si possa convergere tutti. La lotta all’antisemitismo non può essere un valore di una parte. L’antisemitismo è un’insania contro cui deve muoversi la coscienza dell’intera collettività nazionale. Guai a chi antepone tatticismi o strumentalizzazioni politiche: qui è in gioco un problema morale, non politico». D’altronde lo stesso Pd aveva contestato uno dei suoi fondatori, Piero Fassino, per aver parlato alla Knesset… «È gravissimo perché Fassino non ha fatto nulla di ciò di cui viene accusato. Le sue posizioni sono persino diverse dalle mie: io ho sostenuto l’azione di Israele, pur dissentendo su alcuni punti; lui ha sempre richiamato la prospettiva dei due Stati e la necessità di costruire uno Stato palestinese. Su questo io stesso sono d’accordo, anche se sarei molto più prudente di lui in questa fase storica. Ma il solo fatto di essere venuto in Israele e di aver detto una cosa ovvia – cioè che Israele è una democrazia – è diventato un problema nel PD». Laura Boldrini ha detto: “C’è ancora qualcuno che dice che Israele è una democrazia?” «E lo dice l’ex presidente della Camera! Io la stimo per la sua passione ideale, l’ho sempre detto, ma è una passione che troppo spesso la conduce a fare affermazioni infelici. E questa, francamente, lo è».
La politica che si conta sulla pelle degli ebrei
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di Gadi Luzzato Voghera
La politica che si conta sulla pelle degli ebrei
È anche un pregiudizio, una delle varianti del razzismo e molto altro ancora. Secondo la working definition dell’IHRA International Holocaust Remembrance Alliance è una “certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei”. Secondo gli estensori della Jerusalem Declaration on Antisemitism JDA la definizione corretta è questa: “L’antisemitismo è discriminazione, pregiudizio, ostilità o violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o contro le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)”. Ci sono altri tentativi di definire il fenomeno, ma fermiamoci qui. Siamo nel 2025 e le società globali si trovano nuovamente a dover definire e contrastare un fenomeno assai diffuso, in crescita, che mette seriamente a rischio la tenuta delle democrazie liberali. Lo hanno chiaramente denunciato i coordinatori nazionali per la lotta all’antisemitismo riuniti a Buenos Aires nell’estate del 2024 dove hanno sottoscritto le Linee guida globali per contrastare l’antisemitismo. Al governo degli USA c’era Biden, la coordinatrice contro l’antisemitismo di quel governo era Deborah Lipstadt, la studiosa che anni addietro aveva sconfitto in tribunale il negazionista neofascista David Irving. È questo il contesto operativo nel quale si è trovato il senatore Graziano Delrio, che ha offerto alla discussione della Commissione Affari Costituzionali del Senato un disegno di legge che definirei di mediazione, alternativo ad altri disegni di legge presentati in precedenza da Lega, Italia Viva e Forza Italia. L’idea del senatore PD e dei suoi colleghi è stata quella di sottrarsi alla tentazione di rispondere con la repressione (arma che questo governo sembra prediligere) alle minacce antisemite, offrendo in alternativa strumenti efficaci di contrasto nel mondo dei social, nell’Università e nelle scuole.Ci si sarebbe attesi una levata di scudi da destra. Il disegno di legge proposto dal senatore Maurizio Gasparri – assai differente da quello di Delrio – propone in effetti ben altro: equiparazione tout court di antisemitismo e antisionismo e una modifica dell’art. 604bis del Codice penale (quello che colpisce esplicitamente chi nega la Shoah) che si vorrebbe estendere a chi nega il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele. Una proposta problematica, che farebbe fatica a raccogliere i consensi bipartisan del Parlamento. Può l’Italia permettersi di approvare una (necessaria) legge di contrasto all’antisemitismo con un voto non condiviso da tutti gli schieramenti politici? No, non può. Come nel 1999 venne intrapreso l’iter che condusse alla legge che istituì il Giorno della Memoria, votata da tutti i partiti in un clima politico complicato tanto e forse più di quello attuale, così oggi su un tema così scottante come quello dell’antisemitismo non si può non produrre un testo equilibrato e condivisibile da tutti.Tuttavia, i rilievi più accesi alla proposta di Delrio (appoggiata da una raccolta di firma di centinaia di docenti universitari) sono giunti da sinistra. Il PD di Elly Schlein, con il suo capogruppo al Senato Boccia, ha sostanzialmente disconosciuto la paternità del documento, spinto dalle pressioni degli alleati del cosiddetto campo largo. E, d’altro canto, studiosi e intellettuali hanno riproposto in un appello la netta contrarietà al progetto di legge accusando quel documento (e gli altri DDL) di strumentalizzare il tema antisemitismo per imporre politiche repressive. L’oggetto della discordia era e rimane la definizione dell’IHRA, che tuttavia non dice quello che i suoi oppositori le fanno dire.Torniamo quindi all’inizio: l’antisemitismo è un linguaggio politico. Da anni ormai, e sempre di più, quel concetto è divenuto terreno di scontro su cui misurarsi, guardando ad altro. La sinistra e i riformisti del PD scelgono quel terreno per scontrarsi sulla loro diversa idea di “sinistra”. Le destre prediligono quel tema per ripulire la coscienza sporca di un passato fascista che fatica a passare. E qua e là emerge quel pregiudizio religioso dell’antigiudaismo cristiano tradizionale che è ancora ben presente a livello di linguaggi e di forme di varia ostilità. In tutto ciò sfugge l’emergenza del problema. L’antisemitismo purtroppo c’è, cresce la pressione su ebrei di ogni latitudine che non sono più liberi di esprimere le loro idee e le loro identità nelle scuole o nelle università, che vengono assaliti dal linguaggio d’odio sui social e che a volte vengono aggrediti fisicamente. Sinagoghe presidiate dalle forze dell’ordine, lapidi imbrattate, insulti ovunque. Una minaccia per i nostri (dico di noi italiani) diritti democratici che ci consentono di godere di libertà di credo religioso, di parola, di associazione, di studio, di svago. La discussione di una legge a difesa di quei diritti, di quelle libertà, riguarda tutte e tutti, e non può che essere condivisa. Se non lo sarà, il futuro del nostro assetto costituzionale verrà messo a rischio.
L`attacco più letale sulla via israeliana per Damasco
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di Michele Giorgio
L`attacco più letale sulla via israeliana per Damasco
Il 28 novembre, all’improvviso, il villaggio siriano di Beit Jinn al confine con il Golan occupato è stato preso d’assalto dall’esercito israeliano: elicotteri, missili e truppe di terra. Tredici uccisi. Così Israele avanza la pretesa di una zona demilitarizzata che arrivi fino a Damasco. Odai aspettava i giornalisti da giorni. Per raccontare in ogni particolare l’attacco israeliano all’alba del 28 novembre contro Beit Jinn, il suo villaggio ai piedi dell’Alture del Golan, territorio siriano che Tel Aviv occupa dal 1967. «I blindati sono apparsi lì – ci dice indicando una lunga strada in salita che sale verso il versante del Golan sotto il controllo di Israele – Si sono fermati proprio in questo punto e hanno aperto il fuoco contro quelle case. Una l’hanno presa in pieno». Il paesaggio intorno toglie il fiato per la sua bellezza e i frutteti che ricoprono la terra di origine vulcanica sono un dono per questo villaggio non lontano da Quneitra e isolato, che da un anno paga a caro prezzo le mire espansionistiche di Israele, giustificate sempre con «esigenze di sicurezza». «A un certo punto – aggiunge Odai – sono apparsi anche gli elicotteri e hanno sparato razzi contro le abitazioni che vedi in quel punto. Infine, sono entrati nel villaggio decine di soldati con le jeep. Ci siamo difesi pur essendo soltanto degli allevatori e contadini e li abbiamo respinti». L’esercito israeliano ha fatto sapere di aver subito sei feriti, tre dei quali gravi. È la prima volta che i siriani rispondono a un attacco israeliano da un anno a questa parte. I nuovi governanti di Damasco dopo il blitz a Beit Jinn non sono andati oltre l’accusa di «crimine di guerra» rivolto a Israele. Mai Israele aveva compiuto un attacco di terra così letale da quando, un anno fa, Bashar Assad è fuggito in Russia poche ore prima dell’ingresso a Damasco di migliaia di miliziani jihadisti di Hay’at Tahrir a-Sham guidati da Mohammed al Julani, noto ora con il suo vero nome, Ahmad Sharaa, presidente autoproclamato della Siria. L’incursione conferma l’intenzione di Israele di imporre le sue condizioni in profondità in Siria e di voler creare un’ampia zona cuscinetto. Ne ha parlato di nuovo qualche giorno fa il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu sostenendo che un accordo di non belligeranza con la Siria sarà possibile solo a condizione che sia creata una zona smilitarizzata da Damasco fino alle Alture del Golan. Quindi ha ribadito che le forze militari israeliane continueranno a occupare a tempo indeterminato quelle aree. ALMENO 13 PERSONE sono state uccise durante il raid del 28 novembre diretto, afferma Israele, contro una cellula della Jamaa Islamiyya «sul punto di colpire». Tra le vittime invece si contano diversi civili. Una intera famiglia, la Abu Hamade padre, madre e tre figli – è stata sterminata nel sonno. Tre abitanti sono stati presi dai soldati e portati via: altri sette erano stati arrestati circa sei mesi fa. «La gente del posto non sapeva nulla di ciò che stava accadendo, fino a quando è iniziato lo scontro a fuoco. Solo allora hanno capito che le forze israeliane erano entrate a Beit Jinn e che alcune persone del villaggio erano state coinvolte», racconta Raed Abu Hamade, il nonno scampato per un soffio alla morte entrando nella casa del figlio ridotta in uno scheletro due piani, annerito dal fumo e dalle fiamme e senza più le pareti. «A BEIT JINN non reclutiamo nessuno, eppure è stata uccisa una famiglia di cinque persone che stava dormendo dentro questa casa», spiega precisando che quando i soldati israeliani si sono ritirati da Beit Jinn è iniziato un bombardamento aereo e di artiglieria molto violento. «La gente vive ancora nella paura». Intanto un corteo di duecento abitanti si avvicina alla casa distrutta sventolando la bandiera della nuova Siria post-Assad. I partecipanti scandiscono slogan in onore dei «martiri» e contro Israele.
