Le Ragioni di Israele

Ritiro di Israele dal Golan, l’Onu torna alla carica con una risoluzione semplicemente irrealistica

di Iuri Maria Prado - 4 Dicembre 2025 alle 11:49

La risoluzione con cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’altro giorno, ha chiesto a Israele di ritirarsi dalle Alture del Golan non è altro che una stracca riedizione di analoghe iniziative reiterate di anno in anno. La differenza è che quest’ultima interviene non solo dopo che in Siria è caduto il regime di Bashar al-Assad (un irrilevante dettaglio sfuggito ai 123 Stati che hanno dato il loro voto favorevole alla risoluzione), ma mentre quel Paese è abbandonato all’azione di bande tribali e milizie terroristiche che operano a un tiro di schioppo dai centri abitati israeliani.

Il fatto che il presidio militare israeliano lì, oggi, sia qualcosa di diverso da ciò che è – vale a dire un indispensabile dispositivo di difesa – può essere trascurato solo da chi pretende di occuparsi di quel che avviene laggiù facendo finta che si sia a prima del 1967 e non a due anni dall’evento, il 7 ottobre, che ha cambiato tutto. Se già il precedente stillicidio di risoluzioni relative al Golan peccava di aderenza, quest’ultima denuncia un desolante e abissale scollamento dalle mutate condizioni politiche e di equilibrio dell’area. Ed è difficile dare torto seriamente all’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, quando, commentando quel voto, dice che “L’Assemblea generale delle Nazioni Unite dimostra ancora una volta quanto sia lontana dalla realtà”.

È poi significativo quanto ha dichiarato il ministero degli Esteri siriano, compiaciuto perché una discreta lista di Paesi – tra cui l’Italia – è passata dalle precedenti astensioni al voto positivo dell’altro giorno. Votando favorevolmente, quei Paesi non sapevano forse come i diretti interessati – i siriani, appunto – avrebbero commentato la cosa. Adesso però lo sanno: quella risoluzione, dice la Siria, “Riflette anche i veri sforzi diplomatici per il ritiro di Israele dall’intero Golan siriano occupato alla linea del 4 giugno 1967”. Pensare che lo Stato ebraico abbia combattuto la guerra degli ultimi due anni contrastando chi, anche dalla Siria, lo attaccava, per poi lasciare sguarniti i fronti e ritirarsi di buon ordine in omaggio a vaghe istanze di normalizzazione non è né giusto né sbagliato: è semplicemente irrealistico.

Se pure la presenza israeliana in Golan tradisse gli intenti di ulteriore annessione che in troppi frettolosamente denunciano, questo non toglierebbe verità al dato innegabile: vale a dire che, senza quel presidio, Israele sarebbe esposto non alla possibilità, ma alla certezza di subire attacchi. Significa necessariamente che quel dispositivo di difesa debba essere eterno? No, è chiaro, anche se gli israeliani sono indotti a dichiararlo. Ma negare che ora sia necessario significa non ricordare che cosa successe su quelle Alture e perché. Ci fu guerra, più volte: e tutte le volte perché chi le contendeva a Israele voleva distruggere Israele. Gli “sforzi” diplomatici di cui si blatera dovrebbero essere rivolti a far sì che quel presidio difensivo non sia più necessario, non a far finta che sia un capriccio espansionistico.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI