Le Ragioni di Israele
Sinagoga di Roma vandalizzata: colpita la memoria di un bambino di due anni
di Sergio Talamo - 2 Dicembre 2025 alle 11:00
Ci ostiniamo a vederli come episodi isolati. Ma c’è qualcosa di cupo e di familiare nell’Italia di questi mesi: l’impasto di fanatismo, delegittimazione dell’avversario e rabbia violenta che negli anni ’70 aprì la strada a quella che Sergio Zavoli definì la notte della Repubblica. La vernice che imbratta la sinagoga di Roma a Monteverde colpisce la memoria di un bambino di due anni, Stefano Gaj Tachè, ucciso da un commando di terroristi palestinesi il 9 ottobre 1982. Per certe frange, il 7 ottobre non finisce mai. Anzi, non è mai cominciato. Come ha sostenuto l’imam-eroe degli squadristi che hanno devastato la sede della Stampa a Torino, non fu neppure strage ma giusta reazione all’occupazione.
La linea di Albanese
La vernice di Roma, l’assalto di Torino e i tanti altri casi di intolleranza, segnano il passaggio a una fase esplicitamente pre-terrorista. Negli anni ’30, il mosaico della violenza antisemita si snodava in tutta Italia per emulare e compiacere i nazisti, con il sostegno dell’intellighenzia fascista. Negli anni ’70, nel mirino non c’erano più gli ebrei ma lo Stato, e a fare da quinta colonna furono i professori del terrore. Oggi ci pensano Francesca Albanese, la prima imam-donna ad honorem dell’Occidente, e quelli che la incensano ogni giorno con visibilità e onorificenze: per lei l’aggressione alla Stampa deve fare da monito ai giornali per una linea “non sionista”. Con la violenza si detta la linea, insomma. Sembra di rivivere i giorni in cui veniva ucciso Walter Tobagi.
Ciò che ieri fu il Vietnam, oggi è la Palestina
A questo punto tocca chiedersi chi sono gli incappucciati. Se i 40 di Torino, i due di ieri a Roma o tutti noi, che fingiamo di non vedere che la saldatura, oggi, è fra estremismo antioccidentale ed estremismo islamico. Ciò che ieri fu il Vietnam, oggi è la Palestina, con la differenza che in Italia abbiamo decine di migliaia di potenziali manovali dei raid terroristici. E i professori di ieri sono gli imam radicalizzati di oggi.
Chi crede ai due Stati
È il momento di uscire dalle comodità e dalle pigrizie mentali. Accanto ai tanti che, come il Papa, credono ancora ai “due Stati”, ci sono – camuffati, infiltrati – coloro che stanno costruendo il nuovo terrorismo e il nuovo razzismo. Non tutto si può giustificare in nome della bandiera, della rabbia sociale e del dissenso. Se la causa palestinese – tragica e irrisolta – è diventata il Vietnam dei nostri anni, allora dobbiamo imparare dal passato. Non si può rinunciare a distinguere. Chi cerca solidarietà e politica, chi scende in piazza sinceramente contro la guerra, è agli antipodi di chi marcia accanto a lui con obiettivi ben diversi. La saldatura tra estremismo e fondamentalismo religioso non è più solo teorica. È nel fiancheggiamento di giornali e siti, professori e opinionisti che coltivano una grammatica binaria per cui il mondo è diviso fra oppressori e oppressi, e alla sbarra c’è sempre e solo l’Occidente. È nel gergo dei vari Travaglio sparsi nei nostri salotti tv, per cui gli aggressori sono vittime, e tutte le colpe vanno agli aggrediti e all’Europa liberale e democratica.
Il nemico è culturale
Il nemico per ora è culturale, simbolico. Si manifesta in slogan e atti di teppismo che sembrano episodici. Ma finché continueremo a chiamare “danneggiamento” una sede di giornale devastata o una sinagoga vandalizzata, e “minacce” l’aggressione a una famiglia ebrea, finché definiremo “compagni dei nostri figli” i ragazzi che scrivono sui muri frasi come “giornalista ti ammazzeremo”, saremo sempre più deboli, più soli, più esposti ai colpi micidiali dei nemici della civiltà.