Un ragazzo in sella a una moto alza al vento la bandiera palestinese. Diversi manifestanti portano al collo la kufiah. Facciamo visita a un giovane, che ci chiede di non rivelare il suo nome. È stato ferito alla gamba destra da un proiettile, dovrà stare a riposo per una ventina di giorni. Il padre e la madre lo confortano e assistono. «Mi ero svegliato presto per andare nel nostro uliveto e completare la raccolta. Una volta in strada ho scoperto che c’erano gli israeliani nel villaggio, hanno cominciato a sparare contro tutto. Io sono stato colpito alla gamba». Gli chiediamo cosa faranno lui e gli altri giovani di Beit Jinn se gli israeliani entreranno di nuovo nel villaggio. Resisteranno in armi come il 28 novembre? «Se proveranno a occupare il nostro villaggio resisteremo, è ovvio. Questa è terra della Siria, è la nostra terra e la difenderemo». La madre insiste per offrirci un caffè. Gli stranieri, soprattutto se europei, non si vedono spesso ed è felice di riceverci. Qualcuno ci informa che è stato scarcerato Ali Abu Hamade, uno degli abitanti arrestato sei mesi fa: «In carcere non ho ricevuto percosse o abusi, ma (gli israeliani) non mi hanno mai detto perché mi avevano preso, mai una spiegazione in sei mesi. Poi questa mattina mi hanno liberato». LASCIAMO BEIT JINN con il presentimento che l’esercito israeliano vi tornerà molto presto per includerlo nell’area smilitarizzata fin quasi a Damasco che hanno in mente Benyamin Netanyahu e il suo ministro della difesa Israel Katz. Dopo caduta di Assad, Israele ha dispiegato le sue forze nella zona cuscinetto, molto più ampia di quella ufficiale, concepita per mantenere il cessate il fuoco seguito alla guerra del 1973 tra Israele e Siria. Quindi ha lanciato raid in tutta l’area. Anche ieri le forze israeliane sono entrate a Saida al-Hanout, nella campagna di Quneitra, con sei veicoli blindati. Giovedì pattuglie israeliane sono arrivate all’ingresso del villaggio di Samdaniyah al-Gharbiyah e sulla strada che conduce alla diga di al-Mantarah. Hanno anche preso di mira Tell Ahmar, sempre nel distretto di Quneitra. Martedì sera erano penetrate nella cittadina di Bir Ajam, nel villaggio di Ruwayhina, verso la diga di Kodna. «Dopo la caduta di Assad – spiega il ricercatore siriano Mohammed El Bahisi – Israele ha prima distrutto le capacità militari siriane, poi è intervenuto con il pretesto della protezione delle minoranze (i drusi). Quindi ha proceduto a espandere la zona cuscinetto fino a chiedere un’area smilitarizzata vastissima nonostante tutte le rassicurazioni date dalle nuove autorità siriane. Il progetto della Grande Israele è davanti ai nostri occhi mascherato da necessità di sicurezza».
Avvertimento a Barghouti e a chi chiede di liberarlo
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di Chiara Cruciati
Avvertimento a Barghouti e a chi chiede di liberarlo
Una telefonata anonima, di un presunto ex prigioniero, alla famiglia di Marwan Barghouti: il leader palestinese, in carcere dal 2002, è stato picchiato duramente, gli hanno fatto saltare i denti e rotto le costole. Ma non ci sono conferme. Il figlio Sharaf al manifesto: «Vogliono intimidirci. Gli avvocati hanno chiesto di vederlo». In isolamento totale da oltre due anni, minacciato personalmente dal ministro Ben Gvir, Barghouti è al centro di una nuova campagna globale che ne chiede il rilascio: il timore è che quella telefonata serva a zittire chi fa appello alla sua liberazione e a quella di decine di migliaia di prigionieri inghiottiti in un buco nero di fame, morte e torture. Intanto in Cisgiordania nuovi arresti di massa e un altro ucciso, un 38enne ammazzato davanti a una moschea a Nablus. La prigionia assume forme differenti in Palestina: ci sono le botte e ci sono le intimidazioni. Difficile saperne di più quando la vittima è in isolamento totale da oltre due anni. Ieri la famiglia di Marwan Barghouti, il più noto e amato leader palestinese, vertice di Fatah, prigioniero politico dal 2002, condannato a cinque ergastoli, ha lanciato l’ultima di tante denunce dopo aver ricevuto la telefonata – arrivata da un numero israeliano – di un presunto ex detenuto appena rilasciato: Marwan è stato picchiato di nuovo. Il pestaggio più duro che gli avrebbe fatto saltare i denti, rotto le costole e tagliato un orecchio. LA FAMIGLIA ha subito reso nota la telefonata e avvertito gli alleati politici, a partire da Ofer Cassif, deputato israeliano comunista alla Knesset: «La famiglia spera si tratti solo di un’intimidazione – ha detto Cassif. Spero lo sia, un’intimidazione diabolica». Hanno provato a richiamare quel numero, più volte. Nessuna risposta. «La notizia non è verificata – ci dice uno dei figli del leader palestinese, Sharaf Barghouti – Potrebbe trattarsi di una notizia falsa, un modo per intimidirci. Uno “scherzo” da parte israeliana per farci preoccupare». LA FAMIGLIA ha subito dato mandato agli avvocati di verificare. I legali – come fanno da anni – hanno chiesto a Tel Aviv conferme e di poterlo vedere: «È molto difficile fargli visita, gli avvocati stanno aspettando il via libera – continua Sharaf Potrebbero volerci due giorni come dei mesi. Possiamo solo sperare». Di Marwan Barghouti, dei suoi due ultimi anni di galera e isolamento, si sa pochissimo. Almeno cinque pestaggi subiti dal 7 ottobre e innumerevoli intimidazioni, dall’ultima guardia carceraria al più alto in grado, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. Lo scorso agosto, in uno dei suoi vergognosi tour nelle carceri palestinesi, si è fatto riprendere in video mentre minacciava Barghouti, in piedi di fronte a lui con le mani legate. Visibilmente dimagrito, spossato, è apparso un gigante davanti a un ministro che lo minacciava di morte. È stata la sua prima immagine pubblica da anni. E, a oggi, l’ultima. Che la telefonata di ieri sia stata una denuncia reale o una falsità che riaccende un dolore mai sopito, resta intatto l’obiettivo: intimorire i Barghouti e chi, insieme a loro, ha rilanciato a livello globale la campagna per la sua liberazione. In Italia, con decine di migliaia di firme e l’impegno di associazioni storiche, dall’Arci all’Anpi, da Assopace a Pax Christi fino al Global Movement for Ga2a e a Ga2a Freestyle. E fuori, con l’appello di centinaia di artisti e intellettuali: Annie Ernaux, Margaret Atwood, Brian Eno, Arundhati Roy, Massive Attack, Pedro Almodóvar, Sally Rooney, tra gli altri, lo hanno fatto inviando una lettera all’Onu e chiedendo di fare quanto fu fatto per il Sudafrica dell’apartheid. Una rinnovata campagna globale che segue a settimane di speranze tradite, quelle dell’ultima fase del negoziato tra Israele e Hamas, che aveva inserito Barghouti nella lista dei detenuti da liberare. Tutto annegato nel piano trumpiano, frutto di nessun negoziato ma di un’imposizione unilaterale di Israele e Stati Uniti. IL DESTINO DI BARGHOUTI è condiviso, collettivo. Le sue condizioni di prigionia assomigliano a quelle di 21mila palestinesi della Cisgiordania e migliaia di ga2awi arrestati e detenuti dopo il 7 ottobre. Fame, umiliazioni, pestaggi e abusi sessuali, corpi contenuti in tre metri quadri senza materassi né coperte, una quotidianità denunciata dallo stesso ufficio della difesa pubblica di Israele, appena due giorni fa, in un rapporto che definisce le torture strutturali e sistematiche. Sono almeno cento i palestinesi morti in custodia in 26 mesi, ma il numero è dato da molti osservatori come gravemente sottostimato. LE CARCERI sono luoghi di morte e tortura, buchi neri che ingoiano decine di migliaia di vite, specchio della disumanizzazione dei palestinesi come politica di Stato. E gli arresti di massa non si fermano, 570 in Cisgiordania solo nel mese di novembre, una media di venti al giorno, che si accompagna a operazioni militari (ieri un altro palestinese, il 38enne Bahaa Rashid, ucciso vicino Nablus mentre usciva da una moschea) e violenze dei coloni. Senza contare Gaza che anche ieri piangeva altri ammazzati dai droni oltre la linea gialla. In un video della campagna FreeMarwan, la voce di uno dei figli accompagna il volo di un drone sopra la gigantografia realizzata nel villaggio di origine di Barghouti, Kobar: «Per tanti è un leader. Per me è semplicemente mio padre. Non lo abbraccio da 24 anni…È in isolamento da due anni, picchiato, ferito, minacciato pubblicamente non perché sia pericoloso ma perché rappresenta unità e speranza. E la speranza è sempre stata la peggiore minaccia per l’oppressore».
Conte rimette la kefiah e punta sulla Palestina. L’idea di un tour M5s
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di Ruggiero Montenegro
Conte rimette la kefiah e punta sulla Palestina. L’idea di un tour M5s
Mentre il Pd fa il Pd e torna a dividersi, a lacerarsi, sull’antisemitismo “a titolo personale”, Giuseppe Conte si rimette la kefiah. E se Elly Schlein cerca occasioni per rilanciare il dualismo con Giorgia Meloni, l’ex premier fa da sé. Prima di andare ad Atreju è pronto a rilanciare sulla causa palestinese, a denunciare “il silenzio” dei media. L’appuntamento è per martedì prossimo al Monk di Roma, e potrebbe non essere l’unico, per un’iniziativa dal titolo: “Alziamo la voce”. E anche il luogo scelto, il Monk, non sembra casuale. Quello palestinese è un terreno politico su cui, a differenza dei dem e di Elly Schlein, il capo pentastellato può muoversi ben più liberamente. Il ddl Delrio non è affar suo (sebbene la definizione di antisemitismo che tanto fa discutere al Na2areno sia la stessa approvata dal governo Conte II), e nemmeno le cittadinanze onorarie concesse dai sindaci del Pd alla relatrice speciale Onu Francesca Albanese. Così l’ex presidente del Consiglio può coprirsi di nuovo a sinistra, surfare sulle contraddizioni degli alleati e colpire Giorgia Meloni e il suo governo, parlando di politica estera. A proposito: da via di Campo Marzio continuano a ribadire il no alle armi all’Ucraina. Un primo indizio sul ritorno di Ga2a al centro dell’agenda il M5s l’aveva dato già una settimana fa. Dopo qualche tempo fuori dai radar, Conte è tornato a parlare del “genocidio di Israele”. Era la prima lezione della scuola di formazione M5s, dedicata proprio al Medio Oriente e alla questione palestinese. In quell’occasione Conte, nell’intervento conclusivo della lezione al Tempio di Adriano, aveva rivendicato le battaglie e le denunce del Movimento, prima di attaccare il “tracollo” e i “doppi standard” dell’Ue e dell’occidente. Tra qualche giorno arriverà la replica, quando al Monk i parlamentari del M5s racconteranno il viaggio in Cisgiordania che hanno da poco compiuto. E la scelta del luogo non sembra casuale. Per dire: anche un gruppo dem si è recato in Medio Oriente nelle scorse settimane, ma Laura Boldrini, Andrea Orlando e il resto della delegazione dem hanno tuttavia preferito raccontarlo in una sala della Camera. Mentre il locale che sorge a Roma est è ormai da un po’ diventato una sorta di riferimento per la sinistra (e la sua movida). Da lì Schlein aveva infatti lanciato la sua scalata al Pd e poi la campagna per le europee. In via Mirri si è tenuta la festa nazionale di Alleanza verdi sinistra e anche Francesca Albanese è di casa, vi è passata più di una volta per presentazioni e dibattiti. Adesso tocca al M5s. Ci saranno, insieme a Conte, vari parlamentari; per esempio Stefania Ascari e Dario Carotenuto, tra i più attivi per la causa. E poi Luisa Morgantini, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo e fondatrice dell’associazione Assopace Palestina. Nella presentazione si spiega che l’evento “mira a denunciare come il silenzio da parte dei principali mezzi di informazione rischi di spegnere l’impatto delle manifestazioni”. E Carotenuto aggiunge al Foglio: “Questo è il primo appuntamento, ma confido di poter portare la nostra esperienza, quello che abbiamo visto e documentato in Cisgiordania, anche in altre città d’Italia. E’ stato un viaggio molto significativo e pieno di complessità”. Ieri Conte ha attaccato il governo Meloni su economia e industria in crisi – “fermatevi, fate meno danni”. Ma dalla prossima settimana il focus potrebbe cambiare. E magari andare in tour. La leadership del campo largo passa anche da qui.
