Spieghino retroscenistico su quanto abbiamo appena assistito, conferenza stampa Bibi-Trump

30 Settembre 2025 alle 12:21

– Trump e Netanyahu hanno presentato i 22 punti salienti del piano dell’amministrazione USA per Gaza (sotto il testo completo) che per l’osservatore attento altro non è che una rielaborazione delle 5 condizioni presentate da Netanyahu il 10 agosto per terminare la guerra (1. Hamas disarmato; 2. Tutti gli ostaggi liberati; 3. Gaza demilitarizzata; 4. Garanzie di controllo di sicurezza della Striscia da parte di Israele; 5. Gestione di Gaza da parte di un meccanismo civile NON israeliano, né Hamas e né ANP)

– Si è cercato di lavorare a questo genere di piano dall’elezione di Trump. Il 19.01.25, un giorno prima del suo insediamento, vi fu un cessate il fuoco che avrebbe potuto portare a questo, se non fosse che, l’1 marzo (quando scadeva la prima fase) le trattative non hanno portato all’attuazione della seconda fase del deal che prevedeva restituzione di tutti gli ostaggi e il cessate il fuoco permanente. Hamas non era intenzionato a rilasciare tutti gli ostaggi (per favore tutti quelli che sostengono che si, portare prove documentate). Dopo 16 giorni di attesa, il 18.03 Israele ha ripreso a bombardare Gaza.

– Prima di ogni altra cosa: Trump, falliti i tentativi di mediazione Russia/Ucraina, ha capito che la pressione che non è riuscito a esercitare su Putin, la può applicare sul suo partner Netanyahu. Trump vuole vedere quanto prima dei risultati concreti (in primis per poter dire che, qualora riuscisse a incassare un accordo, non gli daranno mai il nobel per il politically correct, il woke etc).

– Poi c’è stata la guerra dei 12 giorni con l’Iran che ha suggellato le nuove alleanze mediorientali (aldila’ delle dichiarazioni di facciata, ricordatevi quali paesi hanno sorvolato i caccia israeliani in volo per Iran e da quali paesi sono partiti alcuni sistemi intercettatori).

– Prima di questo c’è stata anche la caduta del regime di Assad in Siria, il viaggio di Trump in Medioriente (Arabia Saudita, Emirati, Qatar) in cui la stampa israeliana in primis e internazionale a catena si è bevuta l’apparente “rottura” tra Trump e Bibi (“Trump non ha visitato Israele nella sua prima missione da Presidente, segnale inequivocabile di rottura tra i due” ci hanno raccontato) – che invece era una evidente dissimulazione perché in quei momenti si stava preparando l’attacco all’Iran. Nel mentre, il governo libanese ha approvato il disarmo di Hezbollah e Israele sta per firmare un accordo di non belligeranza con la Siria (ergo: tutti questi Paesi continuano a pensare ai loro problemi e non si sono fatti sentire sulla questione palestinese – a parte la Dichiarazione di New York che è la base dei riconoscimento dello Stato Palestinese che in realtà non è un vero riconoscimento perché se uno legge la dichiarazione vede che c’è scritto che la precondizione è il rilascio degli ostaggi e il disarmo di Hamas. Io credo che quanto abbiamo assistito la settimana scorsa all’Onu fosse de facto concordato tra Sauditi e Trump perché i Sauditi dovevano fare vedere di facciata che stavano facendo qualcosa per la causa palestinese).

– Perché c’è un game changer che non c’era finora: ed è il punto 19 della proposta. Israele ha accettato il deal. La risposta di Hamas non è ancora pervenuta (dicono “non l’abbiamo ancora vista” o “la stiamo valutando ora” – e pensare che io che sono l’ultima degli arrivati l’ho letta su tutti i giornali già 3 giorni fa). Il game changer è che se anche Hamas dovesse rifiutare, il meccanismo di tecnocrati guidato in sostanza da Tony Blair, in cooperazione con palestinesi non affiliati né a Hamas né all’ANP, con la supervisione USA e i finanziamenti dei Paesi del Golfo subentrerà in ogni caso (nel piano di cui sotto questo sistema è chiamato Board of Peace che collabora con una Forza Internazionale di Stabilizzazione): l’esercito israeliano passerà le consegne a questo meccanismo nelle aree di cui ora ha già il controllo (qundi ad eccezione praticamente di Gaza City e aree Deir al Balah e vicinanze – dove invece Idf continuerà ad operare militarmente per smantellare tunnel, quartieri minati e ultima brigata delle Brigate Iz Eddin el Qassam, per poi passare gradualmente anche queste aree al meccanismo di cui sopra).

