Viaggio nell’Israele della tregua

di Redazione - 12 Novembre 2025 alle 12:50

Gli occhi di Gadi Moses ostaggio a Gaza per 15 mesi, gli occhi della ragazza superstite del Nova Festival che ci accompagna nei luoghi della tragedia, ma anche gli occhi di una ragazza e un ragazzo combattenti a Gaza con una importante sindrome da stress post traumatico, riassumono cos’è Israele dopo il 7 ottobre.

Gli occhi di Gadi Moses sono occhi di un uomo buono, un uomo di pace, lo percepisci già dal suo sorriso, dalle sue movenze. Lo abbiamo incontrato nel Kibbutz di Nir Oz. Un kibbutz devastato dai terroristi per l’80%. “Ero là a Gaza, lontano ma vicino, per quello dobbiamo fare la pace, l’odio ci logora”. Alle sue spalle case bruciate, cucce per cani ancora appoggiate davanti agli zerbini di casa, giochi dei bambini, pentole, effetti personali. Tutto bruciato, tutto devastato.

All’orizzonte Gaza, Gadi Moses aggiunge: “Sono passati da qui i miliziani indicando la recinzione con il filo spinato”. “Mi sono buttato nelle mani dei rapitori sperando di salvare mia moglie, mia figlia e i miei nipoti”. Così non è andata. La moglie è stata uccisa, la figlia e i nipoti rapiti anche loro e restituiti dopo 50 giorni. Nir Oz è un posto molto bello e tranquillo, e Gadi Moses ci ha accolto nel giardino di questo Kibbutz dell’Hashomer Hatzair.

Un altro posto pieno di memoria è il Tekumah, una sorta di memoriale dove sono accatastate le automobili bruciate che sono state trovate lungo la strada. Molte delle auto hanno il certificato dell’associazione ZAKA – organizzazione non governativa israeliana specializzata nell’identificazione di persone disperse; significa che tutti i reperti umani sono stati identificati. Cumuli di macchine trivellate e bruciate. Ogni macchina è un altare in memoria di qualche ragazzo. Gli anemoni rossi sono diventati il simbolo dei ragazzi morti. Prima del 7 ottobre era una gioia vedere gli anemoni spuntare nelle distese dei campi del Negev. Ora sono diventati un simbolo, quasi a ricordare la vita ma anche il sangue dei ragazzi morti. Il binomio di dover ricordare e di vita è una costante in questi luoghi struggenti.

Al Tekumah ci sono diversi giovani militari che visitano il deposito, sono in cerchio e sono attenti alle parole del loro comandante. Fa caldo, piangono i soldati, ma non solo loro. Oltre alle macchine dei ragazzi che fuggivano dal Nova, ci sono anche due pick up dei terroristi – teatro di atroci violenze – e ancora più impressionante l’ambulanza dentro la quale si sono rifugiati in 18 e in 18 sono morti.

Successivamente ci troviamo a Re’im, nel luogo del Nova Festival, una distesa di foto di giovani bellissimi, sorridenti, sotto ogni foto, messaggi, pietre, occhiali, sedie, altarini di ogni tipo. Memoria, l’ultimo ricordo, l’ultimo oggetto, l’ultimo abbraccio.

Una distesa impressionante. Ci sono anche le immagini dei messaggi WhatsApp: “Rispondimi amore mio, per favore, sono qui. Rispondimi, salvami sono qui”. E il sito dove c’era il concerto ricoperto di nuovo di anemoni rossi in ceramica. La ragazza che ci fa da guida si è salvata, un suo amico che era con lei è stato ucciso. Era bello, intelligente, arrivato dall’America per fare l’alya, faceva il volontario in kibbutz e stava facendo il servizio militare. Avrebbe voluto diventare medico. Il volto della ragazza a tratti è coperto dalle lacrime; ci dice però che a marzo si sposerà con il suo fidanzato, mentre ci fa vedere la foto del suo amico. Ogni foto ha la biografia della persona deceduta.

Siamo a Sderot, molto vicini a Gaza: c’è un centro IT che ricostruisce le vite delle vittime del 7 ottobre. Ti permette di entrare virtualmente nei luoghi lacerati dai terroristi con un visore. La priorità in qualunque angolo di Israele è la memoria, il ricordo. “Non vi abbiamo dimenticato”, sembrano urlare i luoghi e le persone. Andiamo avanti anche per voi. Incontriamo in un moshav vicino a Tel aviv due ragazzi che stanno cercando di uscire dal post trauma attraverso il progetto Shiva, che prevede ippoterapia, yoga, natura, cibo sano. Questa è l’Israele della tregua: un Paese molto ferito ma con una grande forza e quasi un dovere morale di dover andare avanti.

Ho avuto l’opportunità di andare a fare una missione di solidarietà con il Keren Khayesod (associazione ebraica) nel mese di ottobre 2025.

di Sara Levi Sacerdotti

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