Fiano: “Il Pd contro il ddl Delrio per ignoranza. Non hanno letto il testo”
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di Luca Roberto
Fiano: “Il Pd contro il ddl Delrio per ignoranza. Non hanno letto il testo”
“Il ddl Delrio fa riferimento alla definizione operativa di antisemitismo dell’Ihra, ma non si sofferma sui dieci esempi di antisemitismo, sempre dell’Ihra, su cui si possono avere opinioni diverse. Penso che le critiche al testo siano mosse da ignoranza, forse non l’hanno letto bene. Per questo al Pd chiedo: chi può essere contrario a quella definizione? Anche perché venne approvata all’epoca del Conte II, quando il Pd governava con il M5s”. A chiederlo al suo partito è Emanuele Fiano, ex deputato, segretario di “Sinistra per Israele -Due popoli e due stati”, diventato uno dei bersagli dei movimenti pro-Pal che, ad esempio, lo hanno contestato alla Ca’ Foscari di Venezia impedendogli di parlare. “Credo che si debba partire da un punto: la definizione operativa dell’Ihra è inappellabile. Poi certo, sugli esempi che fa la stessa definizione, si può discutere. Io ad esempio credo che fare paragoni tra la politica del governo israeliano e il nazismo sia folle, ma non credo affatto che questo sia antisemitismo”, prosegue Fiano. Ciò, però, non è bastato alla pattuglia parlamentare dem, che si è dissociata dal disegno di legge portato avanti dall’ex ministro dei Trasporti. “Il senatore Delrio ha depositato, a titolo personale, il ddl ‘Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo’ che non rappresenta la posizione del gruppo né quella del partito”, ha scritto in una nota il capogruppo a Palazzo Madama Francesco Boccia. Alcuni dei cofirmatari di quel testo, Andrea Martella, Antonio Nicita e Valeria Valente, hanno ritirato le loro firme. E ieri Boccia ha rincarato la dose dicendo che in questa fase non c’è bisogno di puntare “bandierine identitarie”. “Ma io trovo che questi attacchi nei confronti del ddl da parte del Pd siano gravi e incomprensibili. Rivolti, peraltro, a una delle personalità che più rappresentano, nel Pd, l’idea di comprensione dei diritti di tutti i popoli, di apertura e di dialogo”, ragiona Fiano parlando col Foglio. Sono uscite, quelle del Na2areno, che in qualche modo rafforzano la postura di un Pd estremista, soprattutto dopo che in varie città si è posto il tema della cittadinanza onoraria da concedere alla relatrice Onu Francesca Albanese. “Credo sia tutto frutto della virulenza che si è raggiunta nel post 7 ottobre e dopo aver assistito ai massacri di Ga2a: da una parte ci sono state critiche legittime al governo israeliano, e io sono tra i primi a pensare che per Israele sarebbe meglio che il premier non fosse Netanyahu. E provo orrore per le posizioni di ministri come Ben Gvir e Smotrich”, spiega Fiano. “Dall’altra in alcune frange estreme ha prodotto una saldatura tra antisionismo e antisemitismo. Ma la sinistra, che ha nel suo Dna l’autodeterminazione dei popoli, dovrebbe riflettere su un dato: troppo spesso le legittime critiche al governo israeliano, che nessuno vuole limitare, finiscono per mettere in discussione l’esistenza stessa di Israele. Ecco, io credo che per il Pd questa sia un’occasione per una riflessione su quanto non si possa rispondere alla complessità con le semplificazioni. E per rifiutare ogni forma di estremismo. Almeno, è quello che nel mio piccolo continuerò a fare”. Anche sulla visita di Fassino alla Knesset il responsabile Esteri del Pd si è dissociato. “Io le dichiarazioni di Provenzano non le ho capite”, confessa Fiano. “Quando Fassino dice che Israele è una democrazia non vuol dire che si vogliano nascondere assurdità espresse da esponenti del Parlamento israeliano eletti e che hanno parlato di ‘bomba atomica su Ga2a’. Così come è vero che Israele è una democrazia ma non per tutti, di certo non per gli abitanti arabi della Cisgiordania. E però riconoscerla come democrazia non vuol dire certo tacere su questo”. Ultima domanda: con questa sinistra in confusione ha fatto bene Meloni a invitare Abu Mazen ad Atreju? “La destra sociale ha sempre avuto delle posizioni vicine alla lotta di liberazione palestinese”, conclude Fiano. “Meloni vuole giocare un ruolo di politica internazionale nella quale fa vedere di essere capace di interloquire con entrambe le parti. Penso che semplicemente faccia il suo lavoro”.
Intervista a Walter Verini – «Antisemitismo? Su Delrio c`è malafede Schlein vada a Kiev e convochi la Direzione»
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di Giacomo Puletti
Intervista a Walter Verini – «Antisemitismo? Su Delrio c`è malafede Schlein vada a Kiev e convochi la Direzione»
E sull’antisemitismo sto con Delrio, chi lo critica è in malafede». Parola di Walter Verini, senatore Pd. «È una proposta che condivido spiega Verini -, che pone al centro l’impegno contro il dilagare dell’antisemitismo. Un dilagare precedente al 7 ottobre». « Altro che assemblea, serviva una vera Direzione di partito. E sull’antisemitismo sto A con Delrio, chi lo critica è in malafede». Parola di Walter Verini, senatore Pd secondo il quale il partito è stato troppo timido sull’Ucraina. Senatore Verini, dopo le polemiche sul ddl antisemitismo alcuni suoi colleghi hanno ritirato le firme, lei no. Perché? E perché dovrei ritirare la firma? È una proposta che condivido. Pone al centro l’impegno contro il dilagare dell’antisemitismo. Un dilagare precedente al 7 ottobre, che riguarda tutto il mondo, l’Europa, il nostro Paese. La stessa Cei ha lanciato questo allarme. L’antisemitismo si presenta oggi con connotati in parte simili a quelli conosciuti nel Novecento, quel Novecento che ci ha fatto conoscere con l’orrore assoluto della Shoah. Ma anche con fenomeni che caratterizzano settori della sinistra estrema, che non ha avuto niente a che vedere con la cultura politica della Sinistra, quella che, in Italia, combatté il nazifascismo anche insieme alle Brigate Ebraiche e che con l’ebreo Terracini firmò la Costituzione. Spesso si confonde antisionismo e antisemitismo… Non sono certo un fan del sionismo, ma so che si trattò di una corrente identitaria, che aveva la giusta aspirazione a ritrovare una terra ed una patria, che vide protagonisti moltissimi ebrei antifascisti, di sinistra. Pensare che sia una sorta di neonazismo e basare su questa la folle e irresponsabile parola d’ordine “Palestina libera dal fiume al mare” può essere per me frutto solo di una concezione primitiva della politica, dove dominano odio e pregiudizio. Io difendevo Berlinguer e Lama quando gli estremisti extraparlamentari li insultavano come traditori. Oggi ci sono nipotini di questi estremisti che si infilano nei cortei pacifici per la pace e la Palestina e mettono a ferro e fuoco le città, incendiano cassonetti, vorrebbero spaccare la testa ai poliziotti. Sono pericolosi. Si dicono di sinistra ma sono nemici della Sinistra. Il testo è stato però accusato di mettere il bavaglio a qualsiasi critica contro Israele e il suo governo: come risponde? Chi dice questo è in mala fede. Il ddl Delrio non dice affatto questo. Io voglio continuare a poter dire che Netanyahu è un criminale. Che il suo Governo – con i criminali massacri di civili a Ga2a dopo il 7 ottobre – ha compiuto orrori. Il ddl ovviamente non impedisce di esprimere queste opinioni. Richiama solo la necessità di non equiparare all’azione di Netanyahu a tutta la società israeliana, spesso in nome di evidenti pulsioni antisemite. Israele non è anche il Paese di Rabin, di intellettuali di straordinario valore, degli oppositori alle politiche del Governo che sono scesi in piazza contro Netanyahu e ai quali la sinistra europea e italiana ha sbagliato a non dare pieno sostegno. Il vostro capogruppo in Senato Boccia ha però detto che quella di Delrio non è la linea del Pd: che ne pensa? Il ddl recepisce la definizione di antisemitismo assunta dal Parlamento europeo nel 2017 e dal Governo Conte bis nel 2020. In quel Governo sedevano esponenti del Pd: da Franceschini a Guerini, da Orlando a Speranza, da Provenzano allo stesso Boccia. Nella foga polemica di queste ore si è arrivati a forme di linciaggio inaccettabile, sulle quali quale mi aspetto che il vertice del Pd assuma un atteggiamento rigoroso. Il Pd non può accettare che le idee di suoi dirigenti e parlamentari vengano manganellate violentemente. I riformisti hanno alzato la voce anche sull’assemblea convocata da Schlein per il 14 e che avrebbe dovuto blindare la sua leadership:
cosa viene contestato alla segretaria? Guardi, io non appartengo a nessuna corrente. Sono tra quelli che pensano che il Pd debba aprirsi di più, non radicalizzare le sue posizioni. Che debba occuparsi della vita vera delle persone, a partire da quelle più fragili. Per costruire un’alternativa puntando innanzitutto su se stesso, allargandosi, aprendosi, ritrovando quello spirito originario che ci portò ad ottenere 12 milioni e 200mila voti. C’è chi chiede una Direzione del partito o addirittura un Congresso: crede anche lei sia arrivato il momento di una sterzata? C’è bisogno di discutere, nel partito dai circoli in su e con la società. Un’assemblea di un migliaio di persone che nei fatti durerà quattro o cinque ore non è lo strumento adatto. Avrebbe dovuto essere convocata una Direzione, anche di due giorni, per consentire a tutto il gruppo dirigente una discussione vera e, per quanto mi riguarda, leale verso la Segretaria. Si è invece optato per una decisione che fa prevalere la comunicazione sui contenuti, nel giorno della fine di Atreju. Che peraltro, mi pare, si concluderà con un comizio di tutta la coalizione di questa destra nemica dell’Italia, ma che si presenta insieme. A differenza del nostro schieramento. E poi, non credo che la segretaria abbia bisogno di “blindature” da parte delle correnti interne. Sarebbero un segno di debolezza. Sono la società, gli alleati di coalizione che blindano le leadership. Lei era in piazza a sostegno di Kyiv ma non c’era nessuno della segreteria dem: il Pd dovrebbe avere una posizione più netta sul tema? Il Pd è stato sempre determinato e unito sul sostegno all’Ucraina. Non è mai mancato il sostegno in Parlamento: difendere l’Ucraina dalla criminale invasione di Putin significa difendere anche la democrazia in Europa e nel nostro Paese. Sì, sarebbe stato e sarebbe importante andare a Kyiv, scendere in piazza per l’Ucraina, contro i bombardamenti e per la restituzione di bambini rapiti da Putin. C’è stata su questo troppa timidezza: battersi contro i terroristi di Hamas e i crimini di Netanyahu e a favore di due popoli e due Stati non può essere diverso dal battersi contro i crimini di Putin e per una pace giusta per l’Ucraina. Per un certo modo di essere di una certa sinistra lo è e questo, per me, è gravemente sbagliato.
