Verso le elezioni 2026
Smotrich e Ben-Gvir pronti a lasciare il governo, così Netanyahu può vincere le elezioni nel 2026
di Giuseppe Kalowski - 10 Ottobre 2025 alle 12:13
Finalmente ci siamo. Hamas si è dovuta arrendere alle pressioni dell’Amministrazione americana e dell’esercito israeliano, che ormai stringe i terroristi in una morsa senza scampo, ma anche della Turchia e del Qatar: quest’ultimo, dopo l’attacco israeliano a Doha, ha avuto un ruolo probabilmente decisivo nel convincere la leadership di Hamas ad accettare un accordo scritto e garantito dall’Amministrazione Usa.
La Turchia è stata la vera novità del successo di Trump; Erdoğan è stato, insieme al premier qatariota al-Thani, colui che ha fatto prendere coscienza ad Hamas che non aveva più scelta, perché ormai di fatto abbandonata da tutti. Anche l’Iran, che non può più garantire assistenza diretta e indiretta ai terroristi palestinesi, ha espresso timidamente una sua non contrarietà, “supportando qualunque iniziativa che metta fine alla guerra” e augurandosi che “qualsiasi decisione al riguardo spetti al popolo palestinese”.
In Israele sale l’emozione e anche l’incredulità di quello che probabilmente sta per accadere: anche se ci sono manifestazioni spontanee di giubilo, soprattutto a “Piazza degli Ostaggi” a Tel Aviv, una sorta di comprensibile scaramanzia evita in questo momento di festeggiare quello che ancora non è avvenuto, perché gli ostaggi – i vivi e i morti – sono ancora lì nelle mani degli aguzzini di Hamas. Israele festeggerà con vigore, ma solo un attimo dopo la restituzione dei suoi eroi quasi dimenticati dal resto del mondo.
Alla faccia di quasi tutte le cancellerie europee (lodevoli eccezioni l’Italia e la Germania), Netanyahu non si è tirato indietro di fronte alla prima vera opportunità di un accordo che prevedesse la liberazione degli ostaggi e la possibilità di una pace globale in Medio Oriente: il primo ministro ha tenuto salde le redini dello Stato nel periodo più difficile dalla sua creazione e ha capito al momento giusto che era arrivata l’ora di fermarsi e scendere a qualche compromesso. C’è una remota possibilità di un governo di unità nazionale se effettivamente Smotrich e Ben-Gvir dovessero votare contro il piano Trump e sfilarsi dal governo.
L’accordo sarebbe comunque garantito dall’appoggio dell’opposizione in Parlamento, come Lapid ha più volte dichiarato. È però poco credibile una soluzione di questo tipo, perché il partito di Smotrich, secondo i sondaggi, potrebbe dissolversi alle prossime elezioni e uscire dal governo adesso potrebbe accelerare questo processo. Ben-Gvir è più astuto: prende tempo e dichiara che è favorevole ovviamente al rilascio degli ostaggi, ma che il suo partito non sosterrà più il governo nel caso Hamas non si arrenda e rimanga una realtà attiva a Gaza o altrove. Dopo questo successo politico, Bibi probabilmente salirà di gradimento nei sondaggi e cercherà, con discrete possibilità di successo, di vincere le elezioni politiche che si terranno nell’ottobre 2026 con la medesima coalizione che lo sostiene adesso.
Israele, dopo aver vinto la guerra sul campo di battaglia, non può permettersi di “perdere la pace”. Il rischio che Hamas continui a fare parte del destino futuro palestinese esiste: la promessa che i suoi leader potranno lasciare Gaza con un salvacondotto mette effettivamente a rischio lo Stato ebraico di un futuro altro attacco. È già successo con Arafat nel 1982 in Libano, quando l’esilio gli permise di riorganizzarsi e di ricostituire un’organizzazione terroristica.
Hamas, bisogna sempre ricordarlo, è un esercito terrorista che aspira alla distruzione di Israele, senza compromessi. La sua strategia è quella di sopravvivere a questo periodo, riorganizzarsi e pianificare il prossimo attacco nel cuore di Israele. Benedetto sia il piano Trump, ma non bisogna consentire che il vincitore di questo accordo diventi Hamas.