– Ricapitoliamo: se Hamas dice no, va al suicidio finale. Anche perché persino gli attori musulmani più tosti come Turchia, Pakistan e Siria (oltre ai classici doppiogiochisti Qatar, A. Saudita, Emirati, Indonesia, Libano, Giordania, Egitto e persino l’ANP stessa) hanno detto a Trump che sostengono il suo piano. Quindi Hamas rimarrebbe solo e unicamente con il sostegno dell’Iran e degli Houti (e forse di Greta Thumberg?). Piccolo inconveniente: l’Iran sia è appena ribeccato le mega sanzioni con l’attivazione del meccanismo snapback all’Onu, che veniva votato dagli stessi Paesi che nelle stesse ore e nello stesso consesso facevano finta di riconoscere lo Stato palestinese.

– Se Hamas dice di no, la sorte degli ostaggi israeliani ancora a Gaza (48, di cui presumibilmente 20 vivi) è segnata con loro, così come quella di altre vite di civili palestinesi che Hamas si porterà con sé nella tomba.

– Se Hamas dice sì, si aprono moltissime incognite perché il piano dei 22 punti è molto generico ancora e comunque la sua attuazione è molto graduale. Ma sarebbe un inizio della fine della guerra più lunga e sanguinosa del secolare conflitto arabo/palestinese-israliano. Potenzialmente è anche l’inizio di un’epoca post bellica che si può paragonare al post WWII in Europa (che ha portato nella comunità europea nemici giurati fino a poco prima). Ma rimaniamo terra terra per ora.

– Altra parte del game changer: che Hamas dica sì o no, il governo israeliano potrebbe cadere a stretto giro (le elezioni dovrebbero tenersi nell’ottobre 2026, ma presumibilmente potrebbero essere anticipate a febbraio/marzo). Questo perché Netanyahu nell’accettare il piano di Trump, non solo ha affossato la possibilità di una annessione/reinsediamento della Striscia di Gaza (cosa che non aveva mai avuto intenzione di fare lui), ma ha anche acconsentito a un “percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità palestinese” riconoscendola come “l’aspirazione del popolo palestinese” – ‘ ̀ .

– Io ho sempre sostenuto (ancora dalla precedente amministrazione Trump, quando Bibi sì aveva acconsentito a uno Stato palestinese nell’ambito del deal of the century nel gennaio 2020) che a Netanyahu era ed è tuttora (anche dopo il 7.10.23, quando ormai la popolarità della soluzione 2 Stati in Israele è ai minimi storici) chiaro ed evidente che il grande premio, ossia l’ampliamento della cerchia degli Accordi di Abramo (Indonesia, Sauditi in particolare) è del tutto condizionale al pronunciarsi rispetto a una formula che non chiuda le porte a una forma di statualità palestinese. Ecco di cosa si sono accontentati Sauditi, Turchi, Pakistani, Siriani etc etc per non chiudere la porta in faccia a Israele (spinti di certo dalla recuperata deterrenza israeliana, ma ancor di più dal timore di Trump che, nella sua imprevedibilità, è deterrenza fatta a persona): ” ‘ ̀ “.

– Eppure anche questa dichiarazione di intenti molto vaga è una linea rossa per Smotrich (Ben Gvir potrebbe essere più pragmatico, ma staremo a vedere). L’opposizione ha già chiarito tempo fa che si mette a disposizione di Netanyahu per far passare qualsiasi accordo che veda il ritorno degli ostaggi e non chiuda la prospettiva di nuove alleanze mediorientali. Se anche per ego Lapid non dovesse cedere, Gantz (che attualmente non super la soglia di sbarramento) ha già detto che è pronto a immolarsi.

– Poi, in vista di elezioni, c’è tutta la questione della grazia preventiva o patteggiamento per i processi di Netanyahu, su cui pure ho una mia teoria (molto ben documentata, ma anche molto azzardata e speculativa, quindi attendo per condividerla, perché urge ora vedere cosa succederà in queste ore critiche).

– Per tornare al titolo: Netanyahu ha scelto la linea Trump e non quella Smotrich. Ha messo ora nero su bianco che: 1) no rioccupazione Gaza, 2) si mantenere una finestra aperta alle nuove alleanze con il mondo arabo. Tutto questo contraddice le analisi della stampa mainstream in questi mesi, ma era invece ovvio che sarebbe accaduto per chi ha seguito negli anni il rapporto Trump-Bibi e il ruolo critico di Ron Dermer.

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