«Entro fine mese l`annuncio di un governo per la Striscia»
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di Redazione
«Entro fine mese l`annuncio di un governo per la Striscia»
Il presidente americano Donald Trump pensa di annunciare la composizione del nuovo governo per Gaza prima di Natale, per passare alla seconda fase del piano di pace, scrive Axios. L’accordo prevede la formazione di un governo tecnico senza Hamas e la creazione di un comitato di supervisione guidato dallo stesso Trump.
Bologna ostaggio dei ProPal Ora irrompono al Comune
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di Giulia Sorrentino
Bologna ostaggio dei ProPal Ora irrompono al Comune
Dopo l’uso di aule occupate delle Università ora i Giovani Palestinesi italiani, gli stessi che hanno celebrato il 7 ottobre in piazza e che si mostrano in ogni manifestazione, irrompono anche nelle aule delle istituzioni. È quanto accaduto ieri all’interno del Comune di Bologna, con l’interruzione dei lavori del Consiglio comunale per boicottare il match del 12 dicembre con Hapoel Tel Aviv, come hanno già tentato di fare in occasione della gara di Basket Virtus-Maccabi Tel Aviv, ma che si è regolarmente svolta grazie alla ferma posizione del ministro dell’interno Matteo Piantedosi. Sono entrati muniti di bandiere della Palestina gridando «state portando avanti un genocidio a Ga2a e questo consiglio comunale e questa giunta come se tutto questo non esistesse permette di far giocare Maccabi Tel Aviv-Virtus Bologna il 21 di novembre e fa la stessa cosa il 12 di dicembre». A commentare l’episodio è stato Matteo Di Benedetto, capogruppo della Lega a Bologna: «Un fatto di assoluta gravità. Si tratta di comportamenti inaccettabili, contrari ai principi democratici e al rispetto delle istituzioni. È particolarmente grave che tali azioni abbiano avuto ripercussioni anche sui bambini presenti, coinvolti loro malgrado in una situazione che non avrebbero mai dovuto vivere», dice riferendosi alla presenza di una classe di studenti in visita istituzionale. Pochi giorni prima avevano scritto che «pretendiamo che, almeno questa volta, l’Amministrazione Comunale si schieri dalla parte giusta della storia e ascolti la voce delle masse popolari, usando i suoi poteri per non far giocare la partita. Non ci faremo abbindolare dallo sport-washing di Israele e dalla normalizzazione del genocidio da parte del Governo italiano», proprio dall’aula dell’ateneo che ha impedito prendesse la nascita presso il dipartimento di Filosofia del corso di laurea riservato a una quindicina di ufficiali per «sviluppare il pensiero laterale» dei militari. Motivo per cui il deputato della Lega Rossano Sasso, capogruppo in commissione Cultura, primo firmatario e il collega Davide Bergamini, commissario provinciale del Carroccio a Bologna, ha deciso di rivolgersi al ministro dell’Università Anna Maria Bernini tramite un’interrogazione parlamentare: «Non possiamo accettare in alcun modo che in una nostra università si legittimino comportamenti del genere. E questa volta non ci accontenteremo di risposte di circostanza. Vogliamo sapere se l’università è ostaggio di quattro invasati che dettano l’agenda all’intera comunità accademica oppure no. Non possiamo più tollerare chi istiga all’odio, chi semina tensioni e poi pretende di sfilare sotto le bandiere della “pace”. È sempre la stessa gente: quelli che oggi attaccano Israele negli atenei e domani scendono in piazza a spaccare le vetrine urlando slogan pacifisti. È semplicemente intollerabile che nei nostri atenei possano attecchire episodi e atteggiamenti che sfociano nell’antisemitismo, nascosti dietro la solita propaganda ideologica». Una città in ostaggio dei ProPal, nel silenzio assordante del sindaco.
Schlein ostaggio di Fratoianni&&Bonelli. La telefonata per bloccare il ddl sull’antisemitismo
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di Edoardo Sirignano
Schlein ostaggio di Fratoianni&&Bonelli. La telefonata per bloccare il ddl sull’antisemitismo
Il Pd scarica il progetto di legge presentato da Graziano Delrio perché glielo avrebbero chiesto gli alleati di AvS. Se dal Na2areno inizialmente avrebbero dato l’“ok” al disegno centrista per contrastare l’antisemitismo, riferiscono fonti riformiste, nel pomeriggio di giovedì ci sarebbe stato un dietrofront, conseguente a una vociferata telefonata tra la segretaria Elly Schlein e i vertici del movimento guidato da Fratoianni e Bonelli. Quest’ultimo in particolare, ci raccontano, avrebbe chiesto agli alleati di confrontarsi e non effettuare fughe in avanti su un tema delicatissimo, su cui sarebbe stato “un errore” dividersi. C’era stata, d’altronde, una nota del leader dei verdi in cui, prima del discusso squillo, riteneva «sconcertante» il disegno di legge n.1722, presentato da alcuni parlamentari Pd. Motivo per cui la prima donna del centrosinistra, spaventata di perdere un’intesa fondamentale per quanto concerne la sua futura leadership, avrebbe detto ai “suoi” di abbandonare all’istante una linea che avrebbe creato grattacapi alla coalizione. Ragione per cui ci sarebbe stata la forte presa di posizione del capogruppo dem a Palazzo Madama Francesco Boccia, che, senza giri di parole, spiega come quanto presentato dal collega senatore non sia stato concordato col partito: «Il senatore Delrio – dichiara – ha depositato a titolo personale il ddl, che non rappresenta la posizione del gruppo». L’esecutivo Schlein, quindi, si smarca, in modo netto, dalla linea “centrista”, ritenuta troppo filo-israeliana, confermando un malessere che si respirava da giorni e venuto fuori anche nell’atteggiamento avuto dalla segreteria nei confronti dello storico dirigente Piero Fassino. Quest’ultimo, infatti, viene accusato dai compagni di “mancato negazionismo”. Peccato che avesse parlato solo di democrazia, effettuando un normalissimo viaggio in Israele. Nonostante ciò, tale mission provoca l’ira di un big come Giuseppe Provenzano, vicinissimo alla Schlein, che aveva precisato come «non fosse lì per il Pd». Un chiarimento, tra l’altro, avvenuto nello stesso momento in cui il braccio di destro di Elly spiegava in Parlamento che l’iniziativa moderata non fosse la linea del Na2areno. Il colloquio via telefono, infatti, conferma quanto prima soltanto vociferato: Fratoianni e Bonelli impongono la linea a una segretaria che, pur di mantenere il proprio primato sul M5S, deve accettare qualsiasi diktat proveniente da sinistra. Aspetto, però, che avrebbe suscitato l’ira dei riformisti, che non solo si sarebbero “compattati”, ma sarebbero pronti a portare il caso all’attenzione degli organi preposti di controllo, considerando che, fino a qualche anno fa, il Pd era la forza della linea Segre, quella che diceva di combattere l’antisemitismo a ogni costo. Nella tanto discussa proposta avanzata da Delrio, d’altronde, non c’erano osservazioni lunari, ma soltanto delle regole di buon senso da adottare per prevenire atteggiamenti violenti ed evitare così la prevaricazione di frange estreme. Le stesse fonti riformiste, pertanto, parlano di un’importante “corrente islamica nel Na2areno” che, sfruttando la necessità di allinearsi sulle posizioni alleate, vorrebbe ritagliarsi uno spazio vitale.
Lo scivolone Cei su islam e ebrei
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di Andrea Morigi
Lo scivolone Cei su islam e ebrei
Sta affermandosi la “pace a pezzi” ai quattro angoli del mondo, anche se le dinamiche degli equilibri mondiali continuano a essere interpretate attraverso uno schema conflittuale. Ne risente anche la nota pastorale proposta dall’assemblea dei vescovi italiani, Educare a una pace disarmata e disarmante. Il documento, in 34 pagine, riprende le parole pronunciate da Papa Leone XIV all’inizio del suo pontificato, per poi esaminare il contesto attuale e le sue radici, esplorare i principali riferimenti biblici e magisteriali, indicare alcune prospettive di pensiero e di azione, non prima di aver evocato il «crinale apocalittico» intravisto da Giorgio La Pira. Sono scenari di crisi, dei quali la Cei individua alcuni sintomi, a cominciare dai nazionalismi e proseguendo con «la diffusione in Europa di antisemitismo e islamofobia». Il rigore dell’analisi inizia a zoppicare in particolare quando si opera una distinzione fra la «realtà ebraica» e «le inaccettabili recenti pratiche dello Stato d’Israele». E qui purtroppo torna a riecheggiare il dibattito che 60 anni fa caratterizzò la genesi della dichiarazione Nostra Aetate al Concilio Vaticano II. Il visconte Léon de Poncins, tradizionalista cattolico, si attivò per distribuire ai padri conciliari un pamphlet dal titolo Le problème des juifs face au Concile, nel quale si ripetevano le peggiori teorie cospiratorie sul complotto giudaico. Alcuni vescovi orientali come il patriarca melchita Maximos IV Sayegh, tuttavia, erano già predisposti a considerare lo Stato di Israele un intruso nel mondo arabo e islamico, mentre l’arcivescovo greco-cattolico di Damasco, Joseph Tawil, sottolineava che poiché «un milione di arabi fu ingiustamente e violentemente cacciato dalle loro terre» riteneva inappropriato che la Chiesa si concentrasse sulla questione ebraica. Erano trascorsi più di vent’anni dalla Shoah, ma l’odio verso gli ebrei, lungi dall’essersi spento, aveva ritrovato vigore in Medio Oriente. Fu la volontà di Papa Giovanni XXIII e del suo successore Paolo VI a confermare la necessità di una formulazione secondo cui «La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque». La Nostra Aetate fu quindi il risultato di un compromesso, che condusse a inserire nel testo un riferimento anche ad altre religioni, nello specifico l’islam. In questo clima s’inserisce anche la denuncia dell’islamofobia da parte della Cei, benché si possa presumere anche un’altra influenza culturale. Una battaglia portata avanti per decenni dall’Organizzazione della Cooperazione (ex Cooperazione) Islamica presso le Nazioni Unite, in particolare dal Pakistan, propone di introdurre nel diritto internazionale il reato di blasfemia. Se il progetto andasse in porto, si fornirebbe la base giuridica che conduce alla pena capitale per chi è accusato di manifestare opinioni contrarie alle legge islamica. Il caso della cristiana pakistana Asia Bibi, incarcerata per dieci anni, condannata a morte e infine assolta e liberata su pressione diplomatica e dell’opinione pubblica, è eloquente. Accodarsi alla campagna contro l’islamofobia rischia di ottenere un solo risultato: la cristianofobia. Che peraltro la Cei denuncia come fenomeno in crescita anche in Occidente.
