Robbie Williams, concerto cancellato a Istanbul: l’ennesimo caso dell’intolleranza antisemita

di Paolo Crucianelli - 8 Ottobre 2025 alle 13:44

Il concerto che Robbie Williams avrebbe dovuto tenere ieri, martedì 7 ottobre, a Istanbul è stato cancellato dalle autorità turche. La decisione è stata ufficialmente motivata con “rischi per la sicurezza” e “crescenti critiche pubbliche”, ma le ragioni reali appaiono chiaramente politiche: secondo i principali media turchi, l’annullamento è legato al sostegno espresso da Williams verso Israele.

Negli ultimi giorni, sui social turchi si era scatenata una campagna di accuse contro il cantante britannico, bollato come “sionista” e “filo-israeliano”. Le autorità locali di Istanbul, sotto pressione, hanno preferito cedere al clima ostile e cancellare il concerto. Gli organizzatori hanno annunciato il rimborso dei biglietti, senza però fornire ulteriori spiegazioni. A scatenare la polemica sono state alcune dichiarazioni e gesti di affetto verso Israele e il popolo ebraico, che in un contesto meno avvelenato sarebbero apparsi del tutto innocui.

Williams aveva più volte ricordato di aver tenuto un concerto a Tel Aviv, il 1° giugno 2023 (prima, quindi, dell’inizio della guerra), dove aveva espresso ammirazione per il Paese e affermato di “sentire una pace che non prova in altre città del mondo”. La moglie, Ayda Field, è nata a Los Angeles da madre ebrea turca, e lo stesso artista ha raccontato di aver adottato alcune tradizioni ebraiche in famiglia, come la celebrazione di Hanukkah e Pesah, spiegando di voler crescere i figli nel rispetto della storia e dell’identità ebraica. In un’intervista, aveva aggiunto: “Mi sento più ebreo che cattolico”. Dichiarazioni più culturali che politiche, mai legate al conflitto mediorientale né a prese di posizione sull’attualità, ma semplicemente espressione di un percorso personale e familiare. Eppure, tanto è bastato per trasformare un concerto pop in una questione ideologica.

L’episodio è l’ennesima dimostrazione di come, in una parte crescente del mondo, l’antisemitismo si travesta da militanza politica e penetri persino nei luoghi dove dovrebbe essere bandito per definizione: l’arte e la cultura. Annullare un evento musicale perché l’artista ha espresso rispetto per Israele significa piegare la libertà culturale a logiche di schieramento, punendo la sensibilità individuale come fosse un crimine ideologico. È la stessa dinamica già vista in Europa con artisti boicottati, spettacoli sospesi, musei intimiditi o gallerie che censurano autori “non allineati”. Che ciò avvenga in Turchia non sorprende del tutto: il governo di Ankara mantiene da tempo un atteggiamento ambiguo verso Israele, alternando dichiarazioni di realpolitik a esplosioni di ostilità populista. Ma il significato resta universale: il messaggio è che anche un semplice legame personale o familiare con la cultura ebraica può oggi bastare per scatenare una campagna d’odio.

La cancellazione del concerto di Robbie Williams non è solo un incidente diplomatico né un eccesso di zelo locale: è il riflesso del clima deteriorato in cui l’arte, invece di unire, viene costretta a schierarsi. Williams non ha mai pronunciato parole di guerra, ma di affetto e di rispetto. Ed è paradossale che proprio queste — in un mondo che si proclama tollerante — gli siano costate la voce in un Paese che un tempo si vantava di essere ponte tra civiltà.

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