Le Ragioni di Israele

Violenza nelle Università, D’Arienzo: “L’antisemitismo cresce, gli atenei chiedono un ritorno alla normalità”

di HaKol - 3 Ottobre 2025 alle 12:07

Come affrontare l’antisemitismo nel mondo dell’istruzione? Se n’è parlato lunedì alla conferenza Addressing antisemitism in higher education, organizzata dall’Unesco in collaborazione con la Commissione europea. Maria D’Arienzo, professoressa di Diritto e Religione all’Università Federico II di Napoli, ha partecipato all’evento e non rinuncia all’ottimismo. Gli episodi di intolleranza hanno infestato il clima negli atenei, ma ora l’aria sta cambiando: sempre più docenti e studenti chiedono «un ritorno alla normalità».

Qual è il quadro tratteggiato alla conferenza Unesco sull’antisemitismo?
«Alla conferenza non si è parlato in astratto: i dati mostrano un aumento degli episodi di antisemitismo negli ambienti educativi. Per questo le università non possono più rinviare misure concrete di prevenzione e contrasto. Il Congresso di Parigi del 29 settembre 2025 aveva un obiettivo preciso: produrre Raccomandazioni operative che guidino gli atenei a costruire, giorno per giorno, una cultura del rispetto della diversità. Il miglior antidoto all’intolleranza religiosa e all’antisemitismo».

Ormai la violenza ha preso il sopravvento nelle università. La deriva è irrimediabile o ci sono speranze per invertire la rotta?
«L’aggressione di questi giorni a un docente dell’Università di Pisa, colpito per posizioni non filopalestinesi, è l’ennesimo evento rivelatore del clima di prevaricazione che ha preso luogo in alcuni atenei. Quando si prova a zittire un’idea con la forza, perde l’università e perdiamo tutti. Eviterei però i toni apocalittici: generalizzare non aiuta a capire né a intervenire. La rotta si può cambiare e passa attraverso scelte molto concrete: difendere senza ambiguità la libertà accademica, garantire che seminari e convegni si svolgano liberamente, e riportare ogni discussione nel suo spazio naturale. Il confronto tra differenze e l’educazione al pensiero critico. Qui si misura la nostra responsabilità istituzionale».

Anche perché lei è in prima linea nel mondo accademico per contrastare le iniziative contro Israele…
«Lavoro su tre fronti. Primo: difendo e creo spazi di confronto reale, dove tutte le posizioni e idee vengono esaminate (seminari, dibattiti, lezioni aperte). Secondo: sostengo la cooperazione scientifica con le università israeliane. I boicottaggi accademici non sono una pressione efficace: isolano chi fa ricerca e non modificano le decisioni politiche. Terzo: costruisco una rete di studiosi e atenei che agisca da “contropotere” civile, facendo valere la forza della ricerca libera, verificabile e responsabile, a tutela dei diritti. In sintesi: più scienza, più dialogo, zero intimidazioni».

Però queste campagne pro-Pal e anti-Israele stanno riscontrando sempre più difficoltà e meno adesioni rispetto a qualche mese fa. È una falsa percezione o effettivamente è così?
«Le dinamiche di mobilitazione pubblica sono spesso complesse e legate a molti fattori: in alcuni atenei italiani persistono prese di posizione contrarie al dialogo, si riscontrano eventi violenti e di prevaricazione. È fondamentale, tuttavia, che tali iniziative non incidano negativamente sull’attuazione della Strategia Nazionale di Lotta all’Antisemitismo relativa al quinquennio 2025-2029, che investe le università del rilevante compito di promuovere l’attivazione di percorsi formativi, di progetti di ricerca e di iniziative di “Terza missione” specificamente dedicate al contrasto e alla prevenzione dell’antisemitismo. Percepisco, nelle ultime settimane, l’emergere di una diversificazione: in alcuni atenei si sta promuovendo un ritorno alla normalità, oramai chiesta da docenti e studenti».

Che aria si respira nei suoi confronti? I suoi colleghi la guardano con diffidenza a causa della sua battaglia?
«Pur nella naturale diversità di opinioni che caratterizza ogni contesto, ho sempre percepito rispetto verso le mie posizioni. Anzi, ritengo che la disponibilità al confronto e al dialogo, anche su temi complessi, sia uno dei tratti distintivi e irrinunciabili dell’università. È un valore che va non solo tutelato, ma costantemente coltivato, perché l’accademia è davvero libera solo quando il dissenso è possibile e il rispetto è la regola».

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