Da Abu Mazen all’ebreo rapito Braslavski. Inizia oggi la 26esima edizione di Atreju
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di Redazione
Da Abu Mazen all’ebreo rapito Braslavski. Inizia oggi la 26esima edizione di Atreju
Al via la festa di Atreju. Torna oggi il tradizionale appuntamento con la più grande manifestazione della destra italiana che quest’anno giunge alla sua ventiseiesima edizione. Si tiene dal 6 al 14 dicembre nei giardini di Castel Sant’Angelo, nel cuore di Roma. Per l’occasione è stato allestito un grande villaggio natalizio con un’intera area destinata al mercatino di Natale, prodotti tipici e una pista di pattinaggio per adulti e bambini. “Sei diventata forte – L’Italia a testa alta” è il titolo scelto per questa edizione: in calendario dibattiti, mostre, musica e approfondimenti culturali. Sul tavolo i principali temi di attualità, dalla riforma della giustizia al premierato, dalla sicurezza alla ritrovata centralità dell’Italia nel contesto internazionale. Oltre 400 ospiti e 81 dibattiti che intrecciano politica, cultura, spettacolo e sport. Esponenti della società civile, ministri e leader politici di maggioranza e opposizione si alterneranno in questa kermesse. Non ci sarà però la segretaria del Pd Elly Schlein dopo il mancato accordo sul faccia a faccia con Giorgia Meloni sul palco. Ad Atreju sono state allestite due mostre. Una dal tono ironico, il “Bullometro”, in cui si danno «i voti alle parole d’odio della sinistra» spiegano da Fdi. «Una sorta di pagellone sui migliori e peggiori insulti proferiti da leader e opinion maker di sinistra». La seconda riguarda il tema dell’egemonia. Nasce dall’idea che il governo ha voluto contrapporre l’egemonia del merito all’egemonia culturale della sinistra, e in questa rassegna, «senza voler mettere loro addosso alcuna etichetta», sono stati inseriti personaggi che hanno mostrato egemonia di valori come coraggio, libertà, scoperta, avventura o tradizioni: si va da Pier Paolo Pasolini a Nicola Calipari, da Simone Veil ad Amedeo Guillet. Tra le presenze internazionali più attese spicca quella di Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese, previsto per il 12 dicembre. Il taglio del nastro è previsto per oggi alle 15, con l’inaugurazione della pista di pattinaggio e l’esibizione dei bambini della scuola Palaghiaccio Mezzaluna e l’inizio delle trasmissioni di “Radio l’Italia chiamò”. Alle 16 i saluti istituzionali alla presenza, fra gli altri, del sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Alle 16.45 presentazione dei libri Belle ciao! Come Giorgia Meloni e la destra hanno mandato in tilt il femminismo di Barbara Saltamartini e Quel che resta del femminismo di Anna Paola Concia. Alle 17.30 l’assemblea dei consiglieri e degli assessori regionali di Fdi, mentre alle 18.30 (caffè letterario) la presentazione del libro Iubilaeum nostrum. Il Giubileo dei Due Papi di Daniele Sabatini, con Gianfranco Rotondi. Per nove giorni i giardini di Castel Sant’Angelo si trasformeranno in un’arena di confronto. Oltre ad Abu Mazen, tra gli ospiti internazionali Rom Braslavski, israeliano rapito da Hamas e rimasto ostaggio per oltre due anni. Interviste, dibattiti, presentazioni, ma anche poi spettacolo e sport, con la partecipazione, fra gli altri, di Carlo Conti, Mara Venier, Ezio Greggio, Raoul Bova. La chiusura, come da tradizione, sarà domenica 14 con l’intervento di Giorgia Meloni.
D’Alema choc: «Bisogna boicottare Israele»
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di A. V.
D’Alema choc: «Bisogna boicottare Israele»
Ci mancava D’Alema. Pure lui, l’ex leader dei Ds, già premier, ha lanciato la sua idea per la guerra in Palestina: «Bisogna boicottare Israele». Così il presidente della Fondazione “Italianieuropei” parlando al convegno “Piano Trump: una tregua senza pace”. «Coloro che protestano nelle università hanno perfettamente ragione» prosegue D’Alema, «sono l’ultimo baluardo della civiltà europea». Per l’ex premier, «il tema della sospensione degli accordi con Israele dovrebbe Massimo D’A diventare una questione di lotta politica. Neppure Meloni può sostenere che Netanyahu rispetti i diritti umani. Quindi quell’accordo è illegittimo. Non c’è una via d’uscita se non crescerà la mobilitazione internazionale. La destra israeliana punta alla soluzione finale, attraverso una politica di pulizia etnica. I palestinesi che rimarranno, dovrebbero rimanere in enclave sotto il controllo militare israeliano. Una specie di Bantustan dentro lo Stato israeliano. Questo sta andando avanti. Ridurre i palestinesi come i nativi americani». Secondo D’Alema «quella dei governi europei è un’immagine penosa. Il governo tedesco, di cui fa parte la socialdemocrazia, ha addirittura deciso di riprendere la fornitura delle armi a Israele». Intanto ieri a Bologna, gli attivisti pro-Pal hanno fatto ema (LaP) irruzione in Consiglio comunale, chiedendo che la partita di basket «del genocidio», come l’hanno definita nei giorni scorsi i Giovani Palestinesi, tra Virtus e Hapoel Tel Aviv – in programma venerdì 12 – non si giochi. Con diverse bandiere palestinesi e fischietti alla mano, un gruppo di circa dieci attivisti, tra Gp e Potere al Popolo, è entrato a Palazzo d’Accursio. La protesta ha impedito l’inizio del Question time e quindi la presidente Maria Caterina Manca non ha potuto dare il via ai lavori; nel mentre, un gruppo di consiglieri di maggioranza si è avvicinato ai manifestanti. Insorge il capogruppo di Fdi in Consiglio comunale, Francesca Scarano, che ritiene l’interruzione dei lavori del Consiglio da parte «di un manipolo di manifestanti pro-Pal» «gravissima e inaccettabile». Sempre ieri il sindaco di Bologna, Matteo Lepore ha detto che non revocherà la cittadinanza onoraria alla relatrice peciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. «Nell’incontro di oggi con il gruppo consiliare Pd» ha spiegato «si è confermato che la revoca del provvedimento della cittadinanza non è un’opzione, perché motivata dal ruolo svolto per la Palestina e le Nazioni Unite».
Albanese ci attacca ma non smentisce. E i suoi amici estremisti islamici la smascherano. FdI: «Inaffidabile»
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di F. Bil e G. Sor.
Albanese ci attacca ma non smentisce. E i suoi amici estremisti islamici la smascherano. FdI: «Inaffidabile»
Francesca Albanese replica allo scoop de Il Giornale in merito alla sua partecipazione a un evento nella striscia di Gaza tra i cui relatori c’erano figure apicali di Hamas. A prendere posizione è Fratelli d’Italia che, partendo dall’inchiesta, interviene chiedendo all’opposizione di «aprire gli occhi» sulla relatrice speciale dell’Onu. Diversi i parlamentari del partito della presidente del Consiglio intervenuti, tra cui il vicepresidente del gruppo al Senato Marco Scurria, il deputato Giangiacomo Calovini, il vicecapogruppo alla Camera Massimo Ruspandini e il capogruppo in commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama Michele Barcaiuolo: «È inaffidabile», affermano. Secondo Scurria questa è «un’ulteriore conferma di come la sua figura non rispetti i criteri di imparzialità che il ruolo affidatogli dall’Onu richiederebbe. Un ruolo che probabilmente sarà il caso di rivalutare», mentre per Ruspandini «Francesca Albanese stava dalla parte dei terroristi di Hamas già prima del 7 ottobre». Eppure, la relatrice Onu sul suo profilo Facebook scrive: «La conferenza era organizzata da una Ong palestinese a Gaza (Council of Foreign Relations) con tanto di Logo dell’Autorità Palestinese in cima al programma. Ma certo, collegandomi da remoto, io così come gli altri ospiti internazionali, non avevo alcuna idea di o controllo su chi fosse in sala». Ma non si tratta di una banale Ong palestinese come lei vuole far credere, e infatti viene descritta da Press Tv, e non solo, come un ente di Hamas: «Il Consiglio per le relazioni internazionali di Hamas ha tenuto una conferenza internazionale sull’impatto del blocco israeliano. L’evento mira a far luce sul paralizzante blocco imposto da Israele ai danni di oltre due milioni di palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza», scrivono in merito all’evento. In sala nel novembre del 2022 c’erano Ghazi Hamad e Bassem Naim. Il primo è uno dei leader di Hamas che, intervistato dalla CNN, dopo l’attacco di Hamas ha detto: «Sapete qual è il beneficio del 7 ottobre? Se guardate l’Assemblea Generale (delle Nazioni Unite), circa 194 membri hanno aperto gli occhi sulla brutalità di Israele, e lo hanno condannato. Aspettavamo questo momento da oltre 75 anni». Possibile che lei non conosca mai nessuno dei contesti in cui si ritrova a intervenire? In aggiunta, l’associazione non governativa Ngo Monitor afferma che «nel novembre 2022, Albanese ha partecipato a una conferenza organizzata dal “Council of International Relations – Palestine”, un organismo di Hamas, riconosciuto come tale da diverse fonti, e presieduto dal dirigente di Hamas Basem Naim. Alla conferenza erano presenti anche il portavoce di Hamas Abdul-Latif Qanu, il membro di spicco della Jihad Islamica Palestinese Khader Habib e il vice segretario generale del FPLP Maher Mezher». Il terrorismo palestinese al completo. Però, lei, invece di rispondere nel merito, accusa il Giornale di «killeraggio nei miei confronti». E, come se non bastasse, nel medesimo post in cui dice che è il giornale a diffamarla, si esprime in modo sconcertante sulla resistenza e sull’11 settembre dicendo che «oggi siamo nell’era del post 11 settembre e la resistenza viene spesso e volentieri stigmatizzata e assimilata al terrorismo. E comunque – ho ricordato in quell’occasione come faccio sempre – la resistenza è legittima fino a che si concentra su obiettivi militari, e non civili».
Genocidio e inchieste: il Pd fa il solito harakiri
Il Fatto utilizza la parola “genocidio” come clava politica senza alcun supporto di fonti indipendenti né attenzione al contesto. Il pezzo trascina Israele nel dibattito interno al Pd, ignorando totalmente Hamas, le responsabilità terroristiche e la complessità giuridica del termine. Una narrazione parziale, ideologica e priva di equilibrio che trasforma il conflitto in arma di propaganda: è l’articolo più distorto della giornata.
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di Wanda Marra e Ilaria Proietti
Genocidio e inchieste: il Pd fa il solito harakiri
“Sono la segretaria di tutti”. Così Elly Schlein a Montepulciano ha voluto in un colpo solo ridimensionare Andrea Orlando, Dario Franceschini, Roberto Speranza e il correntone tutto, preannunciare tra le righe il passaggio in maggioranza di Stefano Bonaccini e lanciare il suo ombrello protettore pure sulla destra dem, capeggiata da Lorenzo Guerini. Quasi una settimana dopo, l’equilibrismo della segretaria dem mostra più di una crepa. In questi giorni la battaglia si è consumata nel nome di Israele. Piero Fassino martedì ha parlato alla Knesset in collegamento, definendo Israele una società “libera”, “aperta”, “democratica”. Una linea che – secondo quanto si raccontava in qualche capannello alla Camera – s a re bb e stata concordata in casa di Fiamma Nirenstein. All ’evento pro-Israele a Montecitorio c’era pure Graziano Delrio, il quale immediatamente si è adoperato per presentare un ddl in cui si definisce antisemitismo la critica a Israele. Elly Schlein e Francesco Boccia gli hanno chiesto di ritirare il testo e alcuni dei 10 firmatari hanno tolto la firma (Andrea Martella, Antonio Nicita e Valeria Valente). Delrio sostiene che tutto nasca dal fatto che c’erano proposte della destra “inguardabili” sull’antisemitismo e dunque avrebbe preparato un testo “semplice e concreto” per dire che “il problema lo vediamo anche noi”. E mette le mani avanti: nulla che c’entri con il dibattito Pd. Eppure, tra i firmatari ci sono Filippo Sensi, punta dell’area Gentiloni; Sandra Zampa, prodiana, ormai arruolata dalla destra dem; Alessandro Alfieri, che però in cuor suo è mezzo pentito, visto che sta con Bonaccini; Pier Ferdinando Casini. Insomma, un dito nell’occhio a una segretaria che giovedì sera è andata al Tg di La7 a ribadire il sostegno dem a Kiev e che sul Medio Oriente cerca una linea comune con M5S e Avs. Osteggiata non da ora. AD APRILE in Senato fu organizzato un convegno pro-Israele (guest starPiero Fassino e Marco Carrai), alla presenza di mezzo gruppo Pd. Ora i dem ci tengono a far sapere che Andrea Giorgis sta lavorando a un testo che si occupi di contrastare l’odio tout court. Ma poi in questa settimana Schlein si è ritrovata con la spina nel fianco Francesca Albanese. Dopo le sue dichiarazioni sull’aggressione a La Stampa come “monito” ai media – criticate da Peppe Provenzano – Sara Funaro ha deciso di non concederle più la cittadinanza onoraria a Firenze, mentre Matteo Lepore a Bologna resiste, nonostante il parere negativo di Romano Prodi. Altra grana, la questione morale. La segretaria, che ha messo Enrico Berlinguer sulla tessera, mercoledì è andata alla presentazione del libro di Simone Uggetti, sindaco di Lodi, diventato il simbolo del garantismo. Omaggio pure a Guerini. Ma non è bastato. La destra dem continua a rimproverarle di non aver espresso solidarietà esplicita né ad Alessandra Moretti né a Federica Mogherini. Per la segretaria di tutti, uno slalom non proprio brillante.
Perché criticare gli errori di Israele non è antisemitismo
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di Anna Foa
Perché criticare gli errori di Israele non è antisemitismo
L’antisemitismo esiste, anche se chi, come il governo israeliano, ne denuncia dappertutto l’apparizione non fa un buon servizio a chi lo vuole combattere, annegandolo in una palude in cui tutte le vacche sono nere. Se tutto è antisemitismo, nulla lo è più. CARRATELLI – PAGINE 18 E 19 IL COMMENTO ANNA FOA S L’ antisemitismo esiste, anche se chi, come il governo israeliano, ne denuncia dappertutto l’apparizione non fa certo un buon servizio a chi lo vuole combattere, annegandolo in una palude in cui tutte le vacche sono nere. Se tutto è antisemitismo, nulla lo è più. L’antisemitismo è esistito, non solo nel progetto hitleriano di totale sterminio degli ebrei, ma più banalmente in giornali, libri, partiti politici apertamente “antisemiti”, in quella prima metà del XX secolo in cui, tanto per non citare che un caso, un sindaco antisemita, Karl Lueger, ha governato Vienna. Oggi l’antisemitismo riaffiora alla luce, cresce, si espande, aiutato dall’indignazione per le immani stragi compiute da Israele a Ga2a, dalle drammatiche vicende della Cisgiordania, dalla follia messianica dei coloni. Ma proprio perché l’antisemitismo è una realtà, e combatterlo è una necessità, bisogna smettere di usarlo per mascherare obiettivi inconfessabili, come la difesa della politica di Netanyahu. Smettere di identificare come antisemite le critiche, anche durissime, alla politica israeliana, le denunce delle violenze commesse. Non sono quelle critiche, quelle denunce a far crescere l’antisemitismo, sono le bombe, la fame, le violenze, e il silenzio di troppa parte del mondo. Per questo le proposte di legge contro l’antisemitismo attualmente in discussione, una della Lega ed un’altra recentissima presentata, sembra, a titolo personale da un senatore PD, sono non solo inefficaci, ma pericolose. Entrambe si riallacciano ad una definizione dell’antisemitismo elaborata a livello internazionale nel 2016, e adottata da 43 Stati, Italia compresa, dall’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance), una definizione che consentiva di tracciare una stretta connessione fra antisionismo e antisemitismo. Ma la definizione, volta a favorire una più rigorosa ricognizione dei fenomeni di antisemitismo, non è “giuridicamente vincolante”. Con queste proposte si rischia di renderla tale, e si potrebbe definire come antisemita e perseguirla come tale ogni manifestazione di dissenso verso la politica del governo israeliano. Potrebbe ad esempio, diventare punibile come antisemitismo perfino il confronto fra la Shoah ed altri genocidi. È un tema spesso affrontato dagli storici, soggetto a dibattito e critiche. Ma farlo diventare oggetto di accuse penali rasenterebbe il ridicolo se non fosse tragico. Tragico per la democrazia, per la libertà di opinione, di critica, di manifestazione. Sotto il velo della lotta all’antisemitismo negheremmo libertà fondamentali sancite dalla nostra Costituzione. La politica di Israele, e solo quella, sarebbe protetta perché attaccarla significherebbe macchiarsi del crimine di antisemitismo. In base a questa logica, Putin ha richiamato la lotta all’antisemitismo per giustificare la sua aggressione all’Ucraina, Trump la usa a scopi interni, per combattere le Università e le manifestazioni degli studenti a favore della Palestina, e anche in Gran Bretagna è aperto il dibattito sull’adozione della definizione dell’Ihra. Insomma, sembra che i prossimi attacchi contro le libertà democratiche si svolgeranno in nome della lotta all’antisemitismo. Col risultato, immagino, di alimentarlo e farlo crescere. Mi auguro davvero che faccia marcia indietro almeno quella parte della sinistra italiana che sembra tanto accecata dalla parola “antisemitismo” da prendere le armi senza curarsi nemmeno di guardare attentamente il suo bersaglio, senza preoccuparsi dei danni collaterali che leggi di tal fatta implicherebbero. A meno che il desiderio di appiattirsi sulle politiche di Netanyahu e di seguirne passo passo le orme non impedisca loro ogni critica. Ma l’antisemitismo è cosa troppo seria per essere agitata a casaccio, e gli ebrei meritano di meglio che essere usati da tutti e in ogni circostanza.
Antisemitismo, Delrio insiste. Schlein teme una sponda con la legge del centrodestra
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di Niccolò Carratelli
Antisemitismo, Delrio insiste. Schlein teme una sponda con la legge del centrodestra
D ifficile prevedere che fine farà il disegno di legge sull’antisemitismo presentato a Palazzo Madama da Graziano Delrio e sottoscritto da diversi senatori del Pd. Ampiamente prevedibile, invece, la spaccatura del gruppo dem al Senato, figlia delle due anime che convivono nel partito. Entrambe decise a contrastare qualsiasi forma di antisemitismo, e ci mancherebbe, ma con posture diverse nella critica al governo israeliano. Da una parte quelli che parlano apertamente di «genocidio» a Ga2a, dall’altra quelli che ritengono inopportuno usare quel termine. Da una parte i fan della Flotilla, che erano pronti a sostenerla fino a Ga2a, dall’altra quelli che (ascoltando il presidente Mattarella) l’avrebbero fatta fermare molto prima. Stesso schema sul ddl Delrio, che non verrà ritirato, come avrebbe voluto la segretaria, Elly Schlein, e come ha chiesto esplicitamente il capogruppo Francesco Boccia. Il quale ieri è tornato a criticare l’iniziativa nata dentro il suo gruppo, non ieri, ma circa un mese e mezzo fa. «Un’iniziativa a titolo personale, legittima, ma non rappresentativa della posizione del Pd – spiega Boccia –. Oggi più che mai è sbagliato introdurre testi che rischiano di diventare bandierine identitarie, invece che strumenti per unire». Bandierine, è il sottinteso, come quelle già piantate da Forza Italia e Lega con proposte simili. Perché quello che più temono ai vertici del Pd è ritrovarsi a dover votare in Aula (dividendosi) una legge per il contrasto all’antisemitismo frutto di un accordo tra un pezzo del loro partito e il centrodestra. Uno scenario da scongiurare in ogni modo, per Schlein, che ha chiesto a Boccia di trovare una soluzione. Mentre il capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, non aspetta altro: «Chiederemo un confronto accelerato, affinché si capisca chi difende gli ebrei e chi invece è antisemita o ipocrita», avverte. E il collega leghista Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato, spera che «si possa giungere in Aula nei primi mesi del nuovo anno con un testo da approvare in maniera trasversale». Stesso auspicio da parte di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, che vorrebbe l’approvazione di «un unico testo di legge ben ragionato» prima del Giorno della Memoria del 27 gennaio: «Boicottare il percorso parlamentare per una lettura distorta – dice – equivale a eludere il problema e strumentalizzarlo». Parole che seguono quelle della Cei, che in un nota pastorale parla di un antisemitismo «drammaticamente cresciuto, alimentato da una fallace identificazione della realtà ebraica con inaccettabili pratiche dello Stato d’Israele». Due prese di posizione a cui fa da contraltare l’appello di un gruppo di studiosi e scrittori, convinti che i ddl in discussione in Parlamento siano «pericolosi», perché finiscono per «equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo». È quello che sostengono anche al Na2areno, dove, però, hanno intuito che aver disconosciuto il ddl Delrio non basterà per chiudere il caso. Lui, il primo firmatario, in privato lo definisce «un autogol incomprensibile» da parte del suo partito, legato «solo alla strategia politica e ai commenti social», senza alcuna ragione di merito. Ci torna su Emanuele Fiano, presidente di Sinistra per Israele, che ricorda come la definizione di antisemitismo richiamata sia stata adottata dall’Italia cinque anni fa, «attraverso un atto del governo Conte II, di cui facevano parte Pd e 5 stelle». I dem sostenitori della legge non arretrano: «Penso che ci sia bisogno di discutere in Parlamento di questo tema», dice la senatrice Simona Malpezzi. «Se ANSA/MAX CAVALLARI qualcosa va corretto, se ne parli, ma senza anatemi o letture maliziose», esorta il vicecapogruppo al Senato Alfredo Bazoli. E Pierferdinando Casini assicura che il ddl in questione è «un atto di civiltà, che dovrebbe realizzare un’ampia unità parlamentare, lo rifirmerei cento volte». A dar loro manforte arriva Carlo Calenda, che sottoscrive il testo e schiera Azione a favore. Come Italia viva, che con Ivan Scalfarotto ha presentato a Palazzo Madama una proposta dello stesso tenore. Se i senatori del Pd firmatari del provvedimento sono rimasti una decina, sicuramente anche tra i deputati ci sarà un gruppetto di favorevoli. A cominciare da Piero Fassino, anche lui disconosciuto dal suo partito, attraverso il responsabile Esteri Peppe Provenzano, per aver elogiato la democrazia israeliana durante la sua recente visita alla Knesset. Mentre è stata pubblicizzata e supportata la missione in Cisgiordania di sei deputati, tra cui Andrea Orlando e Laura Boldrini, tra le prime a criticare il ddl Delrio. Ecco, la distanza tra Boldrini e Fassino forse può misurare la lunghezza della crepa dentro al Pd.
Antisemitismo, tutti contro Delrio. “Ma io non ritiro il ddl contestato”
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di Gabriella Cerami
Antisemitismo, tutti contro Delrio. “Ma io non ritiro il ddl contestato”
I vertici del Pd prendono le distanze. Scrittori e studiosi firmano un appello in cui definiscono «inaccettabili e pericolosi» tutti i testi sul contrasto all’antisemitismo depositati in Parlamento. Ma il senatore Graziano Delrio va avanti determinato: «Non ritiro il mio disegno di legge». Ad aver creato frizioni, dentro e fuori il partito, è la proposta presentata dall’esponente dem e firmata da Sandra Zampa, Walter Verini, Filippo Sensi, Pierferdinando Casini, Simona Malpezzi, Alfredo Bazoli e Alessandro Alfieri. Dal Na2areno arriva una netta frenata. In una lettera a Repubblica il presidente dei senatori Francesco Boccia definisce quella del collega «un’iniziativa personale che non rispecchia la linea del partito». Il motivo del disaccordo è la definizione di antisemitismo — mutuata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (Ihra) — che secondo l’area del Pd più vicina alla segretaria Elly Schlein rischia di colpire non solo le sortite antisemite, ma anche le opinioni. Per i firmatari, invece, il designo di legge ha l’obiettivo di «dettagliare meglio i doveri delle piattaforme on line e i diritti degli utenti» per quanto riguarda la rimozione dei contenuti antisemiti. «L’incitamento all’odio è già illegittimo nel nostro ordinamento e in tutta Europa, in particolare quando riguarda i post antisemiti», sottolinea Malpezzi. I Boccia replica sottolineando che la posizione del Pd è già «limpida e non negoziabile», pertanto ricorda che «in commissione Affari Costituzionali del Senato il capogruppo Andrea Giorgis ha ribadito in ogni seduta, fin dalle prime audizioni, che l’antisemitismo è una piaga terribile che rischia di tornare a dilagare». Scendono in campo anche studiosi, intellettuali, esperti di storia dell’ebraismo, ma non solo. In una lettera appello si legge: «Riteniamo inaccettabili e pericolosi i disegni di legge oggi in discussione sulla prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo». Tra i firmatari dell’appello spiccano, tra gli altri, i nomi di Anna Foa, Roberto Della Seta, Helena Janeczeck, Carlo Ginzburg, Lisa Ginzburg, Gad Lerner, Giovanni Levi, Stefano Levi Della Torre, Simon Levis Sullam, Bruno Montesano, Valentina Pisanty, Roberto Saviano. Il nodo alla base dello scontro, come si è detto, è tutto nella definizione che nel disegno di legge si dà di «antisemitismo». Una definizione «controversa» per chi ha sottoscritto l’appello: «In questo modo si finisce per equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo». Invece per Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, «boicottare il percorso parlamentare per una lettura selettiva e distorta della stessa definizione Ihra equivale ad eludere il problema». Su questa linea i riformisti dem, firmatari del disegno di legge, che respingono le accuse. Per Bazoli «se qualcosa va corretto per evitare i rischi paventati da chi critica il testo» è giusto che «se ne parli senza anatemi». E mentre il leader di Azione Carlo Calenda, con il senatore Marco Lombardo, sottoscrive il testo Delrio, e il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri ricorda che il suo disegno di legge «in parte simile a quello di Delrio, tutela gli ebrei e lo Stato di Israele, non il suo governo», il capogruppo Pd al Senato mette in guardia: «Chi si è formato sui testi di Primo Levi non accetta lezioni da nessuno su questo terreno. Men che meno da una destra post-fascista».
Ddl sull’antisemitismo, scontro nel Pd. I riformisti non cedono
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di Redazione
Ddl sull’antisemitismo, scontro nel Pd. I riformisti non cedono
Rimane aperto lo scontro nel Pd sul ddl presentato dal senatore dem Graziano Delrio in materia di contrasto all’antisemitismo. I riformisti non mollano, nonostante lo stop del partito. Mentre arriva la bocciatura di diversi scrittori e studiosi degli ebrei e dell’antisemitismo (tra cui Anna Foa, Roberto Della Seta, Helena Janeczeck, Carlo Ginzburg, Lisa Ginzburg, Gad Lerner e Roberto Saviano), secondo cui sono «inaccettabili e pericolosi» i disegni di legge sul tema in discussione in Parlamento, perché «usano la lotta all’antisemitismo come strumento politico per limitare la libertà del dibattito pubblico, della ricerca e della critica legittima a Israele». La Commissione Affari Costituzionali del Senato ne conta quattro, depositati da Forza Italia, Lega, Pd e Italia Viva. Diversi punti in comune. Tra questi, l’applicazione della definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance. Ed è proprio su questa definizione che la polemica diventa rovente anche al di fuori delle aule parlamentari. All’attacco l’Unione delle Comunità ebraiche italiane: «Boicottare il percorso parlamentare equivale a porsi al servizio di chi continua a favorire odio antisemita» dice la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni. Intanto dopo l’alt del capogruppo Pd Francesco Boccia sul ddl Delrio, ritirano le sottoscrizioni i senatori dem Valeria Valente, Antonio Nicita, Andrea Martella e Beatrice Lorenzin. Ma si aggiungono quelle dei senatori di Azione Carlo Calenda e Marco Lombardo.
Ran, l’ultimo ostaggio, finché il corpo non torna non parte la fase due
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di Gabriella Colarusso
Ran, l’ultimo ostaggio, finché il corpo non torna non parte la fase due
Ad Alumim c’è un cartello con la sua foto e una dedica: «Ha combattuto una battaglia eroica, salvando la vita dei membri del kibbutz». Ran Gvili non era del villaggio, ma la mattina del 7 ottobre si sacrificò per proteggerlo. In convalescenza a casa, decise di imbracciare le armi e unirsi ad altri volontari che si erano precipitati verso il festival Nova sotto attacco di Hamas. Non riuscirono mai ad arrivarci, bloccati lungo la strada in un’imboscata dei miliziani. Combatterono alcune ore prima che Gvili, 24 anni, agente di polizia, venisse ucciso davanti al kibbutz Alumim. «Il primo ad andarsene, l’ultimo a lasciare Ga2a, non ci fermeremo finché non tornerai», ha scritto sua madre, Talik Gvili, su Facebook. Gvili è l’ultimo ostaggio israeliano rimasto nella Striscia, e il suo corpo non è ancora stato ritrovato. Una delegazione israeliana è andata al Cairo per discutere con i mediatori egiziani e qatarini sul modo per recuperare la salma: Hamas non sa dove sia e ha difficoltà a rintracciarla, e gli israeliani ne sono consapevoli. La consegna dei resti è l’ultimo atto per dichiarare chiusa la prima fase del piano Trump. «Non deve esserci nessuna fase 2 finché Ran non sarà a casa, nel Paese che amava così tanto», dice Shira, la sorella di Gvili, ripetendo un appello che la famiglia rilancia da giorni. I parenti degli ostaggi hanno interrotto le manifestazioni settimanali del sabato sera che hanno portato avanti per due anni, ma si oppongono a qualsiasi nuovo accordo fino a quando non saranno tornati tutti. È un tema cruciale per il Paese e per il governo Netanyahu, che dovrà affrontare scelte difficili nelA le prossime settimane. Donald Trump preme sull’alleato perché sia più collaborativo per la riuscita del piano Ga2a e prova a smentire le voci di una trattativa in stallo: «Abbiamo la pace in Medio Oriente. La fase due sta procedendo, avverrà molto presto», ha detto mercoledì mentre l’Idf bombardava Khan Yunis in rappresaglia contro l’attacco di Hamas in cui sono rimasti feriti cinque soldati. Il presidente Usa vorrebbe accelerare e annunciare l’inizio della fase due e il nuovo governo di Ga2a prima di Natale: un comitato tecnico di 12-15 palestinesi, in parte già residenti a Ga2a e in parte persone originarie della Striscia e disposte a tornare. Sopra di loro, un consiglio internazionale presieduto dallo stesso Trump, di cui faranno parte 10 leader arabi e internazionali, scrive Axios, insieme al genero Jared Kushner e all’inviato speciale Steve Witkoff. L’ottimismo di Trump però deve fare i conti con molti possibili inciampi. Il primo riguarda la composizione e il mandato della forza di stabilizzazione internazionale: i Paesi disponibili a inviare soldati non vogliono che abbiano il mandato di combattere per disarmare Hamas, che però rifiuta il disarmo totale. Un’ipotesi sul tavolo è che il gruppo consegni le armi a lungo raggio, considerate una minaccia per la sicurezza di Israele – razzi, missili, piattaforme di lancio – lasciando a una seconda fase la decisione sulle armi leggere – pistole, kalashnikov – che consentono a Hamas di mantenere il potere a Ga2a. La forza di stabilizzazione verrebbe schierata a quel punto solo nelle zone controllate da Israele, il 50% circa della Striscia a est della linea gialla, e sul confine. Senza il disarmo, Israele non si ritirerà e potrebbe verificarsi lo scenario più temuto da palestinesi ed egiziani: una divisione in due della Striscia. Per gli israeliani l’obiettivo prioritario è mantenere una “zona cuscinetto”. Alti funzionari della sicurezza israeliana spiegano a Repubblica che l’idea generale condivisa dal comando militare Usa «è separare Hamas dalla popolazione civile. Stiamo lavorando a Rafah per ripulire l’area e costruire dei rifugi dove possano entrare i palestinesi dopo un attento screening». Israele, spiegano, «ha bisogno di una buffer zone: i nostri civili non dovranno mai più trovarsi sulla linea del fronte com’è successo il 7 ottobre. E resteremo a Ga2a tutto il tempo necessario per raggiungere questo obiettivo».
“Netanyahu ha rafforzato Hamas”
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di Gabriella Colarusso
“Netanyahu ha rafforzato Hamas”
Quando lo chiamò a guidare l’esercito nel marzo 2025, Benjamin Netanyahu si aspettava subordinazione e fedeltà dall’uomo che per tre anni – da 2012 al 2015 – era stato suo stretto consigliere militare. Un tenente generale in pensione a cui Bibi offriva la possibilità di tornare sul campo, e perciò grato, peraltro con «un approccio orientato all’offensiva» che piaceva molto al premier. E per qualche tempo il 59enne Eyal Zamir lo è stato, un capo di stato maggiore fedele ed «efficiente». Ma con la seconda e ultima invasione di Ga2a City, a settembre, che il generale ha contestato apertamente – per ragioni tattico-strategiche, non umanitarie – i rapporti con il governo sono diventati molto tesi. E in una inedita presa di poQ sizione pubblica, Zamir ha criticato anche la politica seguita da Netanyahu a Ga2a prima del 7 ottobre, sostenendo che abbia contribuito a rafforzare Hamas: il premier pensava di poter contenere i miliziani con i denari del Qatar, è la tesi di Zamir, ma ha finito per renderli più forti. Le operazioni militari nella Striscia, a partire dal 2008 e ancor di più dall’Operazione Margine Protettivo del 2014, sono state «condotte secondo gli obiettivi definiti dal livello politico e su raccomandazione del livello militare, e miravano a indebolire il nemico e ripristinare la deterrenza, non a sconfiggerlo», ha dichiarato il generale con parole riportate dal maggiore in congedo Sami Turgeman in un rapporto sui fallimenti dell’esercito il 7 ottobre. «L’idea era di tenere Hamas sotto controllo e indebolito, di corromperlo con il denaro. Questo concetto di elusione ha permesso a Hamas di attuare un massiccio rafforzamento militare». È una critica che già diversi esponenti politici hanno mosso a Netanyahu, ma che per la prima volta arriva dal vertice di un’istituzione considerata intoccabile in Israele, pilastro della sicurezza dello Stato e dunque della sua stessa esistenza. Zamir ha anche sollecitato l’istituzione di una «commissione d’inchiesta esterna, obiettiva» sui fallimenti del 7 ottobre, cioè indipendente dal governo, senza però arrivare a chiedere una commissione statale che Netanyahu non vuole. Lo scontro è a tutto campo e coinvolge anche il ministero della Difesa. Il ministro Katz ha bloccato la promozione a generale di brigata del colonnello German Giltman, che Zamir appoggiava, accusandolo di aver protestato contro il governo, nel 2023, durante le grandi manifestazioni contro la riforma della giustizia: «Giltman è uno dei leader di “Brothers in Arms” che ha invocato il rifiuto di prestare servizio: chi incoraggia il rifiuto non presterà servizio nell’Idf e non verrà promosso a nessuna posizione», ha dichiarato Katz. Giltman ha ritirato la sua candidatura per non allargare la frattura, ma si è difeso dicendo di non aver mai incentivato la diserzione. Giltman è reduce da 700 giorni di servizio a Ga2a: per molti in Israele è un eroe.
Italia e Germania saranno a Eurovision: “No al boicottaggio dello Stato ebraico”
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di Redazione
Italia e Germania saranno a Eurovision: “No al boicottaggio dello Stato ebraico”
Dopo la decisione del gruppo di emittenti pubbliche di 56 Paesi che gestisce Eurovision di far partecipare Israele al concorso canoro internazionale che si terrà a Vienna nel 2026, non si placano le polemiche. Olanda, Irlanda, Slovenia e Spagna si sono ritirate per protestare contro i raid a Ga2a. L’Italia invece ha confermato attraverso la Rai la propria partecipazione, così come Germania, Francia e Regno Unito, contrarie al boicottaggio. Difende invece la scelta di non esserci il governo spagnolo del premier socialista Pedro Sánchez. In termini di share, la defezione di Olanda, Irlanda, Slovenia e Spagna potrebbe costare alla trasmissione della finale fino a 10 milioni di spettatori in meno, considerando gli ascolti nella scorsa edizione.
Antisemitismo, è scontro sulla legge. La comunità ebraica: non fermatela
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di Maria Teresa Meli
Antisemitismo, è scontro sulla legge. La comunità ebraica: non fermatela
Prima la polemica politica, soprattutto all’interno del Pd. Scoppiata in ritardo, dopo che il ddl contro l’antisemitismo di Graziano Delrio era già pronto. Quindi lo scontro tra «professori», anche quello con la miccia lunga, evidentemente. Perché tre giorni dopo l’appello del 2 dicembre dei docenti delle università italiane che sosteneva il ddl Delrio, è giunto l’anti-appello di Roberto Saviano, Gad Lerner, Roberto Della Seta, Anna Foa, Carlo Ginzburg e altri (gli stessi che avevano approvato come «legittima» nell’agosto scorso la definizione di «genocidio» riferendosi all’azione del governo israeliano). «Si finisce per equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo. È questo il presupposto che accomuna i quattro disegni di legge in esame: Romeo (Lega), Scalfarotto (Iv), Delrio e altri (Pd), Gasparri (FI). Queste iniziative banalizzano l’antisemitismo», è il monito di questo gruppo di intellettuali. A un’iniziativa del genere non poteva mancare l’appoggio di Francesca Albanese: «Criminalizzare o punire la critica, anche dura a Israele, è incompatibile con il diritto internazionale e con il nostro mandato», tuona la relatrice speciale Onu sui Territori palestinesi, al centro di polemiche negli ultimi giorni (sulla cittadinanza onoraria il sindaco di Bologna Lepore ieri ha incontrato il gruppo del Pd in Consiglio e ha ribadito che «la revoca non è un’opzione»; a Firenze invece la soluzione potrebbe essere un’iniziativa pubblica con Albanese ma senza cittadinanza onoraria). Di fronte all’inasprirsi del dibattito la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni lancia un grido d’allarme: «Il nostro auspicio è che si giunga a un testo ben ragionato e in tempi rapidissimi in vista del 27 gennaio, boicottare il percorso parlamentare equivale a porsi al servizio di chi continua a favorire l’odio antisemita». Anche la politica è in fermento. Calenda annuncia che firmerà il provvedimento di Delrio. Casini si dice pronto a sottoscrivere altre 100 volte il ddl: «Proprio chi, come molti di noi, è fortemente critico verso la politica irresponsabile del governo Netanyahu, ha il dovere di mettere paletti chiari e netti contro una deriva di antisemitismo che solo chi non vuol vedere non vede». A Casini replica Bonelli: «Non vi è dubbio che bisogna contrastare ogni forma di antisemitismo ma ciò non significa accettare dispositivi normativi che rischiano di trasformarsi in strumenti di censura politica. Io che ho criticato le politiche genocidiarie di Netanyahu sono stato accusato di essere antisemita e complice di Hamas». Il Pd, in difficoltà, sposa la linea Boccia: nessun provvedimento contro l’antisemitismo. Per il capogruppo dem è «evidente quanto sia sbagliato, oggi più che mai, introdurre testi che rischiano di diventare bandierine identitarie, invece che strumenti per unire». E ancora, tanto per chiarire la linea ufficiale dei dem: «La Commissione indipendente dell’Onu ha parlato apertamente di atti di genocidio. Di fronte a questa realtà il Pd ha scelto la strada della verità e della giustizia internazionale». Replica Malpezzi: «Se qualcuno nel nostro Paese non si sente libero di professare la propria religione c’è un problema di democrazia». Accusa Verini: «Pezzi del Pd civettano con chi sta con Hamas».
Intervista a Graziano Delrio: «Sull’antisemitismo non farò abiure Pd, toni preoccupanti»
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di Maria Teresa Meli
Intervista a Graziano Delrio: «Sull’antisemitismo non farò abiure Pd, toni preoccupanti»
Graziano Delrio, come si spiega la reazione dei vertici del Pd al suo ddl sull’antisemitismo? «Vuole la verità? Non lo so. Non l’ho capito. Credo sia una reazione che dipende dalle critiche che sono arrivate al ddl dal manifesto e dalle dichiarazioni di Bonelli, che peraltro hanno posto obiezioni discutibili. In realtà quando io ho espresso al gruppo più di due mesi fa la necessità di raccogliere le voci che venivano dalla società, gli appelli dei professori universitari, dei giovani ebrei, ne abbiamo parlato tranquillamente. C’è un clima irrespirabile, come confermano anche Edith Bruck e Liliana Segre su 7, il settimanale del Corriere. E io due mesi fa ho detto al gruppo: questo fenomeno va combattuto, non riguarda gli ebrei ma la qualità della democrazia. E visto che c’erano già dei progetti di legge della destra non potevamo far mancare il contributo del Pd. Vede, Mattarella ha giustamente ricordato che gli anni ‘30 del ‘900 furono caratterizzati dai dazi, dalla delegittimazione degli organismi internazionali e dal riarmo nazionale. Io aggiungo un quarto elemento: l’antisemitismo. Tutti fattori sono tornati con la stessa forza e la stessa virulenza in questo periodo». Dicono che la vostra sia una mossa dei riformisti per mettere in difficoltà Schlein. «È una bugia che si sta cercando di far passare. Mi sono confrontato stando al merito con colleghi espressione di tutte le anime del partito. Comunque penso che su questo dovremmo lavorare in Parlamento tutti insieme. È una piaga che riguarda tutti». Una serie di intellettuali e professori di sinistra sostiene che se il ddl di cui è primo firmatario diventasse legge non si potrebbe più criticare la politica di Israele. «Non è vero. Queste accuse si basano sul fatto che noi usiamo, senza dare forza di legge, per antisemitismo la definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance, che è quella che è stata adottata da una risoluzione del Parlamento europeo e dal Conte II, sostenuto peraltro anche da Bonelli. Se quel disegno di legge fosse veramente repressivo delle voci critiche, quelle voci sarebbero state soffocate già da tempo perché sono cinque anni almeno che questa definizione è in vigore in tutti i documenti ufficiali. Quindi stiamo parlando del nulla. Il punto politico è uno solo: si vuole o no prendere un’iniziativa contro l’antisemitismo?». È una domanda che dovrebbe rivolgere al suo partito. Vi hanno chiesto di ritirare il ddl… «Non si possono chiedere abiure. Negare l’evidenza di questa ondata di antisemitismo in Europa e nel mondo è chiudere gli occhi e io gli occhi non li chiudo. Su questo punto non torno indietro. Sui diritti delle persone non si possono fare calcoli di partito». Trai firmatari c’è chi l’abiura l’ha fatta. L’hanno avvertita prima? «Antonio Nicita mi ha mandato un sms. Sono molto dispiaciuto di questo, ma sono amici, hanno lavorato a questo progetto di legge, hanno fatto le loro considerazioni e io non faccio polemiche con la mia comunità politica». Non crede che i vertici del Pd non vogliano alienarsi le simpatie dei pro Pal? «Io spero che non sia così. Purtroppo sto osservando che certa sinistra, per esempio in Francia, con Mélenchon ha imboccato una deriva antisemita molto evidente. Questa deriva va evitata. Comunque questa reazione mi preoccupa molto perché è indice di un clima che si respira non solo nella sinistra ma nel Paese». Piero Fassino dalla Knesset ha detto che Israele è una democrazia e Provenzano ha preso le distanze da lui. Che sta succedendo nel Pd? «Sono 40 anni che frequento Israele. Che Netanyahu abbia provato a torcere la democrazia israeliana verso una deriva autocratica è nei fatti. Ed è sacrosanto che le critiche ci siano in Israele e anche qui. Dopodiché è difficile sostenere che in Israele non ci siano libere elezioni e non ci sia un’opposizione che va in piazza da anni o che non ci siano giornali d’opposizione». Il direttore del Fatto Marco Travaglio sostiene che per quelle parole Fassino dovrebbe essere cacciato dal Pd . «Io penso che le persone e le competenze meritino più rispetto. Sono allergico alle purghe come alle censure».